Ebbene sì. Sono due anni circa dall’inizio del GDR al Buio, o meglio da quel fatidico giorno di fine giugno in cui ebbi la MALSANA idea di segnare su un pezzo di carta le parole “gdr” e “buio” assieme. Quel pezzetto sarebbe poi tornato alla luce a settembre del 2016 e il resto è storia.
Il GDR al Buio è diventata un'iniziativa stabile ed esplosiva, nonché rapida ad espandersi. Siamo partiti a Pavia con questo modello di gioco, “entri, ti siedi e giochi”, che è molto semplice da spiegare: non sai che gioco giocherai o con chi giocherai, ma sai che ci sarà un gioco pronto per te.
La prima volta del GDR al Buio andò benissimo: non venne nessuno. Imparai che il martedì pomeriggio e l’improvvisazione non bastano, ma scoprii che il gestore della fumetteria SuperGulp di Pavia considerava la mia idea una di quelle buone e, nonostante fosse un amico di adolescenza, era importante la sua opinione per me.
Edoardo è saltato sulla macchina in corsa così presto che lo considero un co-fondatore del Buio ed è solo grazie a lui che possiamo parlare del Buio a livello nazionale. Io e lui abbiamo imparato molto dal primo anno del Buio pavese: giocavamo una volta a settimana, un ritmo imbarazzante, ma fu un’epoca bellissima di gioco-gioco-gioco. Da lì e dagli eventi del Buio successivi abbiamo imparato molte lezioni, cioè cose che abbiamo capito di dover fare e cose che il GDR al Buio ci insegna in generale.
Ne ho raccolte dieci per voi per celebrare questo ideale biennio.
In eventi di gdr organizzato come il Buio è essenziale prendere al balzo il giocatore che ti tende una mano, ringraziarlo e portare a casa tutto quello che puoi. Un giocatore ricorda meglio una regola di te? Vai, dimmela. Sai a che pagina è quel mostro che ti ho appena descritto? Molto bene, voglio saperla. Hai già letto questo gioco e mi stai dicendo che questa regoletta è diversa? Benissimo.
L’aiuto dei giocatori è essenziale perché noi leggiamo un gdr ogni mese, a volte anche 2-3 gdr al mese. Gli organizzatori del Buio sono cioè divoratori di gdr e io stesso quando leggo un gdr, lo leggo: è rarissima l’occasione in cui un gdr che compro non venga letto riga per riga, parola per parola - di solito quando quel gdr è confuso, complesso o noioso. Con un ritmo pari a quello del Buio, però, i gdr si possono confondere, le pagina sfocano in background ed è dunque una manna dal cielo se qualcuno sa qualcosa che tu non ricordi velocemente. Il concetto è il tempo: se può velocizzare le cose, benissimo. Altrimenti se il gdr lo permette dovrai decretare tu cosa fare.
Ovviamente anche collaborare con altri master e organizzatori è essenziale…
Il GDR al Buio è un’operazione di socializzazione, come vedremo. La collaborazione è essenziale con i giocatori, ma è praticamente la pietra angolare dell’organizzazione: devi avere collaboratori se vuoi gestire un'iniziativa di gioco organizzato. Collaborare con altre persone riduce la tensione e ti permette di stare meglio nella stanza mentre masteri la sera del Buio - perché i collaboratori sono il tuo paracadute, vedono per te mancanze o opportunità.
A volte dovrai essere tu però il collaboratore: io stesso sono a volte il fixer di Edoardo, Filippo e Samuele (colleghi del Buio pavese, ciao!), altre volte loro lo sono con me.
Avete presente quelle cose che sembrano banali ma vengono sottovalutate? La location è una di quelle cose in un'iniziativa di gioco organizzato: si pensa alla dimensione “gruppo”, in cui bastano quattro sedie, un tavolino IKEA e delle matite, e si scordano i dettagli che servono davvero.
Non bisogna mai sottovalutare cose che si pensano marginali della location ed ecco una breve lista dei miei wanted:
Ovviamente il gestore della location nel nostro caso è un aiuto importante: se siamo in fumetteria, in un pub, in una zona gestita da altri, loro sono quelli a cui possiamo chiedere un parere - e il motivo per far rispettare le loro regole da parte dei giocatori.
Se devi sudare, suda prima di una sessione di gioco organizzato. Leggi le cose per tempo e cerca actual play se esistono per ascoltarli. Non importa se devi mangiare mentre ascolti youtube anziché parlare con altri o chiedere ad altri info su un gioco anziché guardare youtube: se devi sudare per portare il gioco a casa, suda fino a quando non vai oltre la soglia della stanza dove giocherai.
Se io sudo prima, durante la sessione (anche se ci sono intoppi) non sudo.
Il GDR al Buio e tutte le iniziative di gioco organizzato dicono una sola cosa, hanno una sola voce: i giocatori esistono. Non fermarti all’idea che siano questo unicorno arcobaleno che si fa vedere agli eventi solo a lune piene alterne: esistono, basta tirarli fuori dalla loro soffitta o cantina. Per farlo devi mettere qualche esca.
Attiri lavoratori col Buio perché c’è zero sbattimento: schede prefatte, matite e dadi portati da noi, una location magica. Attiri family guy con il Buio perché non devono tornare ogni volta, non è una campagna. Attiri chi ha pregiudizi e di solito ti dice di no a sessioni di un certo gdr perché al Buio non sai cosa giochi. E i neofiti? Beh, in eventi come il Buio abbiamo notato che non sapere con chi giocherai gli permette di minimizzare la sensazione di “sbagliare” al gioco ed essere ripresi da amici.
I giocatori quindi esistono. Il problema è farli tornare: questo avviene tramite puntualità, materiali pronti, serietà e passione.
Al GDR al Buio hai poco tempo, cosa che credo non sia simile ad altre iniziative di gioco organizzato. Almeno, non che io conosca. A Pavia abbiamo due ore e mezza, a Bologna qualche mezzora in più. Cosa ho imparato da questo? Siccome hai poco tempo, non devi aver paura di fare economia e (se il gioco permette) di spingere l'acceleratore. Osa dove il gioco permette, gioca cose interessanti. Fatti aiutare dai giocatori in questo.
Persone sono venute al Buio con pregiudizi su un gdr, l’hanno giocato e hanno ricambiato idea; altri hanno mantenuto il loro bias. Ma entrambe sono uscite dal Buio senza pregiudizi: avevano ora argomenti per dire come mai non gli piaceva o improvvisamente gli sembrava meglio del normale.
Togliere dall'equazione il sapere che gioco giocherai disincentiva i pregiudizi anche e soprattutto per chi crea giochi come me. Portare un proprio prodotto in beta ad un Buio è qualcosa di emozionante, quasi un blind test perchè anche se lo masteri tu di solito incontri persone fuori dalla tua bolla, gente che può davvero darti nuove critiche, nuove osservazioni - e anche qui niente pregiudizi, perché lo giocano non sapendo che lo giocheranno.
Ovviamente, i punti soprastanti non funzionano se hai paura di buttarti. Non sempre puoi preparare tutto, non sempre le cose s’incastrano a perfezione. A volte si arriva in ritardo, altre volte arrivano in ritardo i giocatori: devi adattarti e buttarti, specie a ridosso dell’evento, altrimenti non esisterebbe mai un gioco organizzato.
A volte è anche vero che è solo un’impressione, quella di essere impreparati, e la maggioranza delle volte il “buttarmi” si è tramutato comunque in un successo: tutte le paranoie sono scomparse, confidando anche di avere dalla mia amici e persone capaci di aiutarmi (e sapendo di aver sudato prima); il resto è andato a posto da solo.
Questo punto è forse il più importante per il gioco organizzato: devi dare l’esempio. Come organizzatore hai una responsabilità quando ti rapporti coi giocatori e con gli altri master e devi tenere conto che sei sempre sotto gli occhi di tutti, anche quando pensi che non lo sia.
Inoltre, se ti poni nel modo giusto puoi anche estendere la giusta attitudine agli altri, influenzando positivamente sia i tuoi collaboratori a fare meglio, sia i giocatori a rispettare l’organizzazione del Buio e la location.
Dare l’esempio a volte non si ferma solo al luogo dove hai organizzato il gioco: anche al di fuori devi sapere che per alcuni tu sarai “quello che organizza…” e devi cercare di diventare diplomatico, di spiegarti, di argomentare anziché andare a spron battuto contro tutti. È difficile, certo; ma devi tentarci - e se proprio non ci riesci perché qualcuno ti fa davvero perdere le staffe, magari è meglio non collaborarci più, se possibile, anche se ti piange il cuore.
L’ultimo punto può sembrare una chiusura in minore, ma è il motivo stesso per cui esistono iniziative di gioco organizzato: socializzare. Io volevo togliermi da quella dinamica per cui dovevo trovarmi giocatori, convincerli a giocare al gioco X e sperare nel meglio - una sorta di disperato bisogno di tornare a socializzare; ma certamente chi partecipa a dei giochi organizzati mira ad esperire il gioco su un nuovo livello, specie se si parla di eventi multitavolo.
Nel nostro piccolo abbiamo spinto al Buio una meccanica semplice ma che è molto funzionale: ai gruppi storici che si presentano compatti chiediamo di suddividersi su più tavoli. Nessuno ha mai detto di no e, anzi, si sono tutti trovati molto bene e hanno stretto amicizie nuove, che è molto più di quanto potessi immaginare per il GDR al Buio.
Socializzare significa anche creare momenti tra giocatori e organizzatori e master affinché possano discutere al di fuori del gioco di ruolo. Questo e la separazione dei gruppi al tavolo crea dialogo e abbatte barriere tanto quanto il punto 7, sebbene su un altro livello.
E questo è tutto! Il mio decalogo per i due anni del GDR al Buio è finito. Voi avete partecipato a eventi di gioco organizzato? O ne avete creati? Fateci sapere cosa ne pensate e se avete imparato delle lezioni come giocatori o master organizzandoli!
Se vi è mai capitato di chiedervi come si crea un gioco di ruolo basato su un altro sistema, dovreste scalpitare per trovare una copia di Archipelago III (di Matthijs Holter) e de La Spada e Gli Amori, hack creata da Antonio Amato (con delle stanze poetiche scritte dal nostro Ivan Lanìa!) che mi ha lasciato notevole prurito alle mani giocandola giovedì al GDR al Buio - tra la soddisfazione mia e dei giocatori. Era il mio primo gioco masterless (anche se preferisco dire masterfull) che portavo al GDR al Buio, nel senso che avevo già giocato ad altri giochi senza la figura di un master tradizionale - come The Skeletons - ma era la prima volta che ne portavo uno senza l'aiuto diretto e in loco di qualcun'altro che già conoscesse quel gioco.
Al GDR al Buio di inizio Aprile pensavo di portare Archipelago III, che ho preso a Play 2018. Ma leggendo il manualetto di 34 pagine tradotto dalla Mammut RPG mi sono accorto che c'era qualcosa che non mi quadrava. Ci sono tutti i giusti paragrafi di un gioco di narrazione ben organizzati, dall'impostazione del gioco fino alla presentazione delle procedure da compiere durante il proprio turno. Eppure leggendo l'hack La Spada e Gli Amori mi sono scontrato col fatto che mi sembrava più diretto e semplice sia da comprendere nel modo da presentarlo ai giocatori, sia nel modo di giocarlo vero e proprio.
Riflettendo dopo la sessione sul gioco, ho potuto constatare alcuni elementi che mi hanno permesso di apprezzare La Spada e Gli Amori (da ora LSeGA) forse ancora di più rispetto al suo "genitore" Archipelago III - e che hanno anche a che fare con il modo con cui il gioco viene presentato. In questo discorso, tra l'altro, l'assenza del master come vedremo c'entra poco, sia perché se fosse quello il mio problema allora non mi piacerebbe neanche LSeGA. Era qualcosa di diverso, qualcosa che derivava da un lato dal fatto che non avevo mai dovuto leggere un manuale di un gioco di questo tipo per giocarlo assieme a persone che non sapevano nulla del gioco; dall'altro da una cosa che non mi capitava da tempo. Infatti, rispetto ad Archipelago e LSeGA in quanto masterless... ero da considerare un vero e proprio neofita!
Dunque, ragionando come tale, come persona che non aveva ancora carpito alcune dinamiche di questo tipo di gioco, è stato interessante doversi creare nuovi meccanismi mentali e ragionamenti che in un tradizionale non compaiono di solito (mi mancava, cioè, il gameplay emergente di tali giochi) - così come far fronte alla presentazione e alla gestione delle regole, giacché ero al tavolo l'unico che le sapesse un poco (per quanto tutti potevano prendere il manualetto in mano quando ne sentivano necessità). Ammetto, senza infamia, di aver compiuto qualche errore come potrete leggere, ma tutto sommato credo di essermela cavata con grande soddisfazione dei giocatori!
Il tavolo di gioco della sessione: la vedete la mappa? Si che la vedete!
Archipelago e LSeGA sono dei masterless un po' particolari e forse per me è improprio usare questo termine, come già detto. Infatti, ogni turno il giocatore attivo interpreta e muove il suo personaggio mentre gli altri ricoprono il ruolo che nei gdr classici è dei Master, suddividendosi autorità sulla storia: è una sorta di master diffuso tra i giocatori, che interagiscono con il resto del tavolo addossandosi la responsabilità di controllare che un certo Tema venga introdotto correttamente e variando la direzione della storia con alcune Frasi Rituali. La cosa importante del gioco, ed il motivo per cui l'ho apprezzato molto fin da subito, è che nel proprio turno il giocatore attivo interpreta il proprio personaggio: io non sono infatti un fan sfegatato dei giochi in cui l'autorità narrativa su un personaggio è condivisa, perché ottengo più soddisfazione quando riesco a calarmi nei panni di un personaggio.
Ogni giocatore crea il proprio personaggio sulla base dell'ambientazione, anche potendo rinarrare le vicende di personaggi famosi del setting. Tuttavia, se in Archipelago questo viene gestito semplicemente discutendo tra i giocatori dei personaggi, LSeGA presenta una serie di Archetipi della tradizione dell'epica cavalleresca con annesse domande a cui i giocatori rispondono per stabilire alcuni elementi cardine anche della storia. È vero che questa operazione viene fatta sempre insieme a tutti i giocatori, ma fin da qui ho avuto l'impressione che (come tra l'altro afferma Archipelago stesso) si sia in controllo delle azioni, pensieri e dialoghi del personaggio che crei senza che altri possano interferire (e infatti la Frase Rituale Prova in un altro modo non può essere diretta ad un giocatore attivo, perché lui sa come meglio è il suo personaggio).
Alcuni Archetipi de La Spada e Gli Amori.
Dunque, all'inizio della sessione abbiamo scelto tutti un Archetipo tra quelli proposti dal gioco e costruito il nostro personaggio sulla serie di domande, mentre tra l'altro creavamo i luoghi della Mappa di Gioco. La mappa è un elemento centrale di tutte e partite di Archipelago e non può mai mancare: serve sia per orientare i giocatori e ricordargli i movimenti dei personaggi, sia per far sì che i personaggi siano calati entro il mondo, perché ognuno di noi doveva creare due nuovi luoghi legati al suo personaggio. Certo, avere una Mappa già pronta è servito ad accelerare il gioco: LSeGA propone infatti una porzione della Gran Bretagna, la parte sud, con già due luoghi segnati, ovvero Camelot e Avalon. A questi abbiamo aggiunto i nostri due luoghi, inventati rispettivamente da ogni giocatore.
Dopo aver spiegato il gioco in soldoni, abbiamo risposto alle domande dell'Archetipo e ho consegnato le carte di riassunto delle Frasi Rituali: questa componente di gioco è essenziale per giocare e a fine sessione ci siamo accorti (non solo io, proprio tutti quanti) che forse avremmo dovuto usarle più spesso e in modo più stringente. Infatti, ogni Frase Rituale è un modo con cui un giocatore indica agli altri un suo interesse sulla trama oppure qualcosa che serve inserire: ad esempio la frase Aiuto permette di chiedere spunti per proseguire agli altri giocatori, mentre Più duro indica che il giocatore che sta narrando deve essere più audace.
La Frase Rituale più importante è Non sarà così semplice, che obbliga il giocatore di turno ad estrarre una Carta Risoluzione che ha esiti come Si, ma... o No, e... e permette di orientare la narrazione; la Carta deve essere risolta da un altro giocatore rispetto a quello che deve pescarla, regola che forse un paio di volte ci siamo dimenticati di osservare, anche se tutte le estrazioni portavano ad un dialogo aperto tra giocatori e forse solo una volta è successo che un giocatore risolvesse la propria Carta Risoluzione.
La Frase Non Sarà così semplice può essere detta una volta a turno e ci siamo accorti che nella maggioranza dei casi, dopo aver risolto la carta, il giocatore risultava essere soddisfatto di quanto vissuto nella scena e passava il turno: in poche parole per noi pescare la Carta Risoluzione è diventato in poco tempo un modo per indicare che il grosso della scena era fatto e si poteva passare oltre. Non sono sicuro che il gioco intenda la Frase Rituale in questo modo, ma ci siamo trovati molto comodi nel giocare così: le scene diventavano focalizzate su un singolo elemento ed eventuali dettagli marginali potevano essere ripresi successivamente.
Abbiamo pescato solo una volta una Carta Fato, che dovrebbe fornire un aiuto narrativo, ma alcune tendono forse a complicare le cose troppo: risulta dunque azzeccato il consiglio, sia di Archipelago che di LSeGA, di pescare la Carta Fato solo quando siete davvero a corto di idee, io aggiungerei a corto di idee per la scena. Le Carte Fato possono essere infatti pescate una volta per sessione per personaggio e, come le Carte Risoluzione, sono interpretate da un altro giocatore: tuttavia, il loro contenuto mal si adatta, a mio parere, ad essere pescata a metà scena o dopo una Carta Risoluzione, in quanto forniscono idee così grosse che sono perfette per iniziare nuove scene.
A margine voglio precisare che noi ci eravamo dimenticati che la Carta Fato viene letta da un giocatore diverso da chi la richiede. Tuttavia, anche in questo caso, la regola l'abbiamo eseguita lo stesso inconsciamente, perché il giocatore che aveva pescato la Carta Fato, non sapendo come risolverla, si è rivolto ad un altro giocatore del gruppo, il quale ha anche inserito il Tema su cui aveva Autorità. Infatti, credo che l'elemento fondamentale della Carta Fato sia, oltre all'inconsapevolezza del risultato da parte di chi la richiede, anche l'introduzione di un Tema su cui non si ha Autorità e che, dunque, impedisce di deviare o variare i contenuti proposti come alterazione della trama.
Le Carte Risoluzione (sinistra) e Fato (destra) di Le Spade e Gli Amori!
Il regolamento dice che la sessione può essere definita conclusa quando tutti i personaggi raggiungono il Punto del Destino, una frase decisa da ogni giocatore che rappresenta un evento che si avvererà sicuramente e verso cui tutti devono tendere. Di solito vengono creati Punti del Destino da ogni giocatore per ogni altro giocatore, quindi giocando in quattro avremmo dovuto creare tre Punti a testa: per velocizzare il gioco, abbiamo preferito crearne uno solo (visto anche l'esiguità del tempo, solo due ore e mezza) per ogni personaggio tutti assieme. In questo modo è risultato semplice anche ricordarli: non avevamo bisogno di metterli su un foglio visibile a tutti (come impone il gioco); avendo creato questi punti assieme, tutti ricordavano quasi sempre quelli degli altri. Considerate che, pur avendolo letto, non ricordavo quella sera del consiglio di Archipelago scritto da Mark Causey che dice proprio questo - me ne ha rammentato l'esistenza il buon Daniele Di Rubbo appena dopo l'uscita di questo post, grazie!
La Sessione è poi finita più o meno a metà di quanto proposto dal gioco: i personaggi si sono incontrati tra di loro (non necessario ai fini del gioco) e alcuni sono giunti al Punto del Destino, esattamente due giocatori su quattro. C'è stato un momento in cui abbiamo comunque concordato che una svolta narrativa retroattiva, visto che interessava a tutti e che poteva far giungere al Punto del Destino uno di noi: abbiamo cioè decretato che la scena precedente, che vedeva protagonista uno dei personaggi uscito da Camelot, riguardava invece un clone o gemello magico del personaggio (invocando il tema Fantastico) che doveva farsi inseguire dai nemici per proteggere il vero personaggio (invocando il tema Amore, per la protezione, e Cavalleria). Nessuno si è dimostrato contrario e, avendo imposto la svolta facendo leva su tre Temi del gioco, credo sia un elemento accettabile narrativamente e che, anzi, conferma che sia possibile introdurre colpi di scena in un gioco a narrazione condivisa come Archipelago.
E con questo è tutto! Mi rendo conto che questo post ha assunto una forma che non pensavo potesse avere. Partendo da una mera riproposizione della sessione credo infatti di aver svelato qualche elemento che, giustamente o erroneamente, è emerso dalle regole giocando. Parlerò ampiamente di questo ed altri temi in un secondo post sulla mia prima sessione masterless, dedicata al confronto tra Archipelago ed LSeGA e al motivo per cui il secondo, personalmente, lo trovo migliore del primo nella presentazione delle regole.
Alla prossima,
Daniele
Con la collaborazione di Edoardo & Ivan: grazie dei consigli!
Idee salvachiappe è una rubrica di contenuto esteso dedicata ai master. In questi episodi cerco di esporre alcune mie idee sull’arte del mastering, senza troppe pretese: ho pubblicato un resoconto dei primi episodi e del futuro della rubrica a metà maggio, vi consiglio di recuperarlo. Questo sesto appuntamento non riguarda una tecnica, quanto una riflessione su fiction, story e spunto di gioco (non per semplice campagne o avventure) che sta proprio sulla china tra l'essere un Master e l'essere un Game Designer. Ecco i link agli episodi precedenti:
Sommario
Questa volta voglio impostare il mio intervento in modo diverso dai precedenti. Per due motivi. Sono passati molti mesi dal post Esempio e il mio approccio come Narratore e GM è cambiato, si è evoluto. Ergo, mi sono accorto di non poter scrivere Fiction così come ho scritto le altre Idee Salvachiappe. Ma il più importante (e secondo) motivo è che Idee Salvachiappe diventerà una rubrica più spiccia, pragmatica e concreta. Dunque Fiction deve funzionare anche come ponte tra la "vecchia rubrica" e la nuova sua incarnazione; per questo ho deciso anche di cambiare il nome dell'episodio da Fiction a Spunto: la seconda parola è il risultato di un lungo e complesso ragionamento che spero di riproporvi in maniera chiara.
Ho cambiato anche il mio approccio di preparazione: se, specialmente per In Game e Lacune avevo introdotto mie teorie e impressioni, con Fiction varcherò il divario tra Narratore e game designer ed è stato dunque necessario approfondire certi argomenti studiando qualche scritto altrui. Mi riferisco anche a coloro che iniziano ora il proprio cammino verso la creazione di un gdr: leggete molto. Leggete tutto ciò che trovate sul game design - non che sia tutto utile, ma almeno vi farete una panoramica e avrete una impresso dello status dei lavori nel nostro campo.
Questo post parlerà anche di questo nel finale, tramite una personale previsione di come sarà il mondo dei gdr nel prossimo futuro. Una sorta di analisi su dove andremo a finire con i nostri amati giochi, che siano di grandi o piccole etichette non conta. Tengo a precisare dunque che, nonostante certi elementi oggettivi, questo post è un flusso di coscienza piuttosto che un saggio: serve a stimolare una riflessione, una discussione, pubblica e privata, a creare un punto di partenza per nuove idee!
Già, Master e Narratori. A cosa ci serve capire la parola fiction? Di solito per gestire un tavolo di gdr si parla di storia e di persone, di come gestire i giocatori e di come strutturare parti di un'avventura o una singola sessione di gioco. Alcune persone preferiscono di fornire consigli solo sulla base di esempi di gioco (e l'esperienza può essere sia buona che cattiva maestra), mentre altri sperano di risolvere la questione solo su un livello teorico (scoprendo poi al tavolo che, ugh, non funziona nulla - un sentimento che accomuna già di per sé Master e game designer): in realtà la parola fiction ci porta sull'orlo tra questi due comportamenti.
Il fatto che si stia usando la parola fiction non significa che (a) ci addentreremo solo in ambito teorico, (b) useremo solo elementi empirici di gioco e/o (c) che stiamo sfruttando teorie di un certo tipo. Stiamo cercando di capire qualcosa che a volte ci sfugge alla comprensione e che è mio parere riguardi sia gioco concreto, sia teoria astratta. Infatti entrambe le cose servono per svolgere la propria funzione di Master/Narratore al meglio: da un lato è teoricamente corretto affermare che bisogna appassionarsi alla storia e divertirsi a masterare, dall'altro bisogna fare i conti con il livello concreto di giocatori che si divertono a muovere i loro personaggi. Insomma, c'è ciò che avviene al tavolo e ciò che avviene oltre il tavolo ed entrambe le dimensioni ci interessano.
Quindi, estrapoliamo da questo passaggio due informazioni di base:
Qui si apre il primo abisso di stravolgimento delle nostre certezze: ma fiction non significa storia? Non è purtroppo così semplice...
La parola fiction è ormai diventata abbastanza famosa o famigerata nell'ambito dei gdr. Da un lato abbiamo persone che abusano di questo termine, dall'altro abbiamo giocatori o master che velatamente vi fanno riferimento - a volte senza neanche saperlo. La parola era però stata abbondantemente discussa in narrativa e letteratura: infatti, per il mercato americano una fiction rappresenta una lettura amena, di genere, minore oppure di fantasia. Fiction sembrerebbe essere dunque sinonimo di letteratura di genere.
Partiamo da una analisi base del concetto, dunque. Fiction è una parola che gente nerd come noi conosce per due motivi: fa parte della denominazione del genere della fantascienza americano, science fiction; sta su una carta di Magic abbastanza famosa, Fact or Fiction (una terza possibilità meno nerd è che a qualcuno venga in mente Pulp Fiction, ma sto esagerando). Però la parola della carta di Magic è tradotta come finzione, non con una attinenza all'atto di narrare. Fiction è ciò che è "finto", o meglio "non reale": fantastico.
La Fiction sembrerebbe dunque essere ciò che si costruisce al tavolo, come ad indicare tutti gli eventi di una performance di teatro d'improvvisazione, laddove la parola story indica invece solo il livello diegetico (cioè il livello del racconto) di quella stessa performance. Dunque se la fiction non equivale alla story... come traduciamo la parola? In Italia, il manuale di retorica di Wayne Booth (Rethoric of Fiction) fu tradotto con Retorica della Narrazione ed effettivamente potrebbe essere utile chiamare la parola fiction in italiano con quel termine, benché si perda parte della semantica del lemma.
In realtà, capire come tradurre questa parola non mi interessa. Ciò che vorrei chiarire e me e a voi è cosa si intenda per fiction e cosa, invece, per story.
Moltissimi giochi di ruolo su Kickstarter si vedono con dei tag ormai entrati nella storia: fast-paced (ritmo veloce), easy to learn, quick prep e il sempre più stravagante, mal interpretato e misterioso story-driven. Cos'è un gioco di ruolo story-driven? È difficile dare una risposta certa, perché alcuni pensano che story-driven (o story-focused) significhi libertà assoluta di azione, mentre altri pensano ad un gioco in cui la storia viene messa al centro dell'attenzione, in contrapposizione ai personaggi (che creerebbero un gioco character-driven). Benché io abbia cercato parecchio nei precedenti mesi, non ho trovato una vera risposta su cosa significhi un gioco story-driven per i giochi di ruolo cartacei. Per i videogame è più semplice definirlo, perché rappresenta un prodotto che si focalizza sulla storia e sull'appassionarsi ad essa; ma per i gdr è più complesso.
Così mi sono fatto una mia idea: a mio parere chi cerca un gioco story-driven è interessato al qui e ora del gioco, di modo che ciò che si racconta al tavolo (fiction) non si metta in mezzo al fluire delle regole - e anzi, lo sostenga. Vale a dire che è interessato ad un gioco in cui le azioni dei personaggi vengono espresse liberamente dai giocatori e hanno valore nello stabilire cosa accade poi. Ciò traspare anche dalle spiegazioni dei giochi di ruolo su Kickstarter che fanno riferimento alla parola story-driven.
Ma a questo punto... non si dovrebbero chiamare fiction-driven? Non saprei, in realtà; ma credo anche la parola fiction spaventi molto le persone e per questo non venga usata. Fiction è ciò che viene creato al tavolo, ma non è la storia intesa come racconto degli eventi. È narrazione fittizia, ovvero storia in fieri; la storia è invece struttura e narrazione, è più complessa.
Da un lato dunque abbiamo tutto un mondo a cui parola fiction rimanda che molti giocatori non sopportano, che però trasmette bene l'idea di ciò che avviene al tavolo da gioco. Dall'altro la parola story traduce in modo semplice ai giocatori (che sono compratori in fin dei conti) ciò che andremo a giocare, senza bisogno di perdersi in parole con troppe sovrapposizioni di significati (fiction ne ha almeno due). Visto così, da un punto di vista lessicale, sembrerebbe che il problema non sussista; ovvero che le persone utilizzino fiction e story come sinonimi: l'uno per il mondo della teoria e il secondo per quello pratico.
Eppure mi sono dovuto ricredere sulla mia pelle. A dispetto del bisticcio linguistico, fiction e story mi appaiono sempre di più come due caratteri entrambi compresenti nel gioco di ruolo. Ecco perché.
Ok, devo ricompensarvi. Se siete giunti fin qui avete davvero voglia di leggere questo enorme tl; dr. Dunque, esempio di quale sia la differenza che vedo, personalmente, tra una fiction e una story.
Era una serata di gioco molto tranquillo a D&D 3.5 all'epoca. C'era il classico barbaro che menava fendenti con la propria spada. Ora, il suo giocatore era molto bravo: descriveva al meglio i propri fendenti, ragionava molto su come menare il nemico... finché lui stesso disse una cosa che mi lasciò perplesso.
"Caspita, ho solo 1 Punto Vita. I miei muscoli saranno doloranti... Non farò un fendente, meglio che io sfrutti un approccio più rabbioso, mi butto semplicemente addosso al nemico e cerco di atterrarlo".
Sorpassando gli eventuali dubbi che voi stessi avrete nell'associare il ragionamento al fatto che il personaggio era un barbaro, passiamo a quanto mi frullò nella testa la sera stessa, una volta a letto. Che diamine era quanto avevo visto? Era una interpretazione degli eventi che stavano avvenendo al tavolo? Vale a dire: il giocatore pensava a quanto aveva già descritto e vissuto con il personaggio e a come poteva continuare in futuro? Non c'erano situazioni in cui un compagno era gravemente ferito e quindi la sua rabbia era giustificata da quello; piuttosto era un ragionamento, il suo, per trovare una sorta di compromesso tra due elementi:
Questa logicità derivava forse dal ragionare su una serie di caratteristiche della finzione a cui partecipava, tesa a giocare in modo realistico l'avventura. Come se di fronte a lui ci fossero una serie di puntini da unire e nulla di più (per comodità lo chiamerò combinazione). Qualche sera dopo lo rividi e chiesi spiegazioni in merito e lui disse: "non saprei, diciamo che lì per lì era assurdo che il mio PG, che non è che ha una forza enorme, avesse ancora in mano uno spadone così pesante con tante ferite alle braccia che aveva subito per proteggere il ranger". Ecco che qui la spiegazione però cambia.
Questa volta non sembravano una serie di puntini. Non c'erano X dati (Punti Vita + Barbaro + Azione + Spadone) da unire e capirne il risultato. C'era una persona che ragionava su qualcosa di diverso, ragionava sulle motivazioni che lo avevano portato lì (per comodità è scelta), in quell'istante, a decidere cosa fare di fronte al goblin di turno (sì, il mio D&D 3.5 era spesso un triste incontro di goblin). In altre parole, era come si era giunti in quel punto ad aver determinato, per lui, come agire. Forse i puntini erano quindi un semplice ostacolo e il giocatore aveva già nella sua mente valutato come avrebbe agito? Non lo so. So solo che fu importante la frase successiva, una frase che per anni mi è rimasta in testa.
"Poi, sai com'è, senza più la possibilità dell'ira, i goblin erano troppi, c'era il chierico ferito. Insomma, non sapevo che cosa fare per andare avanti così mi sono sacrificato per il gruppo".
L'esempio che ho portato alla vostra attenzione mi ricorda un ulteriore evento che è successo al mio tavolo, più volte anch'essa. Giocando a Le Notti di Nibiru alcuni betatester mi hanno chiesto, dopo aver riflettuto su ciò che era appena successo, cosa si poteva fare ora. La domanda riguardava non tanto il sistema e il regolamento, quanto come in contatto con un determinato PNG (cioè che scelta compiere a livello razionale) e come ottenere determinati legami nella storia; mi si chiedeva cioè come potevamo regolamentare certi eventi a lungo termine. Certo, anche qui voi mi direte che è un problema di non conoscenza del sistema, essendo un gioco "nuovo" e che alcuni non conoscono bene - ma io dubito che sia solo quello.
Forse era anche l'intento di capire fino a quanto ci si può spingere, ovvero: "so cosa vorrei fare, ma non so come" (non so quali combinazioni sono legali). Ma l'accento era posto piuttosto sul lungo termine: "avrò modo di portare con me quel PNG?" oppure "è possibile che in futuro avvenga questo?".
È mio parere che scelta e combinazione siano i punti giusti da cui vedere ciò che è fiction e ciò che è story al tavolo. Quando un giocatore sta ragionando su come agire, se uccidere il proprio nemico o risparmiarlo oppure come rubare il gioiello della marchesa, allora siamo su un piano di story: coinvolge cioè la struttura dell'avventura per come è stata giocata e da dove vengono i personaggi e le loro motivazioni. Quando, invece, c'è un ragionamento sulla combinazione di capacità/elementi del personaggio da utilizzare, allora lì siamo nel regno della fiction pura. Si sta cioè valutando il qui e ora e non solo per motivi di realismo, ma per una certa focalizzazione sul come andrà a finire l'azione.
Detto in altri termini e in breve, per me:
Ecco dunque che, personalmente, mi è chiaro cosa ci sia che accomuna una visione fiction-oriented del gioco (ragionare su cosa si può e non si può fare per come si è messi) e story-oriented (ragionare su cosa si può e non si può fare per come si è giunti fin qui). Tutto si riduce ad una sola frase, la stessa di sopra: come si va avanti? Come si procede una volta stabilito come agire? Il mio giocatore di D&D 3.5 ragionava su alcuni dati concreti appunto per capire come procedere, per avere un'idea su come gli eventi sarebbero andati nel corso della campagna. L'altro giocatore, quelli di Nibiru, era invece più intenzionato ad avere uno spunto sulla struttura con cui determinati eventi sarebbero avvenuti.
Ecco cosa accomuna il gioco fiction-oriented e lo story-oriented: ciò che cerchiamo, come Master/Narratori, ma anche come giocatori, è capire come andranno le cose. Tutti questi giochi di ruolo su Kickstarter stressano la parola story-driven per indicare il fatto che gli eventi non mettono i bastoni tra le ruote al sistema, ma è esattamente come dire che il gioco non si inceppa perché la storia viene prima. Solo che con la distinzione fiction/story le cose si complicano - ma per me, invece, si chiariscono sempre più.
Ed eccoci arrivati alla fine di questo lungo e faticoso articolo. Anche per me è un parto, tra l'altro incerto: non sono convinto che quanto io abbia detto sia vero. Anzi, sono tutte riflessioni quasi fatte ad alta voce. Questo perché, rispetto alle prime Idee Salvachiappe, le ultime sono ancora in fase di test.
Eppure sono sempre più convinto che il futuro dei giochi di ruolo non sia né fiction, né story: il futuro è tutto nello spunto di gioco, e non mi riferisco (solo) a spunti avventura o per campagne. Sto parlando di strumenti per sbloccare gli eventi, per non complicarli: per condurli avanti, ovunque essi vogliano andare. Abbiamo già dei gdr che si focalizzano sul fornire delle risposte dirette, che agiscono cioè come un motore che spinge in avanti gli eventi del tavolo (fiction o story che siano). E ci sono anche avventure che si concentrano non più sul fornire una dettagliata rete di dettagliati personaggi, luoghi ed eventi, ma piuttosto una serie di spunti su come risolvere il vagare erratico (la libertà d'azione) dei personaggi/giocatori. Se così davvero fosse, allora potremmo senza dubbio dire che è un'epoca d'oro per essere Master/Narratori o per diventarlo: avremo finalmente dei giochi che, scevri da pressapochismi o teorie asettiche, ci forniranno strumenti-spunto per non bloccarci, per avanzare, per continuare a vivere l'avventura qualsiasi cosa accada - ed è un po' anche quello che mi sono proposto, nel mio piccolo, con Le Notti di Nibiru (a livello di ambientazione) e che caratterizza i gdr che preferisco degli ultimi tempi.
La fine della nostra rassegna di GdR al Buio è coincisa con l'arrivo del gran caldo, quello vero che non di fa muovere di casa. Questo mio incontestabile desiderio di vivere una vita abbracciato all'aria condizionata mi ha portato a riesplorare le parti meno sociali e di convivio del mondo del gioco, riuscendo finalmente a riprendere in mano l'antica passione: il game design.
Pummarola Ediscion at its finest!
Anche voi, coloro che vivono sotto i sassi nutrendosi di radici, ormai sapete che quest'anno io e Daniele abbiamo partecipato all'edizione italiana del Game Chef con il nostro Echi sul Confine della Notte. Per me è il primo anno in cui partecipo ed ho trovato una vera e propria comunità costruita sulla goliardia e la collaborazione. È un'esperienza assolutamente positiva e la consiglio a chiunque pensi, prima o poi, di cimentarsi nella creazione di un proprio gioco.
Quasi parallelamente al Game Chef ho scritto un altro gioco ispiratomi ad alcune tavole che Luca Maiorani (sì, sempre quello di Giochi dal Nuraghe: probabilmente è una sorta di savant artistico, o giù di lì) aveva pubblicato su Facebook: sono particolarmente soddisfatto del mio lavoro e lo vedrete presto su questi schermi, con un po' di fortuna.
Il gioco, come quello che viene richiesto al Game Chef, è focalizzato: un gioco costruito appositamente per esplorare una particolare tematica. Ad esempio il mio gioco è focalizzato sulla Via dello Zen verso l'illuminazione, mentre il nostro gioco del Game Chef è focalizzato sul tema del Confine, che è stato proposto dalla competizione.
Friday Night Playtest: siamo game designer, non eremiti
Mi sono accorto che il lavoro di design di entrambi i giochi aveva molti punti in comune, soprattutto per quanto riguarda il lavoro preliminare di ricerca: era incredibilmente vasta e dispersiva.
Da bravo informatico non fatico a darmi una mezza spiegazione semi-autorevole. Un motore di ricerca funziona su base semantica e relazionale, non su base "concettuale": esplorare una tematica come il confine, o la paura della vita con un motore di ricerca è sicuramente qualcosa di molto controproducente in relazione allo strumento usato. Ma questo è effettivamente un male?
Lo è, se state lavorando per ottenere uno scopo. Non sono così sicuro che lo sia, se non avete di queste questioni pressanti ad opprimervi. Qualcuno ha detto che «Del viaggio non importa la meta, ma l'esperienza fatta durante il percorso» [1], ed in questo caso non è una citazione banale: nel mio "viaggio" di ricerca mi sono incidentalmente imbattuto in un sacco di cose a cui non sarei mai arrivato applicando un pattern di ricerca tradizionale.
Anche Daniele ed Ivan Lanìa, recente acquisizione nel parco autori del blog [2], fanno parecchio game design ed hanno partecipato al Game Chef: mi sembrava stupido non coinvolgerli e far condividere le loro personali esperienze.
Daniele: «Il concorso, a cui avevo tentato di partecipare già nel 2015, è stato entusiasmante! Ottima la scelta del Tema e degli Ingredienti e perfetta anche la sinergia con Edoardo. Produrre Echi sul Confine della Notte mi ha spinto ad uscire dalla mia comfort zone di game design e a creare il primo gioco diceless della mia vita. Il risultato personalmente mi soddisfa e mi soddisferà al di là dell'esito della competizione. Il design focalizzato, d'altronde, ha questa interessante caratteristica: ti permette di avere più controllo di ciò che il gioco produrrà al tavolo (o di illuderti di averlo) e di avere più percezione di come andrà a finire. Almeno, questa è stata ed è la sensazione che provo con giochi focalizzati».
Ivan: «Rispetto al concorso, io sono un partecipante atipico: quando lavoro mi isolo come un eremita e riemergo solo una volta finito. Per cui mi perdo sempre i dibattiti e gli scambi di pareri fra concorrenti; per fortuna posso rifarmi nella fase di peer review dei giochi, in cui mi diverto un sacco. Sul design focalizzato, io mi ci trovo bene sia come utente sia come autore dilettante: progettare un gioco è progettare uno strumento, e sapere a che servirà quello strumento (nel nostro caso, che esperienza positiva dovrà dare il gioco) assicura di produrre uno strumento valido... Tanto poi qualcuno proverà lo stesso a usarlo a modo suo, come ha fatto Edoardo con Google!»
La prima pagina di ricerca Google se digito "Confine" : una varietà di argomenti impressionante
Dall'esperienza delle ultime due settimane sono uscito arricchito di due cose.
Per oggi e per questo spaccato della mia personale esperienza con il game design è tutto.
Alla prossima,
Edoardo
[1] Nella mia ricerca per trovare la fonte di questa citazione l'ho trovata attribuita prima a Neruda, poi a Sparks, poi ancora a Buchowski. Trovare una giusta attribuzione potrebbe essere probabilmente un bel modo di testare l'uso "trasversale" di un motore di ricerca.,
[2] Se non sapete chi è Ivan, leggete l'aggiornata Pagina dello Staff. Comunque, avrà modo di presentarsi e di avere il suo "battesimo del fuoco" in un futuro prossimo.