Ciao a tutti e bentornati sulle pagine di Storie di Ruolo. Qualche settimana fa ho tartassato amici e game designer con una domanda semplice, ma la cui risposta ha spesso spiazzato l'interlocutore: quali i minimi elementi di un GDR? Quali sono quelle unità minime che rendono un gioco di ruolo è tale? Avevo una motivazione specifica per chiedere questo, che rivelerò nell'articolo, ma come sempre sono emerse considerazioni interessanti e aggiuntive.
Oggi vi porterò all'interno di un ragionamento di game design che non è sola teoria, ma anche un insieme di contenuti concreti, probabilmente utilizzabili sia per la critica di giochi che per la loro costruzione. L'argomento, per quanto teorico, non mi sembra di secondaria importanza: esso va ad approfondire una tematica sorta anche nel recente post di Alessandro Piroddi, Children of a Lesser Table – How The Future of RPGs Is Not RPGs. Credo che andare alla ricerca degli elementi minimi che possano aiutare ad impostare quello che lui definisce il "kernel" dell'RPG (fiction-->rules + rules-->fiction).
Ovviamente questo mio intento si è frantumato contro un errore logico, perché chi mi ha risposto ha interpretato la domanda sugli elementi minimi interpretando il livello della domanda in modo soggettivo — per cui io ero interessato agli elementi minimi del regolamento, altri invece della interazione al tavolo, altri ancora della definizione da manuale, eccetera.
ATTENZIONE. Non ho la pretesa che questo articolo metta d'accordo tutti, anche perché alcune osservazioni non tengono conto dei dati che ho raccolto in modo asettico, ma analitico. Vale a dire che non è stato interessante solo notare le voci che comparivano più spesso, ma anche quelle che comparivano solo una volta (gli hapax tra tutte le voci che mi sono arrivate, per prendere in prestito un termine poetico). Tutti i dati raccolti saranno comunque presentati in forma anonima.
Cos'è un Primer? Primer deriva dal nome che gli inglesi forniscono al libro di scuola elementare che introduce i bambini alle materie - una sorta di sussidiario. Diverse sono le definizioni inglesi, che parlano di articoli che spiegano un argomento ad un pubblico meno esperto oppure in modo da introdurlo ad una nuova scoperta. Io sono stato abituato a considerare un Primer come un articolo introduttivo di un argomento, indipendentemente dal pubblico - ed è così che considero questo articolo.
Spesso le domande più astratte nascono dalle esigenze più concrete - ed è stato così per me. Mi ero riproposto di impegnarmi nell'Inktober, una challenge in cui si deve eseguire uno sketch in inchiostro per ogni giorno d'ottobre seguendo una prompt list come ispirazione. La mia Inktober era però di game design: ogni giorno, per circa due settimane, mi sono impegnato per fornire un piccolo gioco di narrazione o di ruolo - finché non sono stato costretto a letto per una settimana; la mia intenzione è comunque quella di riprendere l'Inktober nel prossimo futuro e fornire i restanti giochi (qui sotto trovate tre dei miei giochi).
Proprio la creazione di giochi per l'Inktober mi ha spinto a ripensare ai giochi minimalisti di cui ho parlato tempo fa e a quali fossero gli elementi minimi per poter ipotizzare che un gioco fosse narrativo e/o di ruolo. Mi sono dato delle risposte, ma non mi soddisfavano: avevo bisogno di un aiuto esterno e ho iniziato a chiedere ad altri.
Quello che mi ha affascinato delle risposte non è solo il suo contenuto, è che tutti hanno interpretato il concetto di "elementi minimi" in modo differente. C'è chi ha preso la questione molto sul serio, a livello filosofico; chi ha invece approcciato il problema da un punto di regole; chi ancora ha pensato ai giocatori e a quello che serve loro per fare narrazione. Alcuni mi hanno detto che non esistono elementi minimi, altri che non riuscivano a trovarli.
Diversi mi hanno parlato dell'inutilità della mia ricerca, ma credo invece che sia stata molto utile.
Vediamo perché.
Per evitare di inficiare i dati mi sono ripromesso di non porre domande dirette subito all'interlocutore, ma di farlo solo per uniformare i dati: qualora una risposta sembrava molto vicina all'argomento di un altro interlocutore ponevo domande secche per definire se era così. In caso contrario, creavo una nuova voce. Ho anche chiesto a tutti coloro che mi hanno sottoposto i dati di NON parlarne tra di loro, perché avrei voluto che la discussione si generasse dopo i dati raccolti.
Dunque non c'era un sistema di votazione con risposte già approntate, ma piuttosto un lavoro certosino di incasellamento delle risposte. A sondaggio ultimato, ecco tutte le voci proposte dai miei interlocutori in ordine alfabetico.
Diversi interlocutori hanno dato per scontato che alcuni elementi fossero già inclusi nella definizione di gioco, quindi che andassero a propri attribuiti al gioco di ruolo. In particolare, Conversazione, Regole (Generico) e Agency. Anche la Volontà, cioè il fatto che un gioco per essere tale non deve essere imposto ma scelto liberamente, fa parte della classica definizione di Huzinga; eppure questo argomento non è mai stato associato al gioco in sé, ma indicato da alcuni come elemento minimo del gioco di ruolo.
Altri hanno preferito invece adoperarsi in una vera autopsia dei termini, indagando nel dettaglio argomenti come Regole o Spazio immaginato e separandoli in più sotto-argomenti che sono stati anch'essi conteggiati.
A sondaggio concluso, ecco quali sono gli argomenti maggiormente proposti nelle risposte degli interlocutori. Ho nascosto il dato numerico di punti ricevuti, ma ho inserito la percentuale dei voti:
In generale, questo podio non mi ha sorpreso molto nei primi risultati, quanto nel terzo. Per parafrasare le parole di un mio interlocutore, è difficile pensare che la Conversazione non sia considerata un elemento minimo di un gioco di ruolo: sebbene vi siano giochi che non si basano sul dialogo, il termine "Conversazione" a mio parere copre tutti quei prodotti che si appoggiano a disegni, segni o gesti per gestire il gioco. Altri hanno deciso di non votare Conversazione perché in un gioco in solitario questa non avviene, ma è ancora una male interpretazione a mio parere di un prodotto: tra Libro-game/Solo-game e giocatore c'è una conversazione che avviene tra testo e giocatori, se si vuole anche tra autore e giocatore in differita.
Quanto alla distinzione tra Ruolo e Attante, essa è minima ma interessante: per alcuni non sarebbe necessaria la presenza di personaggi e basterebbe un ruolo extra-diegetico, mentre per altri è obbligatorio immedesimarsi tramite un avatar. L'altro elemento interessante è che pochissimi hanno indicato solo Ruolo o solo Attante e, in un'ottica inclusiva, hanno distinto i due argomenti solo per includere nel Gioco di Ruolo quel gioco che non possiede (solo) personaggi. In effetti non trovo obiezioni a questa idea.
Alcuni lettori potrebbero a questo punto obiettare dell'assenza di alcuni termini importanti per la definizione di un gioco di ruolo: dove sta l'ambientazione? Dove il colore del gioco? E l'intento creativo? Insomma, ci sono parecchi argomenti che sono rimasti fuori dalla finestra...
Attraverso una serie di domande ho capito che gli interlocutori non volevano spesso inserire questi e altri argomenti perché la domanda verteva su elementi minimi per definire un gioco di ruolo. Alcuni hanno addirittura argomentato che la domanda non aveva come obiettivo quello di trovare elementi minimi di un GDR funzionale, ma di un GDR in generale: quindi la risposta fornita era indirizzata verso una distinzione minima, cioè come se la domanda fosse "cosa mi distingue un gioco da tavola da uno di ruolo"?
Anche in questo caso ho evitato di riformulare la domanda: nella mia testa, la ricerca di elementi minimi doveva portarmi a trovare quegli ingranaggi basilari per creare o definire un gioco di ruolo, ma effettivamente i risultati argomentativi erano più interessati. Ora infatti avevo di fronte a me due categorie di elementi minimi: quelli distintivi, cioè che separavano GDT e GDR, e quelli funzionali, cioè gli elementi proposti dagli interlocutori come necessari a far funzionare un GDR e non solo a definirlo tale.
Veniamo ora alla parte più interessante della ricerca, vale a dire gli elementi meno proposti dagli interlocutori. Da questo "contro-podio" ho eliminato una voce, ovvero la Volontà, perché per quanto necessaria nei giochi di ruolo mi pare sia palese la sua appartenenza agli elementi minimi del gioco in generale, mentre gli altri "ultimi" argomenti sono molto più originali e interessanti.
Ho elimintato anche la voce 1+ giocatori/2+ giocatori, perché solo il 13% ha indicato l'argomento "Giocatore" in generale come elemento minimo, concentrandosi maggiormente sul prodotto rispetto alla fruizione. Eventualmente un secondo sondaggio più mirato potrà fornire dati più utili sotto questo aspetto.
Gli elementi minimi sono dunque tre, con alcuni parimerito:
La poca valutazione dell'elemento Ritmo è abbastanza spiegabile con il fatto che non sia un elemento minimo necessario: non è detto che un gioco di ruolo per essere tale debba regolamentare il flusso di gioco ritmandone i contenuti.
Passando brevemente al 10% di Agency, lo ritengo un minimo più interessante: spesso un gioco di ruolo in alpha o betatest che ho avuto piacere di provare ha infatti problemi di Agency, cioè manca di veicolare correttamente ai giocatori la motivazione per cui i personaggi agiscono. Rispetto al ritmo, forse Agency è un elemento minimo necessario per avere un GDR funzionale, ma non distintivo rispetto ad un gioco in generale, dove è invece più importante la presenza (io credo) di una chiara definizione dell'obiettivo del gioco. Ne riparleremo nelle Conclusioni del post.
Quanto ai Rinforzi e al Veto, arriviamo ad un punto più interessante. Il concetto di Veto era uno degli elementi che a priori mi sarei aspettato comparisse molto di più di quanto poi non è successo. D'altronde il Veto è tipico, a mio parere, dei sistemi più tradizionali, dove il Master ha il permesso di porre Veto sull'utilizzo di una regola oppure su un elemento della fiction. Ma il Veto è presente anche in forma "arrotondata" in giochi moderni, dove a seconda del Ruolo che si possiede i giocatori possono porre un Veto su come altri hanno descritto o un elemento su cui loro hanno autorità, oppure un evento o azione compiuta da un attante sotto il loro controllo.
I Rinforzi sono invece una voce originale che non mi aspettavo di vedere in elenco. Vale la pena spendere qualche parola in più su questo argomento, con cui mi trovo a posteriori molto d'accordo, e su un secondo ad esso correlato che ha preso qualche voto in più, vale a dire il concetto di Vincolo.
Vincoli e Rinforzi sono argomenti sorti quasi subitonel sondaggio e alcune persone hanno indicato uno, l'altro o entrambi sebbene utilizzando parole differenti gli uni dagli altri.
Parto dal concetto di Vincolo perché è caro al game design, sebbene la definizione che ho raccolto a partire dai dati sia lievemente differente. Un Vincolo è qualcosa che obbliga o induce a determinate scelte. Ad esempio, tema ed ingredienti del Game Chef sono considerabili Vincoli, in quanto obbligano il design dei giochi ad utilizzarli (il tema e almeno due ingredienti). L'obbligo non deve però essere visto in senso negativo, ma positivo: un Vincolo è sempre d'aiuto perché evita di paralizzarsi di fronte ad una pagina bianca, dando una certa direzione alle proprie scelte. Pensate a Dante, che con il vincolo della terzina dantesca ha scritto 14.000+ versi!
Con Rinforzo indichiamo invece delle regole che creano un secondo livello di senso all'interno della partita, ovvero regole che permettono di fare emergere temi, ma anche storie, legate al gioco stesso. Un Rinforzo infatti agisce confermando un certo tipo di fiction o in generale un certo tipo di messaggio della comunicazione ludica affinché quello sia giocato rispetto ad altri oppure risulti più profondo di altri eventi che, invece, sono marginali.
È ovvio che Vincoli e Rinforzi non siano elementi minimi distintivi, quanto funzionali. Perché lo sono? Principalmente perché questi due argomenti permettono di coprirne diversi altri, anche non presenti nell'elenco iniziale. Con Vincoli e Rinforzi possiamo infatti gestire la fiction, l'autorità e anche l'agency dei giocatori, nonché veicolare ambientazione e colore di un gioco. Vincoli e Rinforzi sono parte sia delle Regole (perché esse li propongono ai giocatori), che della Comunicazione: infatti, la meccanica o regola una volta giocata mette in pratica Vincoli/Rinforzi affinché venga orientata verso un determinato effetto.
Quanto allo Spazio Immaginato, Condiviso o Personale che sia, i suoi confini sono effettivamente definiti da Vincoli e Rinforzi presenti nel gioco. Ancora, i due argomenti permettono di stabilire un ritmo (se vincolano o rinforzano momenti di gioco) e sono parte integrante di un Attante o Ruolo, le cui regole difatto sono permessi o limiti di azione (vale a dire Rinforzi e Vincoli). Addirittura l'incertezza del gioco può essere Vincolo e/o Rinforzo.
Sebbene sia possibile che io abbia visto più di quanto vi sia dietro a queste due parole, mi affascina l'idea di poter definire un gioco come un insieme di regole che Vincolano e Rinforzano la Comunicazione creando uno Spazio Immaginario, dei Ruoli/Attanti e un senso di direzione del gioco. Ritengo questa frase la mia personale definizione di un gioco di ruolo ai suoi minimi elementi funzionali - mentre per quanto riguarda gli elementi distintivi credo che alcuni interlocutori dicano bene nell'indicare solamente un insieme di regole che organizzano una Comunicazione, uno Spazio Immaginario e dei Ruoli.
Sono rimasto piacevolmente colpito dal notare che alcuni argomenti proposti dagli interlocutori rappresentino alcuni dei punti toccati da Evan Hill nel suo saggio The New Dramaturgy che parla di come strutturare esperienze di gioco efficaci - saggio che io e il buon Francesco Zani stiamo traducendo in italiano.
Gli argomenti che mi sembrano entrare in contatto con quel saggio sono sicuramente il concetto di agency e quello di ritmo o andamento. Un altro legami mi sembra esistere tra la suspance di Hill, ovvero la carica emotiva che si accumula durante il gioco, e l'argomento dell'incertezza, che gli interlocutori hanno descritto in media come l'impossibilità di sapere esattamente come andranno le cose (che copre un ampio spettro di possibilità, dal tiro di dado fino alle scelte dei singoli giocatori).
I tre termini non hanno preso purtroppo tantissimi voti, ma sarebbe interessante approfondire i collegamenti una volta che la traduzione del saggio sarà pronta - lo saprete seguendo il blog.
Ci sarebbe moltissimo altro da dire sui dati. Ad esempio, si potrebbe parlare di come la fiction si attesti verso il basso della classifica oppure di alcune specifiche definizioni degli interlocutori che complicano ancora di più la ricerca di elementi minimi, ma personalmente mi ritengo soddisfatto dei dati finora raccolti e voglio mettere un po' in pratica le idee che sono emerse.
Il prossimo intervento che farò a riguardo dell'argomento verterà su esempi concreti tratti da altri GDR degli elementi che avete votato. Il terzo post della serie avrà invece nuovi dati da analizzare.
Infatti, prima di lasciarvi, voglio sottoporvi un nuovo sondaggio, questa volta aperto a tutti quanti ed eseguibile tramite Google Form: si tratta sempre di una domanda sugli elementi minimi di un Gioco di Ruolo, sia quelli distintivi che funzionali. Dovrete leggere un breve testo di un gioco scritto da me ed Edoardo e rispondere poi a due semplici domande. I dati mi permetteranno di fare un nuovo post ancora più preciso nei contenuti e anche più attuale, concreto.
Alla prossima!
Ciao a tutti! Ancora una volta vi parlo dal mio antro italico di un argomento a me molto caro: il design dei giochi e, in particolare, il momento del playtest. Tutti sappiamo quanto sia delicato questo processo quindi, in occasione della PlaytestCon 2018 che è attualmente in corso (termina il 30 Settembre), ho pensato di mettere nero su bianco qualche consiglio visto che sono un usufruitore di playtest di livello hardcore. L'articolo è stato ideato per essere letto da creatori di giochi, ma dopo averlo scritto credo che sia utilissimo anche per i playtester - benché sia forse più utile in questo senso l'articolo dell'amico Francesco Zani.
Partiamo dalle basi! Un playtest è una sessione organizzata di un gioco non ancora pubblicato che viene usata per ottenere feedback da giocatori al fine di comprendere meglio la qualità del nostro lavoro - ovvero trovare ciò che funziona e ciò che non funziona. Avete infatti bisogno che qualcuno di esterno al vostro lavoro lo valuti, perché il vostro punto di vista potrebbe essere troppo morbido o severe circa le meccaniche e i contenuti in generale del gioco.
Un Playtest è anche un ottimo modo per valutare il proprio modo di spiegare il gioco. Il mondo dei GDR è molto legato al testo nel senso di «oggetto concreto di una comunicazione» (Ugo Volli, Manuale di Semiotica, p. 60), quindi anche il discorso che prepariamo è fondamentale perché sarà anche il modo con cui altri giocatori spiegheranno il vostro gioco. A volte una critica dura portata dai giocatori non viene considerata perché c'è stato un errore di comunicazione nella presentazione del gioco: una regola spiegata male o in modo incompleto può generare così un feedback fallace.
L'atteggiamento ideale per il playtest si riassume in soldoni con due accorgimenti che riassumerei con essere proattivi, ovvero (a mio parere) l'insieme di tre atteggiamenti:
Mai.
O meglio, per voi sarà così. Avrete voglia di portare il vostro "bimbo" tra le fauci dei playtester solo quando tutte le regole sono a posto, ogni valore è bilanciato, i documenti sono impaginati bene... ci sarà sempre qualcosa che per voi è così fuori posto da impedirvi di testare il gioco! Combattete questa sensazione, non è mai troppo presto per playtestare! 😀
D'altro canto, è essenziale arrivare al playtest con un programma e un certo livello di giocabilità, il quale è difficile da definire in maniera generica. Ogni gioco, ogni designer, ha esigenze e metodologie diverse, ma in generale indicherei almeno quattro elementi necessari per un playtest, ispirati dai sistemi presentati da SocratesRPG:
Cercate, se possibile, di arrivare con tutto il materiale pronto. Se il vostro gioco ha dei personaggi da creare al momento, siete avvantaggiati; altrimenti, se il gioco prevede personaggi pregenerati, dovrete crearli stando attenti a coprire tutti i ruoli principali che il gioco permette di ricoprire - quindi, se avete tempo, preparate personaggi in numero maggiore rispetto ai giocatori, così che essi possano capire il ventaglio di opzioni che più o meno avete in mente.
Prima di giocare, ripassate le regole da testare e ricordatevi le modalità con cui le avete fatte funzionare. Utilizzate lo stesso metodo per presentare il gioco e siate sicuri delle procedure, perché spesso capita alla prima giocata di attraversare quella che chiamo la Crisi delle Basi.
Questa sensazione può presentarsi in realtà tutte le volte che definite in modo irrevocabile qualcosa del vostro gioco: la nostra mente può portarci a dubitare che quanto scritto sia effettivamente giocabile. Iniziamo ad avere dubbi sulla originalità del nostro prodotto, sulle funzionalità delle meccaniche, sull'apprezzabilità dell'atmosfera... insomma, su tutto ciò che è base del nostro prodotto.
Abbiamo dubbi perché teniamo davvero all'impressione che il gioco darà di noi. Come se il gioco fossimo... noi.
Spesso la Crisi delle Basi è generata da una istantanea risposta dei giocatori ad una meccanica del gioco: questo può creare una situazione di panico immotivato semplicemente perché non ci aspettavamo tale reazione. Per questo motivo, chiedete di rimandare ogni osservazione sul gioco alla fine. Fornite ai vostri playtester un foglietto su cui appuntarsi osservazioni e critiche per dopo e, mentre sondate il tipo di divertimento provato al tavolo (vedi i prossimi consigli), i giocatori potranno rivelarvi meglio cosa ne pensano senza ostacolarvi e costruendo magari un discorso più coerente e di maggiore utilità. Rimandare le osservazioni serve anche per visionare bene il flusso di gioco: se ogni scena vi fermate a criticare, infatti, diventerà difficile comprendere se l'incastro tra le varie meccaniche e il ritmo di gioco è quello che volevate.
In generale, consiglio a tutti di fornire appena finito il playtest un documento di feedback. Noi di Storie di Ruolo ne abbiamo creato uno per le fiere, se volete potete usarlo e vi forniremo i dati ottimizzati per un futuro utilizzo.
Leggere i feedback può generare non solo una Crisi delle Basi, ma anche un vero e proprio rifiuto per il gioco. Spesso, critiche severe portano una persona ad abbandonare un progetto - e spesso è l'autore del gioco a definire in modo soggettivo se una critica è per lui severa o meno.
Quando arrivi al tavolo dei feedback, ricordati dunque di non perderti d'animo e di non buttare via tutto il lavoro che hai fatto. Le critiche servono per crescere e anche se una sessione di playtest è andata male, è comunque un passo in più verso l'obiettivo di un gioco funzionale. In altre parole, quello che (soggettivamente o oggettivamente) è visto come un passo falso, è in realtà una normale fase del processo di creazione.
L'importante è che tu riesca a interpretare i feedback in modo neutro (a questo serve un singolo documento di feedback da sottoporre alla fine) e con una certa arguzia. Considera ogni aspetto del feedback: l'ordine con cui si presentano le informazioni, quante parole vengono usate, su cosa si focalizzano maggiormente, eccetera. Cerca di tradurre anche eventuali soluzioni proposte in coordinate per individuare cosa non funziona: infatti, sei tu che devi decidere come risolvere, non loro.
Considera che puoi fallire. Il tuo playtest può risultare in un totale Fiasco fallimento, ma anche questa... è una vittoria! È difficile considerare una sessione in cui ogni meccanica non si è incastrata a dovere come un passo verso il successo, ma è così: fa parte del processo intuire cosa non funziona nel gioco e risolvere il problema. E se il problema è il 60%+ del gioco, poco male! Avrai sicuramente più chiare le idee su come approcciare i problemi dopo il playtest rispetto a prima.
Però, attenzione: abbraccia il fallimento che esiste, non quello che credi che esista. Soppesa bene le critiche al tuo gioco, specialmente ripensando a cosa è successo durante la sessione. Potresti scoprire che una certa regola ha "fallito" solo perché spiegata male o non supportata dalle altre, quindi quella regola non è da togliere. Al contempo, ci sono meccaniche a cui sarai affezionato che dovrai, purtroppo, accettare di rimuovere dal gioco...
...e per questo non devi essere troppo protettivo. In particolare, evita di mostrarti come una muraglia inespugnabile - al di là del fatto che tu sia incline ad accettare o meno una critica. Infatti, quando reagiamo in modo un po' stizzito e protettivo nei confronti del nostro gioco, i playtester potrebbero interpretare la reazione in modo risentito e questo porterebbe a due gravi inconvenienti.
Un playtester che vi vede iper-protettivi smetterà di fornirvi feedback. Noi vogliamo che loro ci parlino, ma quando le loro obiezioni vengono puntualmente rimandate al mittente senza alcuna spiegazione o ragionamento, la buona volontà dei giocatori si perde. Piuttosto cercate modi morbidi per chiudere la faccenda, basta un "ok, me lo sono segnato, vedremo come risolverlo".
In secondo luogo, è possibile che reagire in maniera dura ad una critica generi pregiudizi. Questo perché il playtester non sa se noi andremo davvero a modificare il gioco o meno su una data regola che non gli garba, andando così a generare un ciclo di supposizioni tale per cui il vostro gioco verrà visto in modo negativo per la presenza di quella regola. Non importa se poi, giorni dopo, l'abbiamo sistemata sulla scorta di un ripensamento dei feedback: fare muro trasmette l'idea che quell'elemento non verrà modificato e, quindi, che il gioco sarà disfunzionale proprio a causa di questo.
Questo punto è fondamentale. Le persone che si siedono a giocare ad un playtest non vogliono spesso qualcosa di diverso rispetto ad una sessione standard: vogliono divertirsi. Il problema, come ho segnalato in altri post, è che questa parola per noi designer è totalmente inutile. Uno giocatore può essersi divertito per le battute di un compagno, perché le meccaniche hanno girato bene, perché il PG era fico, perché i dadi hanno creato scene comiche... e noi potremmo non sapere mai tale motivazione.
Non fate l'errore di accontentarvi di questo generico "divertimento" e a fine sessione chiedete specifiche direttamente. Non aspettate il modulo feedback, perché quello tende a fornirvi dati freddi e giustamente atti a fare dei calcoli statistici. Io vi consiglio di usare la teoria dei Piaceri (o dei Type of Fun, a seconda del testo che usate) di Marc LeBlanc e di chiedere ai giocatori di specificare sempre cosa intendono con "divertimento".
Questo ci permetterà di inserire il gioco in uno degli otto tipi di LeBlanc, fornendoci così molti più dati utili: sapere che un giocatore si è divertito perché ha apprezzato le sfide e il sistema della difficoltà del gioco è ovviamente oro colato per noi che dobbiamo playtestare!
A volte, i giocatori ti forniranno critiche di questo tipo: "ah, senza questa meccanica il gioco non funzionerà mai" o "se non metti questa regola qui il gioco è rotto". In questi casi, valuta sempre se la critica in questione non nasconde il desiderio di un fan di un altro gioco perché può essere che egli stia proiettando sul tuo progetto quello che gli piace di più di un altro prodotto. E tu non puoi accontentare i fan di altri prodotti.
Diffida anche dalla tendenza di incorporare in maniera istintiva non solo nuove meccaniche proposte dai giocatori che riscontrano il tuo piacere, ma anche regole adattate da altri giochi. A volte, il playtest si trasforma in una gara volta a soddisfare il palato di tutti... ma questo è impossibile! Nessun gioco può accontentare tutti i tipi di giocatori e tutti i fan di ogni gioco. Anzi, questa direzione è quella perfetta per la distruzione del tuo progetto.
Devi valutare quindi i feedback che ti propongono aggiunte o rimozioni sulla base della loro funzionalità rispetto al gioco che hai proposto - e solo rispetto a questo. Se dovessimo implementare ogni idea interessante o meccanica geniale che vediamo nel nostro prossimo gioco, non concluderemo mai nulla. La tendenza sarebbe quella di inglobare costantemente senza però terminare i contenuti reali del gioco.
Infine, l'ultimo consiglio spassionato. Qualsiasi siano le critiche e i feedback che ti forniscono, tu sei il lead designer del tuo gioco. Con tutti i diritti di modifica e le responsabilità che incombono insieme a questo ruolo, ovviamente. Sei tu che devi avere l'ultima parola sul gioco, il che non significa che tu debba avere l'ultima parola del dialogo dopo il playtest. Significa che valutare i feedback e decidere come agire sta a te (o a voi, se siete più autori), nella tua stanzetta delle meraviglie, nel tuo studio, nel tuo ufficio.
Cerca di separare la fase della risoluzione dei feedback da quella della raccolta, perché spesso tendiamo a cercare di giustificarci coi playtester e inconsciamente stiamo già sistemando il gioco. Sarebbe anche cosa buona e giusta lasciar decantare un po' le informazioni ottenute: una bella dormita o un breve periodo di distanza dal mondo del game design (30-60m) aiuta molto a districarsi tra tutti i feedback. E nel farlo, lì di fronte a loro, tendiamo a sembrare chi ha l'ultima parola. Cosa veritiera - ma loro non lo devono sapere.
Buon playtest a tutti!
Daniele