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Nell'ultimo anno e rotti qui su Storie di Ruolo ci siamo interessati parecchio ai giochi di storie (o storygame), un genere di GDR la cui definizione è stata data dal designer Ben Robbins: giochi di narrazione in cui i giocatori intervengono sul mondo immaginario da una prospettiva esterna, da registi o da narratori onniscenti, non usando necessariamente un personaggio come avatar. Robbins ha coniato questa descrizione per presentare i suoi stessi giochi, il primo dei quali, Microscope, è diventato un piccolo classico; da estimatori del genere non potevamo non recensirlo prima o poi, e quel momento è arrivato oggi!

Disclaimer: Microscope non è stato (ancora) importato in Italia, anche se il patron di Helios Games (al secolo Helios Pu) ha pubblicamente dichiarato di avere in cantiere una localizzazione del titolo. Incrociate le dita assieme a noi e gustatevi la recensione per ingannare l'attesa!

Microscope – Uno gioco di Storia

Partiamo dalla tagline che campeggia sulla copertina di Microscope: "A fractal role-playing game of epic histories", cioè "un gioco di ruolo frattale di storie epiche". Salta subito all'occhio che non si usa la parola stories, cioè "storie, racconti, vicende individuali", bensì Histories, cioè "Storia" con la maiuscola, "Storia" come la disciplina. In Microscope, infatti, i giocatori non creano semplicemente le avventure di uno o più protagonisti, ma un periodo storico lungo secoli, millenni o direttamente eoni, diviso in periodi unitari più brevi e costellato di eventi grandiosi (o disastrosi), in cui le civiltà sorgono e crollano e migliaia di individui lasciano il proprio segno, piccolo o grande, sul corso degli eventi. E il tutto da una prospettiva a volo d'uccello, che permette di passare dai processi millenari di cambiamento geologico alle minuzie della vita di una singola persona, zommando liberamente dentro e fuori gli eventi (donde il nome del gioco: il gruppo ha la Storia sotto un microscopio).
Per fare un paragone con i media non interattivi, Apocalypse World sta ai film di Mad Max come Microscope sta al Ciclo di Dune, a quello della Fondazione oppure al Silmarillion – romanzi o antologie di ampio respiro che trattano dello sviluppo di intere società, ibridando la narrativa d'invenzione con la cronaca storiografica. Se invece vogliamo confrontarlo con altri GDR, bisogna paragonarlo alla sessione zero di molti titoli, quella in cui si fa un brainstorming per decidere assieme l'ambientazione: il sistema di Microscope è tarato per trasformare quel brainstorming in un'esperienza ludica autonoma, non ancillare a un GDR classico.

Fonte di ispirazione per Microscope.

A essere hipster, Microscope ha anche un altro equivalente letterario: i monumentali saggi storiografici del Settecento.

Una linea del tempo frattale

Venendo al sistema di gioco, Microscope inizia a sua volta con una fase di brainstorming, in cui tutti i giocatori devono concordare il Quadro Complessivo: il fenomeno principale che caratterizza e definisce la loro Storia, rendendola un processo coeso (ad esempio "L'umanità colonizza le stelle"). Dopodiché bisogna inventare due Periodi, cioè dei lunghi lassi di tempo in cui si è verificato un fenomeno unitario di lunga durata (come "Iniziano i viaggi spaziali" e "L'umanità si frammenta ed entra in stagnazione"); essi saranno il primo e ultimo Periodo della Storia da creare, i limiti cronologici entro i quali si giocherà.
Dopodiché si ha una fase di "sintonizzazione dei gusti": ciascun giocatore sceglie un contenuto che potrà essere portato in gioco e uno che invece sarà bandito, in modo da dare un carattere particolare al mondo di gioco. Esempi possibili sono alieni, magia, divinità, tecnologie, valori morali e così via.
Fatto tutto ciò, si passa al turno zero della partita: ogni giocatore crea un nuovo Periodo occorso fra il primo e l'ultimo, oppure un Evento delimitato nello spazio-tempo (una guerra, un'invenzione, un'impresa eroica...) verificatosi durante un Periodo preesistente.

A questo punto inizia la turnazione effettiva, che segue questa scaletta:

  1. Un giocatore, con il ruolo di Lente, inventa un Focus, cioè un tema ricorrente nella Storia che si sta creando (una persona o dinastia, un oggetto o tecnologia, un fenomeno naturale etc.).
  2. Ogni giocatore inventa e descrive un nuovo contenuto collegato al Focus, a propria completa discrezione. Può trattarsi di un Periodo, un Evento oppure una Scena, cioè un'interazione fra singoli individui occorsa durante un Evento (un colpo di stato, un'interazione familiare, un duello, un alterco, altro ancora). Tale contenuto può essere collocato in qualunque punto della cronologia, purché sia coerente con le informazioni preesistenti.
  3. Alla fine del giro il giocatore a destra della Lente sceglie un'informazione creata durante il turno e la marca come Eredità – cioè come tema interessante da approfondire in futuro. Fatto ciò, crea un Evento o Scena extra collegato all'Eredità.
  4. Il ruolo di Lente scorre in senso orario e si continua con un nuovo Focus.

    Lo stemma asburgico come Focus per Microscope

    Se la nostra storia reale fosse una partia a Microscope, l'aquila bicefala sarebbe un esempio di Focus. Immagine da Wikimedia Commons.

Ogni Periodo, Evento o Scena (inclusi quelli in fase di setup) deve essere non solo descritto oralmente, ma anche annotato su un foglietto e posto sul tavolo in ordine cronologico: i Periodi compongono una linea orizzontale fra i due estremi cronologici, gli Eventi sono messi in fila sotto il Periodo in cui avvengono, le Scene sono impilate sotto l'Evento in cui accadono. Il risultato è che, man mano che la partita va avanti, si forma una linea del tempo a tre livelli in cui ogni elemento contiene al proprio interno dei componenti più piccoli – la struttura a frattale promessa nella tagline e che rende possibile lo zommare avanti e indietro lungo la linea del tempo.
Si noti inoltre che le Scene sono l'unico momento in cui Microscope si avvicina a un GDR convenzionale. Quando un giocatore crea una Scena, infatti, è libero di descriverla tutta a propria discrezione, come si fa con Periodi ed Eventi, ma può anche scegliere di recitarla. In tal caso, il giocatore di turno pone una Domanda cui la Scena deve rispondere (ad esempio "Perché la regina Anna è stata deposta da sua figlia?") e la inquadra nello spazio-tempo, dopodiché ogni giocatore sceglie un personaggio da interpretare; a quel punto si recita la scena in free-play, con lo scopo di rispondere alla Domanda.

Un sistema minimale per giocatori novelli

A leggere questa panoramica, Microscope potrebbe avervi lasciato molto freddi; probabilmente vi sembra un gioco in cui "ce la si racconta" – un titolo basato unicamente sullo scambiarsi aneddoti e descrizioni, con due regole in croce per contrastare il panico da foglio bianco. Per esperienza diretta, mi sento di sostenere il contrario: Microscope è un modello di gioco minimale che non scade nel "raccontarsela" a briglia sciolta e senza criterio, bensì produce un'esperienza ben indirizzata di creazione collettiva.
Nell'appendice del manuale, infatti, Robbins spiega che il suo scopo era "sciogliere" i giocatori di ruolo timidi, quelle persone che durante la partita seguono passivamente i contributi altrui, o perché non sanno esprimere i propri o perché non riescono ad armonizzarli in un'estetica condivisa.  In Microscope, infatti, la condivisione di contributi è la sostanza stessa del gioco, non un sistema implicito sottostante ad altri, ed è impostata come un dibattito solo nella fase di setup: per il resto ogni giocatore deve esprimere le proprie idee come decisioni insindacabili, il che fa venir meno le difficoltà comunicative e dà libero sfogo alla creatività individuale.
Naturalmente c'è il rischio che delle decisioni insindacabili non si armonizzino tra loro, creando una linea del tempo eterogenea, ma ciò viene controbilanciato dalla scelta a turno del Focus. A rotazione, infatti, ogni giocatore imporrà un tema di suo gusto, ma gli altri daranno a quel tema le rispettive impronte personali e lo sentiranno, a fine turno, come "cosa propria", come un contributo su cui hanno investimento emotivo; ne consegue che le idee di tutti si intrecciano assieme in un arazzo, un insieme superiore alla somma delle parti.
Inoltre l'ordine non-cronologico della partita permette a ciascun giocatore di creare, modificare e distruggere qualunque elemento del mondo di gioco, da intere civiltà a singoli individui, senza che questo limiti i suoi compagni: lo spazio-tempo fra gli elementi della linea temporale è sempre indeterminato, quindi è sempre possibile incastrare nuove informazioni fra quelle preesistenti. Un giocatore può benissimo far inabissare Atlantide in un Evento per poi decriverne gli albori, molti Periodi prima, e la riscoperta archeologica, molti Periodi dopo. Robbins lo definisce "grandi poteri senza grandi responsabilità".
A impreziosire ulteriormente il gioco c'è il sottosistema legato alle Scene, grazie al quale Microscope non rimane bloccato al freddo livello della cronologia, ma può scendere fino al livello dele storie individuali, quelle che, a conti fatti, danno origine alla Storia con la maiuscola: grazie alle Scene, infatti, è possibile seguire dalla culla alla tomba i grandi e piccoli personaggi del proprio mondo, recuperando e incorporando la dimensione del gioco di ruolo in senso classico. E il capitolo sulle Scene insegna con dovizia di dettagli diverse tecniche d'improvvisazione, come l'inquadramento delle scene o il distinguere fra affermazioni vere e presunte – strumenti fondamentali in molti GDR, ma spesso mal spiegati.
E in ultimo, la creazione della linea del tempo attraverso i foglietti non è solo pratica, ma anche appagante: fornisce al gioco una componente tattile, quasi da gioco da tavolo, per cui la creatività del gruppo produce un oggetto tangibile, che può essere conservato come ricordo della partita (non diversamente dalle schede di personaggio di altri titoli).

Un esempio di partita completa a Microscope, gentilmente fornito dall'amico Daniele di Geecko on the Wall. Da Geecko on the Wall

Perché giocare a Microscope?

Da Storie di Ruolo è tutto, ci rivediamo nel prossimo Periodo!
Ivan

Quale minaccia striscia nelle profondità del Tempio del Destino? Quale gruppo di eroi può intraprendere la missione a dir poco mortale per salvare il mondo? Esiste veramente un modo per proteggere l’umanità dall’estinzione? E se sì, quale? Tutte queste domande trovano la loro risposta nel gioco di ruolo di cui andremo a parlare oggi - To the Temple of Doom! To defeat the Ancient Evil! è un gioco originario del continente australiano scritto da Harley Gordon e Vee Hendro di Storybrewers Roleplaying che vede i giocatori vestire i panni dei migliori esperti di archeologia che il mondo possa offrire nella lotta contro una terribile calamità.

La preparazione fa già parte del gioco stesso. Prima di creare i propri alter ego, i giocatori dovranno creare la propria nemesi: l’Antico Male! Attraverso la scelta di alcune domande proposte dal gioco e alle risposte date dai partecipanti, il più grande nemico dell’umanità assume una sua forma, una storia ed un’identità; non solo, queste risposte costituiranno gli indizi che i personaggi dovranno cercare all’interno del tempio per sventare la fine del mondo. Più avanti capirete come.

Poi tocca agli archeologi: ogni giocatore ha il compito di creare un proprio personaggio, che rappresenta un esperto di un determinato settore (dalla linguistica all’osteologia), che gode di una certa fama (buona o cattiva che sia), con delle proprie caratteristiche (più acuto o impavido o incline a sfruttare le proprie conoscenze) e che ha portato con sé un artefatto rinvenuto chissà dove perché sia d’aiuto nell’impresa.

A questo punto si è pronti a giocare. Questo gioco è un gioco masterless, ovvero non c’è un narratore fisso: questo ruolo infatti è a rotazione, quindi oltre a dare la possibilità a tutti di creare le sfide e di pilotare la partita si riesce anche a scandire quelli che sono i turni di gioco man mano che ci si addentra nelle viscere del tempio - un tempio che non accoglierà calorosamente i suoi nuovi intrusi, e cercherà in ogni modo di porre fine alle loro miserabili vite! To the Temple of Doom! infatti è un gioco ad alto contenuto di prove fallite, trappole scattate e cadaveri di archeologi incauti e sfortunati.

Il narratore comincia descrivendo la stanza in cui arrivano gli altri giocatori, può riempirla degli elementi che vuole per presentare loro il punto di partenza. Ai giocatori attivi tocca quindi decidere come risolvere le varie sfide che possono incontrare all’interno della stanza, avendo come unico limite la creatività di ognuno; non appena un giocatore intraprenderà un’azione che secondo il narratore possa essere tradotta in una sfida, quest’ultimo valuterà il modo in cui viene affrontata, e quindi le modalità di successo.

Il gioco offre tutta una serie di suggerimenti grazie ai quali sarà possibile avere sempre fresche idee da utilizzare quando si deve creare una stanza e le sfide che si celano tra le sue pareti, in modo da facilitare l’esperienza di gioco anche ai neofiti. Una stanza viene completata quando i personaggi superano tre prove al suo interno e, di conseguenza, ottengono l’indizio che essa racchiude.

Una volta che tutti sono passati per i panni del narratore, è tempo di affrontare lo scontro finale: la battaglia contro l’Antico Male! E come affrontarlo, se non utilizzando i suoi stessi segreti contro di lui? Chi avrà avuto abbastanza accortezza da essere rimasto vivo fino a questo momento potrà sfruttare ciò che ha appreso sull’Antico Male per debellarlo una volta per tutte… o morire provandoci!

To the Temple of Doom! è un gioco che si presta facilmente ad essere intavolato davanti ad un gruppo di giocatori per passare una bella serata di gioco. Per i più tradizionalisti è possibile giocarlo in maniera semplice: superare trappole, sconfiggere i mostri e risolvere gli enigmi semplicemente attraverso il lancio di dadi; in questo modo si riesce a stare dentro l’ora di tempo come il gioco stesso dice di durare. Chi perde il controllo e si lascia prendere la mano dalla narrazione riesce facilmente a raddoppiare la durata della partita proponendo enigmi più complessi in modo da dare libero sfogo alla propria immaginazione. A seconda di quanto tempo abbiate, sapete quindi se trattenervi o meno!

Un consiglio spassionato che voglio dare è il seguente: quando siete il narratore, non impuntatevi su un unico modo di risolvere le prove della vostra stanza. To the Temple of Doom! è un gioco che tira fuori di prepotenza quella che è la creatività insita nel giocatore, che si sforza di proporre modi creativi o arrangiati al fine di raggiungere l’ultima stanza del tempio, quindi quando il giocatore vi offre la possibilità di far partire una sfida, cogliete la palla al balzo perché rischiate di bloccare il gioco qualora la ignoriate.

scarica gratis to the temple of doom

Non mi resta quindi che augurarvi un buon divertimento. Addentratevi nel tempio, vincete e quindi uscite a riveder le stelle!

Francesco Sacchi (Franz)

Violentina, un gioco di racconti criminali. Un gioco di ruolo di Eduardo Caetano pubblicato in portoghese brasiliano nel 2011. Per Modena Play lo porta in Italia Narrattiva con il poliglottismo di Federico Totti (l’uomo dietro a Lasers&Feelings e a Lovecraftesque, tra gli altri) alla traduzione, conquistando così la pietra miliare del primo gioco tradotto in italiano direttamente dal portoghese.
Ma di cosa parla Violentina? E soprattutto, è così tamarro come suggerisce il nome? La risposta a quest’ultima domanda è assolutamente sì. Per avere la risposta alla prima… beh, vi toccherà continuare a leggere.

La (Pulp) Fiction di Riferimento

Violentina è un gioco fortemente celebrativo di un certo tipo di filmografia pulp, come ad esempio i film di Tarantino o quelli di Guy Ritchie. Di fatto, un film come Pulp Fiction rappresenta perfettamente la struttura di una sessione di Violentina.

 

Violentina ha tutto quello che c’è in un film di Tarantino, meno i piedi di Uma Thurman.
(cit. giocatore anonimo alla fine di una sessione di Violentina. Il giocatore anonimo potrei essere io, ma non è importante)

 

Pesante? Lo è anche Violentina. L’intero manuale si rivolge direttamente al lettore con un tono graffiante e diretto che richiama non solo il tono dei dialoghi della filmografia di riferimento, ma anche lo stile di scrittura che ha reso celebre Vincent Baker con Il Mondo dell’Apocalisse. Accanto a questo abbiamo Linee e Veli, rese uno step obbligatorio del setup del gioco e che dimostrano la consapevolezza dell’autore: in queste storie di violenza, certe cose devono succedere solo fuori inquadratura (Veli) oppure lasciate proprio fuori (Linee).

Una Bisca per Giocare di Storie

Violentina è senza master, senza dadi, senza preparazione, da giocare in una one-shot di poche ore. Il gioco non viene mai esplicitamente definito un Gioco di Storie o Storygame (che la definizione di Ben Robbins che a noi di Storie di Ruolo sta tanto cara non abbia penetrato la scena carioca?), salvo poi specificare quasi fino allo sfinimento quanto lo scopo del gioco sia raccontare una storia collettivamente, risolvendo i conflitti tra giocatori e badando di non affezionarsi troppo a quello stereotipo di personaggio che il gioco ci affibbia (tutte caratteristiche tipici degli storygame).

Le carte, due mazzi da poker o uno da scala quaranta a piacimento, sono il vero padrone del tavolo. Si usano per tutto, dal definire gli elementi della trama e dei personaggi alla risoluzione dei conflitti. Il tavolo si trasformerà in qualcosa a metà tra il tavolo di una cartomante ed una bisca clandestina: le carte disposte sulla plancia di ogni giocatore ne determinano il Cliché, i Legami ed i Desideri; le carte sulla Plancia della Trama, gli elementi attorno alla quale la vicenda si svolgerà; quelle sulla Plancia del Banco saranno il carburante per le scene, le minacce ed i tentativi di corruzione.

I semi delle carte servono per dare ulteriori dettagli riguardo alla tipologia dell’elemento che vorrete definire. Ad esempio, durante il vostro Turno nei panni di Regista userete una carta della vostra mano per determinare il Tema della Scena in base al suo seme: Voluttà (cuori), Vizio (fiori), Violenza (picche) e Verdoni (quadri).
La correlazione tra seme e significato è piuttosto immediata. Solo per le Sementi di Trama, cioè le carte che andranno sulla Plancia della Trama, è previsto un significato corrispondente per ogni carta che richiede qualche attenzione in più, ma viene solo usato nella prima fase di Sviluppo - cioè la creazione.

Violentina, giocato a Gdr al Buio a Pavia!

Con un Asso di Picche puntato alla Tempia

Cosa manca ad un tavolo di una bisca clandestina per farla diventare tale? In Violentina la Grana è la valuta astratta che il gioco utilizza per distribuire l’autorità narrativa (ma non solo) e viene solitamente rappresentata con monete o fiches da poker. Usando la Grana potete Corrompere il giocatore che è di turno e sta facendo il Regista e volgere la cosa a vostro favore.

I soldi non bastano? Potete Minacciarlo, obbligandolo a scoprire la sua carta del Tema che ha scelto per la Scena e contrapponendola alla vostra. Nel manuale è specificato di impugnare la carta in direzione del Regista come se fosse una pistola o un coltello: forse è un gesto che è facile confondere con altro, ma vi posso assicurare che quando, durante una scena, il Protagonista arriva alla Minaccia il contesto rende la sfida molto, molto chiara. Del resto la posta in gioco è il controllo narrativo dell’intera scena, che (usando le parole dell’autore) è l’unica forma di vittoria in Violentina.

Ancora più Quentin Tarantino!

Dai paragrafi precedenti potrebbe sembrare che il gioco abbia sufficienti rinforzi alla celebrazione della fiction di riferimento, ma evidentemente l’autore non si è trovato convinto di questa impressione.

La meccanica degli Argomenti Casuali è abbastanza marginale in relazione al vero e proprio motore di gioco, ma è fondamentale nel garantire il tono. Come suggerisce il nome, si tratta di spunti di conversazione totalmente a caso (come Appennino Ligure, il rituale di corteggiamento dei Delfini oppure Il Gioco di Ruolo dell’Anno) che vengono definiti durante la prima fase e che il Regista può mettere in palio per il protagonista. Mettervi a parlare di delfini e delle loro romances mentre aspettate la consegna di un carico di droga o durante uno sfoggio di magniloquenza per salvarvi la pellaccia vi garantisce una Reticenza, cioè la possibilità di mettere del vostro nell’Epilogo del film anche se non è toccato a voi raccontarlo.

Questa premessa è necessaria per capire come approcciarvi al gioco in maniera corretta. Dalla mia esperienza il gioco funziona benissimo anche se non tutti al tavolo hanno ben presente la fiction di riferimento: conoscerla aiuta, ma il gioco è talmente celebrativo di quel tipo di cinematografia che vi troverete a giocarla anche se non avete mai visto Kill Bill.

Si tratta ovviamente di un’arma a doppio taglio: se conoscete qualcuno a cui Tarantino non piace (ed ha altre doti a compensare questa terribile mancanza, ndr) forse Violentina non è il primo titolo che suggerirei.

Caetano però non sembra intenzionato a farvi gettare la spugna così presto ed in appendice vi da una serie di consigli su come modificare il gioco per adattarlo alle vostre esigenze: si va dal numero di scene a cambi di color (quest’ultimi, mi fa sapere il traduttore del gioco, sono disponibili in brasiliano ad opera dell’autore e nulla esclude arriveranno anche sulla penisola), ad altre regole aggiuntive. Non credo che queste varianti siano pensati per portarvi in lidi completamente diversi da quelli della fiction di riferimento, ma potrebbero limare alcune cose che trovate spigolose. Sicuramente sarete aiutati dal fatto che il testo argomenta spesso e volentieri la scelta di certe meccaniche a livello di design, e che quindi potrete intuire l’impatto delle vostre modifiche - se poi siete designer o aspiranti tali, questa parte potrebbe essere una delle vostre preferite.

 

Il cast di The Snatch, un film di Guy Ritche: un ottima variante al color Tarantiniano se si vuole giocare Violentina.

Violentina è un gioco che ha un intento cristallino e che centra appieno. Trasformerà il vostro tavolo da gioco in una bisca clandestina, vi farà corrompere e minacciare a vicenda, vi farà prodigare di discorsi strampalati su argomenti assolutamente fuori posto.

Se alla fine di una serata a base di amici, birra e Bastardi Senza Gloria non ne avete abbastanza, Violentina è quello che vi serve.

 

Alla Prossima,

Edoardo

Quando, a Lucca 2017, abbiamo acquistato Lovecraftesque di Joshua Fox e Becky Annison (edito in Italia da Narrattiva) non pensavamo che ci sarebbe piaciuto così tanto. All’epoca non conoscevamo quasi nessun gioco masterless ed è stato praticamente una rivelazione che ci ha aperto un mondo nuovo e diverso.

Lovecraftesque è un gioco di ruolo tabletop di orrore cosmico nel senso più puro del termine. Tutti i giocatori si alterneranno nei tre ruoli previsti e vivranno una storia con un climax crescente già definito, che culminerà con il terribile incontro con un orrore sovrannaturale e terribile, come in una delle novelle del solitario di Providence.

La creazione della partita

Lovecraftesque è un gioco adatto soprattutto a one-shot. All’inizio i giocatori dovranno creare un’ambientazione nella quale si svilupperà la storia: definire quindi il tempo e il luogo in cui si svolgerà, aiutandosi anche con le numerose tabelle d’ispirazione che il manuale offre. Dopo dovranno decide il tipo di orrore tra Lovecraftiano, Investigativo, Eroico e Comico. Questa scelta avrà impatto sul modo in cui verranno trattati i temi e sulle direzioni che la storia prenderà. Alla fine sarà il turno della creazione del Testimone, il protagonista della storia, che dovrà essere un personaggio per cui tutti i giocatori riescono a provare empatia.

I tre ruoli

I giocatori, da due a cinque, si alterneranno nel ruolo di Testimone – il protagonista della storia, il cui compito è scoprire gli indizi che porteranno, lentamente, verso l’orrore – Narratore – il cui ruolo è quello di rivelare le stranezze e i misteri del mondo di gioco – e Osservatore – una figura particolare, che aggiungerà spessore alle descrizioni del Narratore e lo aiuterà a gestire dei personaggi non giocanti all’occorrenza.

La struttura del gioco

Il gioco è diviso in tre parti, che avanzeranno inesorabilmente verso l’orrore. Ogni parte è composta da più scene, costruite dal narratore, che si chiuderanno quando il testimone avrà scoperto un particolare indizio.
Nella prima parte l’enfasi è sul rivelare lentamente strani indizi che accennino al vero orrore ma che possono essere giustificati in modo razionale.
Nella seconda parte l’orrore sarà più palpabile e sarà chi gioca il testimone a decidere quanto rapidamente gettarsi a capofitto verso l’ignoto o quanto cercare di resistere e razionalizzare.
Nella terza parte si affronterà il viaggio nell’oscurità, che porterà al vero incontro con l’orrore per poi concludersi bruscamente.

Lovecraftesque Materiali di Gioco Carte Storie di Ruolo

Le carte

Per aumentare le varianti e le sorprese il gioco introduce delle carte, che possono essere spese da qualunque giocatore, per prendere il controllo della narrazione o aggiungere nuovi elementi che deviino la storia verso un’altra direzione. A seconda del momento in cui le carte verranno usate avranno effetti e riuscite diversi. Normalmente ogni giocatore pescherà una sola carta, tranne in una partita a due giocatori, dove le carte saranno due.

 

Le ipotesi

Alla fine di ogni scena il narratore rivela un indizio ma, prima di passare la narrazione al giocatore accanto a lui ogni partecipante dovrà scrivere quello che, secondo lui, sta succedendo. In modo da potersi fare un’idea di dove la storia andrà a parare. Questa è una meccanica interessantissima perché rende le storie incredibilmente fluide e le porta ad intersecarsi in un unico flusso man mano che le scene si consumano e nuovi indizi sono rivelati. Nessuna partita di Lovecraftesque è prevedibile fin dall’inizio e spesso risulta chiara solo negli ultimi momenti.

Il resto del manuale

Le regole e le carte di gioco occupano poche decine di pagine. Il resto del manuale contiene saggi sulla struttura delle storie horror, tra cui un saggio sulla Distanza Narrativa e una guida di stile all’autore. Ci sono anche numerosissimi scenari già pronti per essere giocati.

Perché giocarlo

Si  tratta di un gioco eccezionale per il suo genere, la struttura narrativa permette di ricalcare fedelmente il tipo di horror che vuole raccontare, non si sente assolutamente la mancanza di una figura di narratore fissa e genera storie sempre diverse senza mai uscire dai canoni base del genere. Lo consigliamo assolutamente per chi vuole un’esperienza horror diversa dall’horror investigativo puro di molti altri giochi di ruolo.

Consigli di Morgengabe

Di seguito alcuni consigli per giocare al meglio a Lovecraftesque , derivanti dalla nostra esperienza.

Morgengabe

Lovecraftesque Materiali di Gioco Tavolo

A metà Maggio sono stata trascinata dal nostro Unicorno di fiducia alla IndieCon e qui sono scivolata in un viaggio astrale che mi ha portata fino alla divina epifania con Polaris. Per darvi la misura di quanto l’impatto con il gioco sia stato profondo, vi dirò che non credo di aver mai letto completamente e di mia sponte un manuale che superasse le 10 pagine... fino a venti minuti fa (Shame on me and my cow!). Quanto segue è il mio piccolo apporto alla diffusione del verbo. Ringrazio sentitamente Luca Maiorani per aver portato questa perla e avermi dato modo di conoscerla.

Che cos’è Polaris

Polaris è un gioco di ruolo per  tre o quattro giocatori in cui si narreranno le ultime imprese di Cavalieri dell’Ordine delle Stelle, l’estrema e resiliente difesa contro la tragica e inevitabile caduta di Polaris – città di ineffabile bellezza e perfezione, scolpita nel ghiaccio dalla luce degli astri notturni al tempo della notte eterna... prima della venuta dell’alba e dell’Errore. Polaris cadrà, anzi è già caduta, corrotta, dilaniata dai demoni e inconsapevole, ma ancora per lei palpita una speranza: voi, zelanti novizi che ancora udite il canto delle stelle. È un gioco masterless (o masterfull, come alcuni preferiscono), dove ogni giocatore al tavolo interpreta un protagonista della storia sul quale ha autorità narrativa, ma alla narrazione della sua scena compartecipano sempre tutti gli altri giocatori: ciascuno, infatti, controlla anche i comprimari legati ai personaggi altrui, lo spiegheremo in seguito. Nasce dalla mente di Ben Lehman per il Game Chef 2004, edito in Italia da Janus Design, vincitore di alcuni premi tra cui l’Indie RPG Game of the Year Award nel 2005.

Cosmo del Personaggio. Guide del Cosmo.

Ogni cavaliere di Polaris ha una serie di descrittori che lo definiscono e sono le indicazioni che vi serviranno per completare la scheda del personaggio.Questi descrittori si raggruppano in quattro macro gruppi diversi: Valori, Aspetti e Temi, Cosmo e Guide. I primi sono valori numerici che serviranno per determinare storia e crescita del personaggio. Aspetti e Temi ne forniscono una serie di caratteristiche che riguardano le sue capacità, possessi, il suo retroterra e il suo ruolo nella società. Cosmo e Guide del personaggio hanno in particolare raccolto la mia attenzione: Il Cosmo è tutta la dimensione di relazioni, luoghi, oggetti che per un motivo o per un altro colorano la vita del nostro personaggio e lo rendono esattamente lui: è propriamente tutto ciò che lo circonda e lo identifica e di questo fa parte anche la sua propria identità. Il Cosmo è orientato dalle Guide: Cuore, Errore, Luna Nuova e Luna Piena. Il Cuore rappresenta l’identità del personaggio, l’Errore è il marchio della sua corruzione, i suoi tormenti, gli sbagli che ha compiuto o sta per compiere. La Luna Nuova e la Luna Piena, invece, rappresentano l’una l’insieme di relazioni umane, profonde e intime del nostro personaggio, l’altra la sua rete relazionale più superficiale e/o professionale.

La scheda del personaggio di Polaris

Perchè tutto sto spiegone? Come vi avevo già accennato, nel corso della narrazione tutti i giocatori intervengono nella vicenda di ogni personaggio e lo fanno proprio attraverso queste guide: l’autorità narrativa su tutto ciò che pertiene all’Errore nel cosmo del nostro personaggio non è nostra, ma del giocatore che ci siede di fronte (GOOD LUCK!). Stesso discorso per quanto riguarda la Luna Nuova, affidato al giocatore alla nostra sinistra e la Luna Piena, nelle mani del giocatore alla nostra destra. Ne consegue che, al tavolo, interpreterete non uno, ma quattro o più personaggi! (Non solo personaggi, per altro, ma anche luoghi piuttosto che oggetti etc..). Questo è un aspetto del gioco che mi ha colpita sia per la varietà di possibilità che introduce, sia per il senso di sfida e di indeterminatezza, ma anche di fluidità della situazione che permette di sperimentare. Il Cosmo infatti non è statico e finito, deve anzi essere aggiornato con il progredire delle scene e ciò che nasce, poniamo, come Errore potrebbe non esserlo o più, oppure l’Errore potrebbe fagocitare anche quello che era, in principio, il nostro migliore amico, ma che ve lo dico a fare…

Impostare una scena e la conversazione rituale

Polaris richiede che i giocatori siano conclusivi nelle loro affermazioni, non devono narrare tentativi, ma affermare gesti e conseguenze degli stessi: non si tenta di colpire, si colpisce e ferisce. Il gioco incentiva questa fermezza e spinge i giocatori ad andare diritti al punto della questione, pena il perdersi in cincischiaggini senza senso che finiscono per essere lunghe e noiose. Se una delle affermazioni fatte non incontrasse il favore degli altri giocatori al tavolo, questi avranno tutti gli strumenti per obiettare attraverso la dinamica del conflitto che può essere chiamata in ogni momento e più di una volta per scena, pertanto quando giocate a Polaris non dovete chiedere permessi. Trattandosi di una narrazione condivisa ha bisogno che i giocatori tra loro riescano ad intendersi in maniera chiara ed inequivocabile relativamente a cosa sta succedendo al corso della storia e per ottenere questo risultato il gioco introduce come espediente per narrare quello della conversazione rituale con frasi specifiche che significano e avviano situazioni specifiche della narrazione senza rompere l’atmosfera con prosaiche spiegazioni di “cosa sarebbe bello fare adesso…” si tratta davvero di una manciata di frasi molto molto semplici da ricordare che automaticamente rende tutti partecipi del loro ruolo in maniera quasi liturgica senza possibilità d’errore o sovrapposizioni. Il sapore che lascia è quello di una storia coesa e coerente in tutte le sue parti, che procede bene, senza incespicare su sé stessa e mantiene quindi alta l’attenzione del giocatore che la vede dipanarsi sotto i suoi occhi e - con una punta di fierezza - tra le sue mani. Più di una volta mi sono sorpresa a pensare “Ma che bella questa cosa!”, piuttosto che realmente emozionata dall’avvicendarsi degli eventi (ad onor del vero -devo dirlo- forse a questo ha contribuito molto la bravura dei miei compagni di gioco). Altra chicca di doverosa segnalazione: è possibile impostare una scena sia come Cuore che come Errore, e trovo sia estremamente veritiero e performante: le brutte situazioni ci chiamano in causa a loro piacimento, piuttosto che il contrario. Se impostate una scena come Errore (e quindi antagonista), obbligate il personaggio di cui siete Errore a entrare in gioco come protagonista. Non avete idea di quanto possa essere esaltante, soprattutto se siete un demone a due teste di dolorosa bellezza…

Un’esperienza che Logora

Al termine di una scena bisognerà valutare se il Cuore si è esposto ad una possibilità di crescita della propria esperienza ricreando nella narrazione una o più situazioni emergenti indicate con precisione sul manuale. La meccanica è ben bilanciata i primi balzi sono relativamente rapidi, poi però (e qui uso una felice espressione di Stefano Burchi) sei a soffriggere lentamente. Vorrei a questo punto stendere un dubbio sul concetto di avanzamento: a differenza di altri giochi in cui accumulare esperienza ci rende più forti, in Polaris siamo cavalieri sull’orlo della fine; fare esperienza ci rende più consapevoli, più abili, ma non più forti. Anzi, l’esperienza e la comprensione del mondo che ci circonda scagliano duri colpi allo spirito del nostro eroe che non fa che guadagnarne in incertezza e disperazione. Questo concetto è espresso molto molto bene dalla meccanica di aumento exp in una stretta di mano perfetta tra concept e design del gioco, tanto che il segno inequivocabile dell’essere diventato un veterano è proprio il passaggio dal valore di Zelo a quello di Logoramento.

Il Rovesciamento del Simbolo

Tra tutte le cose meravigliose che mi hanno colpita di questo gioco, ultimo, ma non meno importante è il rovesciamento della simbologia tra Notte e Giorno, Inverno e Primavera, Gelo e Calore. In Polaris l’eterna notte costituisce il momento di pace idilliaca del principio, l’età dell’oro, della comunione con le stelle. Poi venne l’Alba, e con sé portò l’Errore. Il Manuale ci narra la vicenda con il sapore di una storia antica e perduta e offre degli spunti interessanti per definire cosa sia l’Errore, ma non lo rivela, lasciando ai giocatori la facoltà di decidere come e quando si sia compiuto, se lo desiderano, oppure di non definirlo neppure e, semplicemente, prenderlo per qualcosa che è avvenuto ed è stato dimenticato, ma le sue conseguenze catastrofiche sono ancora qui e bisogna farci i conti. Polaris è un mondo perfetto, eternamente perfetto e per questo fallito. I Cavalieri dell’Ordine delle Stelle lottano per la difesa di uno status quo immobile che non può sopravvivere e ad ogni autunno conteranno quanti ne hanno persi, mentre l’Errore, florido, si sarà espanso ancora un po’ fino a toccare le Vestigia (i quattro quartieri della grande città, soli rimasti a testimoniarne la grandiosa esistenza). Per la prima volta mi sono scoperta ad osservare la primavera con terrore e disperazione, come ad un cambiamento violento a cui opporsi non ha scopo, che abbracciarlo sia davvero l’unica via?

La Primavera del Botticelli

Anche nella Primavera del Botticelli, il cambiamento della nuova stagione non è solo positivo.

In conclusione

 

Buonsalve a Tutti
Nené

Ho avuto modo di provare al GDR al Buio il gioco La Spada e Gli Amori, hack creata da Antonio Amato (con delle stanze poetiche scritte dal nostro Ivan Lanìa!) per il gioco Archipelago III (di Matthijs Holter). Dopo la partita ho avuto modo di parlare con gli altri giocatori e, da solo, di riflettere su come vengono presentate le regole nei due giochi e, più in generale, in giochi di ruolo e di narrazione - sebbene non voglia ovviamente fare di tutta l'erba un fascio.

Sommario

Premessa

Dopo la lettura di Archipelago sono rimasto un po' stranito e frastornato perché il gioco non riusciva ad entrarmi in testa, nonostante sia ben scritto e abbia i dovuti esempi e consigli di gioco (e anche molti!). Invece, La Spada e Gli Amori (da ora LSeGA) mi è risultato più chiaro e, benché abbia compiuto alcuni errori nell'impostare la partita giocata (come potete leggere nel post In Gioco delle scorse settimane), mi trovavo più comodo a consultare il manualetto in caso di problemi. E sì: ho spesso ricordato male le regole durante la sessione di gioco, ma vi assicuro che ho letto Archipelago più d'una volta e con cognizione, tanto da ricordarmi che esistessero certe parti del testo, ma dimenticando dove.

Mi sono chiesto come mai ciò accadesse e ho dato colpa, inizialmente, al fatto che non avevo mai giocato un masterless senza aiuto da parte di altri giocatori e che, magari mi confondevo tra i due testi. Eppure non sembrava essere solo quello: dalla sessione ho capito che c'era dell'altro e ho cercato di darmi una risposta, forse molto più grande, che coinvolge i giochi di narrazione e di ruolo in generale. Dalla risposta che mi sono dato sono derivati due ragionamenti paralleli che qui vi presento.

Testi a Confronto

Tratterò in futuro, anche per chi volesse cimentarsi nella scrittura di giochi di ruolo, della annosa questione del testo dei giochi di ruolo e di narrazione. Personalmente sono convinto che il GDR e i giochi di narrazione, a differenza dei giochi da tavola, siano una comunicazione in differita in cui i documenti proposti per giocare sono fondamentali: in un gdr non posso sempre godere di un feedback diretto delle componenti di gioco come potrebbe avvenire in un 7 Wonders o in un Century, né affidarmi a riassunti o presentazioni demo spicce che possano coprire tutte le regole - benché alcuni brevi gdr siano in parte adatti a questo.

Archipelago ITA Copertina Gioco di Narrazione Matthijs Holter

Archipelago

Archipelago III si propone come un testo che tenderei forse a indicare dall'aspetto simile al testo di un gioco freeform. Uso deliberatamente quanta più cautela possibile perché i testi freeform che ho letto per ora si contano su una mano e poi c'è l'annosissima questione di cosa sia un freeform1: diciamo che la struttura visibile del testo propone delle regole e una serie di possibilità di gioco, più diversi consigli per risolvere problematiche o punti dubbi del regolamento base. Come in alcuni altri freeform che ho letto, l'attenzione non è dunque sul come giocare (intenso in senso ampio, cioè indicando sia una assenza di meccaniche tradizionali come statistiche e punti, sia di indicazioni precise su come porre in gioco una data procedura), quanto su cosa si gioca.

Ciò che mi disturbava di Archipelago è la sua estrema calma e pazienza. In alcuni punti l'assenza di definizioni e proposizioni nette sul chi dovesse fare qualcosa e perché (la cui presenza forse tenderebbero a rompere l'assunto di essere freeform) mi davano l'impressione di reggermi sul nulla. Mi sentivo cioè senza la terra sotto i piedi, anche essendo neofita del genere "masterless" o "masterfull". Ero infatti più comodo in parti (che tra l'altro ricordo meglio) come Creare i personaggiImpostate la scena, dove il testo indica esattamente cosa compiere, rispetto a parti come Definire una nuova ambientazioneIniziare la sessione, che invece introducono in maniera un po' serpentina elementi anche importanti (come il dover stabilire i Punti del Destino, che sta all'inizio di Iniziare la Sessione e non in Usare i Punti del Destino, né possiede un paragrafo a sé stante). Poteva essere un errore di traduzione? Assolutamente no.

La Spada e Gli Amori

La Spada e Gli Amori

Quando ho approcciato invece La Spada e Gli Amori ho avuto subito ben chiaro come dovevo agire in quei punti che in Archipelago erano a me oscuri. Non è tanto o solo il fatto che LSeGA spiega con più precisione concetti solo accennati in Archipelago, come le Autorità, ma anche che la costruzione del testo mi risultava più intuibile. Ad esempio, oltre a descrivere le Autorità su temi nel Capitolo 2 - Il Gioco, LSeGA ripropone le modalità con cui stabilire chi ha Autorità su cosa anche nel Capitolo 3 - Impostare il Gioco, che ovviamente introduce passo dopo passo cosa bisogna fare prima di iniziare a giocare.

In generale, LSeGA si comporta così per tutto il suo testo: è una riproposizione di alcune regole e concetti di Archipelago, rispiegate però nell'ottica di una giocata vera e propria. È più una rappresentazione del processo che delle procedure. Il testo mi ha permesso di aiutare i giocatori spesso durante la sessione, ricordando loro alcune regole che (pur essendo presenti nelle carte-riassunto distribuite) erano un pelo difficili da ricordare tutte alla prima sessione. Quando cerco invece qualche dettaglio importante delle regole in Archipelago, non riesco a trovarmi a mio agio e ci metto un po' a venirne a capo.

Questo problema è (senza dubbio) soggettivo, anche perché già Edoardo si è trovato molto bene nella lettura e comprensione di Archipelago rispetto a me. Tuttavia, nonostante la soggettività del problema, mi sono spinto verso una analisi critica dei due testi per individuare possibili cause oggettive: ne è scaturito una (credo) interessante proposizione di tre argomenti di design che, vi anticipo, non mirano come questa prima parte a stabilire quale dei due giochi sia migliore, bensì a decretare le differenze ed evidenziare i punti di forza rispettivi.

Scelte di Design a Confronto

Mi si concederà una doverosa precisazione. Qualcuno potrebbe obiettare che io presenti delle analisi di design partendo dal testo dei due giochi e non considerando la loro effettiva riproposizione. Ciò è vero, ma non è sbagliato a prescindere: prima di tutto perché Archipelago e LSeGA sono lo stesso gioco e le differenze sono appunto nella loro presentazione; secondariamente, e connesso a quanto già detto, se è vero che un gioco di ruolo o narrazione fornisce molta più importanza al testo di altri tabletop games, allora una diversa scelta di proposizione dei contenuti del gioco rappresenta di fatto una scelta di design diversa.

Meme Wizards with out Coats Storie di Ruolo (1)

Procedure di esplorazione vs. processo di esplorazione.

Procedura e Processo

Sono arrivato a credere negli ultimi mesi (o anni) che molti giochi di ruolo trascurino un aspetto fondamentale che LSeGA invece non tralascia: anziché presentare solo le procedure di gioco, Amato tende a mostrare anche il processo di gioco. Durante la ricerca nell'ambito del game design che ho fatto per questo articolo mi sono scontrato con, ovviamente, l'assenza di un dizionario condiviso: ogni testo che ho consultato, infatti, non solo proponeva approcci molto diversi tra loro, ma anche analisi su argomenti similari con termini differenti. Districarsi non è stato facile: io partivo da due concetti che per me erano molto chiari (procedura, processo) e i testi che consultavano moltiplicavano le terminologie di concetti che mi sembravano uguali. Fortunatamente sono riuscito a comprendere come si incastrano le mie personali folli elucubrazioni e quello che, invece, propongono razionalmente i vari tomi che ho consultato.

Partiamo però da due definizioni di massima. Chiamerò Procedura quell'azione o insieme di azioni che, similmente ad una macro, sono proposte e intese per essere eseguite in maniera automatizzata. Ovviamente dovrebbe risultarvi chiaro che sto parlando di un livello di gioco superiore a quello delle meccaniche: una Procedura presuppone la sua attuazione per ottenere un prodotto, che è in questo caso il farsi di un gioco. È difficile notare una procedura in un gioco di ruolo perché di solito sono molto brevi e "nascoste" nel design, ma in Archipelago è notabile.

Il gioco ad esempio ti dice che quando qualcuno, non importa chi sia, pronuncia la frase Non sarà così semplice nei confronti di un'azione del personaggio del giocatore attivo, egli pesca la carta, la passa ad un giocatore a sua scelta la quale o il quale la interpreta e fornisce un esito per l'incertezza narrativa che era apparsa in gioco.  In questo caso c'è una procedura, perché sia l'insieme di regole che le eventuali eccezioni (come il fatto che la frase possa essere pronunciata una sola volta per turno contro un giocatore attivo) possono essere introdotte in un workflow chart che riassume bene l'automatismo dell'esecuzione dei vari step. Il problema è che non viene indicato il cosa sta accadendo, in altre parole il perché debba avvenire questo processo ad opera dei giocatori.

Bene, ma quindi cosa è un Processo? Il Processo è, per me, la presentazione di come una procedura debba essere messa in atto, o meglio chi debba fare cosa perché in quel modo. Cercando sul web qualcosa che permettesse di chiarificare questo ho avuto poca fortuna se non individuare un testo che spiega giuridicamente cosa siano proceduraprocesso. Mi sono appropriato dei contenuti perché con quelle parole io intendevo praticamente la stessa cosa - ora potete chiamarmi nazi-ruler o rules-lawyer se volete.

Rules Lawyer Meme Storie di Ruolo

Ora, lungi dal volervi costringere a leggere quell'articolo, isolo le parti che m'interessano:

[...] La procedura è un insieme di attività ripetitive, sequenziali e condivise tra chi le attua. Esse vengono poste in essere per raggiungere un risultato determinato. In sostanza, è il “che cosa” deve essere attuato per addivenire a un “qualcosa”, a un prodotto, descritto sotto forma di “regole”, [...].

[...] Il processo è l’insieme delle risorse strumentali utilizzate e dei comportamenti attuati da persone fisiche o giuridiche finalizzati alla realizzazione di una procedura determinata. In altre parole, è il chi fa che cosa. 

[...] Mentre la procedura è perlopiù codificata ed è neutrale rispetto alle persone che la realizzano, il processo, invece, è affidato a persone e può essere modificato in funzione di variabili ambientali.

Solo in questo momento, leggendo queste ultime parole in grassetto, ho capito la connessione tra i miei ragionamenti, i testi che stavo consultando e i due giochi che, pur uguali, si presentavano dissimili sotto ai miei occhi.

La bellezza di Archipelago III

Giunti a questo punto, un ringrazimento dal sottoscritto. Siamo oltre il giro di boa, ancora qualche paragrafo e avrò finito. Come ricompensa, voglio fare una breve digressione qui per evitare che mi si accusi di ritenere Archipelago III un gioco brutto: io ho letteralmente adorato sia Archipelago che LSeGA, d'altro canto sono lo stesso gioco. Ciò che intendo dire con questo post è che io preferisco la presentazione che ha fatto Antonio Amato poiché, in modo inconscio o conscio (spero il secondo), ha costruito un testo che incontra maggiormente il mio modo di pensare e di agire.

Io infatti sono un giocatore processuale. Adoro e preferisco quei giochi che mi chiarificano esattamente "chi e quando qualcuno deve fare cose". Attenzione, chiarificare significa "rendere il più semplice possibile da intuire dalle regole o dal regolamento". Credo di essere un giocatore da spirito del gioco desunto dalle regole così come pensate (rules as intended), cosa che è un po' ossimorica e che sicuramente risulta un pugno nell'occhio, ma che è spiegabile: se mi si presentano le regole indicando chi debba fare cosa perché in quel modo, sono più che disposto se non apertissimo a modificare regolamenti, applicare house rules, costruire nuovi contenuti di gioco, eccetera. Perché, in un paradosso simile alla stormwind fallacy, lo spirito del gioco non scende dal cielo, ma può essere appreso tramite il modo con cui il gioco è presentato e se il suo tema è ben spiegato - perché dubito che il designer di un gioco possa fare tour a casa di ogni persona che ha comprato il suo gioco in giro per il pianeta. È semplicemente poco economico. Dedicherò a questo argomento un altro post.

Però esistono anche giocatori procedurali, cioè persone che si trovano più a loro agio imparando semplicemente le regole, spesso se contengono solo o perlopiù procedure, e apparentemente deducendo lo spirito o tema del gioco dal contesto di gioco stesso mentre lo si gioca e da altri che hanno giocato a quel gioco, confrontando le esperienze. In realtà sono convinto che dietro a questi giocatori vi sia semplicemente una maggiore predisposizione a intuire il tema che sottendono le regole, benché non abbia conferme o prove da potervi mostrare. Però possiamo semplicemente affermare che un giocatore procedurale intuisce meglio di uno processuale le interazioni tra le meccaniche e il loro significato, vale a dire intuiscono la parte di gioco che potremmo definire connotativa (che è una generalizzazione del significato associativo): intuiscono subito le interazioni e le strategie che sottostanno al gioco, generando anche una serie di sovrasistemi che migliorano la performance del giocatore e, nel caso solo del gdr, del personaggio.

Il Gameplay Emergente

L'apparente contrasto tra me e i due giochi e tra queste due tipologie di giocatori viene dunque ad appianarsi ad una singola problematica connessa soprattutto al rapporto tra il tema/spirito del gioco e il sistema: infatti, è possibile che sia giocatori procedurali che processuali adorino un gioco per le strategie che esso sottende a discapito del tipo di meccaniche che utilizza. Per esempio, Musha Shugyo è in alcuni ambienti un po' ostracizzato per via della sua ibridazione con i giochi da tavolo, ma altri lo adorano alla follia per la sua semplicità e per cosa deriva da essa: vale a dire che lo apprezzano per cosa ci puoi costruire sopra (seguendo il tema, ovvero i picchiaduro, che è ben definito e presentato dal gioco) partire da ciò che presenta (cioè un regolamento di circa 30 pagine).

Ed è qui che vorrei introdurre un argomento, un concetto quasi, che mi terrà occupato anche per i prossimi mesi del 2018 e che già Ivan, forte di un dialogo che abbiamo sull'argomento, ha per voi anticipato nel post su Trollbabe: parlo del gameplay emergente.

Molti di voi avranno già sentito parlare di fiction emergente (emergent narrative), vale a dire una narrazione che viene evocata dal gioco e non è pregressa alla sessione o alle sessioni: è ciò che risulta dall'interazione tra personaggi e giocatori (incluso narratore) e che spesso porta un personaggio non giocante a diventare più interessante facendo muovere ciò che il master aveva pensato di introdurre in gioco, anche in quei gdr che non hanno una narrazione condivisa.

Onitama Scacchi Gioco da Tavolo Storie di Ruolo (1)

Il gameplay emergente è un concetto che ho appreso dal gioco degli Scacchi (e presente anche in giochi simili, come Onitama) e rappresenta, parimenti alla fiction emergente, l'emergere appunto di un modo di giocare e di una interazione tra le regole che non era prevista in prima istanza e/o che costruisce qualcosa di più complesso ed intrinseco con il gioco. In questo senso, il gameplay emergente è anche quell'insieme di profondità e complessità che si crea spesso a partire da poche regole esattamente come avviene in giochi come scacchi, dove ad un dato insieme di regole abbastanza semplici da apprendere (vale a dire come si muovono i pezzi sulla scacchiera) corrispondono infinite combinazioni ma, soprattutto numerosi processi e procedure di gioco costruite dai giocatori stessi come le aperture o le chiusure.

Per me Archipelago ed LSeGa rappresentano proprio questo: un insieme di regole ben definite che, tuttavia, introducendo uno solo procedure (Archipelago) e l'altro un insieme di possibili processi di gioco (LSeGA), permettono tuttavia la costruzione di un modo di giocare, un gameplay, che emerge dal gioco. E proprio il fascino derivato dall'esplorazione delle varie interazioni dinamiche che avvengono tra le regole durante la partita ha rappresentato il plauso dei giocatori durante la sessione condotta al GDR al Buio.

L'interesse deriva dunque dalla ricerca di una exploitation (parola per me introducibile in italiano) di quelle che sono le potenzialità di un sistema, sia da un punto di vista di procedure (ovvero cosa devo attuare per giocare e in che ordine), sia dal punto di vista del processo (ovvero il chi deve attuare e perché una data regola). Anzi è proprio lo scontro tra procedure e processi che a mio parere permette di generare sulle regole il gameplay che ci appassiona ad un gioco, il costante condividere impressioni e idee su come possiamo giocare un dato gioco all'interno delle sue regole.

Meme Localizzazione Cultura Gioco Storie di Ruolo

Cultura e gioco - e meme interessanti.

Culture a Confronto

Ovviamente, avendo una scarsissima capacità di giocare a scacchi, è dimostrato che io in quanto giocatore processuale non sono un buon analizzatore e interpretatore di gameplay emergente: già Edoardo, che immagino sia un giocatore di tipo procedurale, ha semplicemente letto il regolamento e dedotto una o due dinamiche che erano effettivamente emerse nella mia sessione dall'incastro tra personaggi, frasi rituali e carte risoluzione. Sebbene sia ovvio che la causa possa essere una maggiore chiarezza di pensiero e una maggiore attenzione da parte di Edoardo al regolamento, immagino che ci sia anche un altro piccolo tassello da introdurre.

Questo tassello è l'interpretazione dei giochi come forme di espressioni culturale, entro i quali è possibile intuire una certa metodologia di pensiero, se volete fare un inside joke potremmo dire un pensiero strategico emergente e connesso (non opposto) ad un bagaglio culturale.
Immagino che, perché sono italiano o sono un umanista, il mio bagaglio culturale sia legato al processo perché la mia mente ragiona maggiormente sul chi e perché compie qualcosa. Lo riconosco anche come scrittore e giocatore (quelle poche volte che non faccio il master): la mia capacità strategica è derivata dal riflettere sul perché il mio personaggio dovrebbe eseguire una data azione oppure sul chi potrebbe risolvere la situazione. Immagino che invece un giocatore con un bagaglio culturale differente, forse scandinavo o informatico/ingegneristico, sia più propenso ad attuare un pensiero che sia incentrato su ordine e contenuto delle regole da attuare perché già proiettato alla loro messa in opera e poco interessato a chi (o già sicuro di chi) le debba mettere in pratica.

Conclusioni

È chiaro che il bagaglio culturale di un autore influenzi il modo di presentare un gioco, ma su questo ultimo punto mi riservo di dire di più una volta approfondito l'argomento. Al contempo, sono sicuro che il motivo per cui personalmente preferisco LSeGA rispetto ad Archipelago abbia avuto modo di permettermi di arrivare a capire che entrambi le tipologie di giocatori presentati possono essere interessati, ognuno a loro modo, alle dinamiche che emergono da un gioco premiandolo per una semplicità di regole a fronte di una profondità di gameplay.


[1] Intendo dunque freeform nel senso di un gioco di narrazione che scardina le strutture tradizionali e anche quelle narrative classiche, e non in senso di freeform nordic o UK - l'unico post che conosco e che posso linkarvi è questo di Leaving Mundania. Diciamo che si sente la necessità forte di avere un bel lessico comune, perché il mio intento non è offendere nessuno, ma se dovessi portare avanti un blog come questo senza ledere nessuno solo perché mancano lessici ben definiti avrei le stesse probabilità di pubblicare post quanto quelle di vincere ad una slot machine. Forse.


Fonti

Raduno qui alcuni titoli e link che mi sono stati utili in formato non accademico Titolo, Autore.

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