Ciao a tutti e bentornati sulle pagine di Storie di Ruolo. Qualche settimana fa ho tartassato amici e game designer con una domanda semplice, ma la cui risposta ha spesso spiazzato l'interlocutore: quali i minimi elementi di un GDR? Quali sono quelle unità minime che rendono un gioco di ruolo è tale? Avevo una motivazione specifica per chiedere questo, che rivelerò nell'articolo, ma come sempre sono emerse considerazioni interessanti e aggiuntive.
Oggi vi porterò all'interno di un ragionamento di game design che non è sola teoria, ma anche un insieme di contenuti concreti, probabilmente utilizzabili sia per la critica di giochi che per la loro costruzione. L'argomento, per quanto teorico, non mi sembra di secondaria importanza: esso va ad approfondire una tematica sorta anche nel recente post di Alessandro Piroddi, Children of a Lesser Table – How The Future of RPGs Is Not RPGs. Credo che andare alla ricerca degli elementi minimi che possano aiutare ad impostare quello che lui definisce il "kernel" dell'RPG (fiction-->rules + rules-->fiction).
Ovviamente questo mio intento si è frantumato contro un errore logico, perché chi mi ha risposto ha interpretato la domanda sugli elementi minimi interpretando il livello della domanda in modo soggettivo — per cui io ero interessato agli elementi minimi del regolamento, altri invece della interazione al tavolo, altri ancora della definizione da manuale, eccetera.
ATTENZIONE. Non ho la pretesa che questo articolo metta d'accordo tutti, anche perché alcune osservazioni non tengono conto dei dati che ho raccolto in modo asettico, ma analitico. Vale a dire che non è stato interessante solo notare le voci che comparivano più spesso, ma anche quelle che comparivano solo una volta (gli hapax tra tutte le voci che mi sono arrivate, per prendere in prestito un termine poetico). Tutti i dati raccolti saranno comunque presentati in forma anonima.
Cos'è un Primer? Primer deriva dal nome che gli inglesi forniscono al libro di scuola elementare che introduce i bambini alle materie - una sorta di sussidiario. Diverse sono le definizioni inglesi, che parlano di articoli che spiegano un argomento ad un pubblico meno esperto oppure in modo da introdurlo ad una nuova scoperta. Io sono stato abituato a considerare un Primer come un articolo introduttivo di un argomento, indipendentemente dal pubblico - ed è così che considero questo articolo.
Spesso le domande più astratte nascono dalle esigenze più concrete - ed è stato così per me. Mi ero riproposto di impegnarmi nell'Inktober, una challenge in cui si deve eseguire uno sketch in inchiostro per ogni giorno d'ottobre seguendo una prompt list come ispirazione. La mia Inktober era però di game design: ogni giorno, per circa due settimane, mi sono impegnato per fornire un piccolo gioco di narrazione o di ruolo - finché non sono stato costretto a letto per una settimana; la mia intenzione è comunque quella di riprendere l'Inktober nel prossimo futuro e fornire i restanti giochi (qui sotto trovate tre dei miei giochi).
Proprio la creazione di giochi per l'Inktober mi ha spinto a ripensare ai giochi minimalisti di cui ho parlato tempo fa e a quali fossero gli elementi minimi per poter ipotizzare che un gioco fosse narrativo e/o di ruolo. Mi sono dato delle risposte, ma non mi soddisfavano: avevo bisogno di un aiuto esterno e ho iniziato a chiedere ad altri.
Quello che mi ha affascinato delle risposte non è solo il suo contenuto, è che tutti hanno interpretato il concetto di "elementi minimi" in modo differente. C'è chi ha preso la questione molto sul serio, a livello filosofico; chi ha invece approcciato il problema da un punto di regole; chi ancora ha pensato ai giocatori e a quello che serve loro per fare narrazione. Alcuni mi hanno detto che non esistono elementi minimi, altri che non riuscivano a trovarli.
Diversi mi hanno parlato dell'inutilità della mia ricerca, ma credo invece che sia stata molto utile.
Vediamo perché.
Per evitare di inficiare i dati mi sono ripromesso di non porre domande dirette subito all'interlocutore, ma di farlo solo per uniformare i dati: qualora una risposta sembrava molto vicina all'argomento di un altro interlocutore ponevo domande secche per definire se era così. In caso contrario, creavo una nuova voce. Ho anche chiesto a tutti coloro che mi hanno sottoposto i dati di NON parlarne tra di loro, perché avrei voluto che la discussione si generasse dopo i dati raccolti.
Dunque non c'era un sistema di votazione con risposte già approntate, ma piuttosto un lavoro certosino di incasellamento delle risposte. A sondaggio ultimato, ecco tutte le voci proposte dai miei interlocutori in ordine alfabetico.
Diversi interlocutori hanno dato per scontato che alcuni elementi fossero già inclusi nella definizione di gioco, quindi che andassero a propri attribuiti al gioco di ruolo. In particolare, Conversazione, Regole (Generico) e Agency. Anche la Volontà, cioè il fatto che un gioco per essere tale non deve essere imposto ma scelto liberamente, fa parte della classica definizione di Huzinga; eppure questo argomento non è mai stato associato al gioco in sé, ma indicato da alcuni come elemento minimo del gioco di ruolo.
Altri hanno preferito invece adoperarsi in una vera autopsia dei termini, indagando nel dettaglio argomenti come Regole o Spazio immaginato e separandoli in più sotto-argomenti che sono stati anch'essi conteggiati.
A sondaggio concluso, ecco quali sono gli argomenti maggiormente proposti nelle risposte degli interlocutori. Ho nascosto il dato numerico di punti ricevuti, ma ho inserito la percentuale dei voti:
In generale, questo podio non mi ha sorpreso molto nei primi risultati, quanto nel terzo. Per parafrasare le parole di un mio interlocutore, è difficile pensare che la Conversazione non sia considerata un elemento minimo di un gioco di ruolo: sebbene vi siano giochi che non si basano sul dialogo, il termine "Conversazione" a mio parere copre tutti quei prodotti che si appoggiano a disegni, segni o gesti per gestire il gioco. Altri hanno deciso di non votare Conversazione perché in un gioco in solitario questa non avviene, ma è ancora una male interpretazione a mio parere di un prodotto: tra Libro-game/Solo-game e giocatore c'è una conversazione che avviene tra testo e giocatori, se si vuole anche tra autore e giocatore in differita.
Quanto alla distinzione tra Ruolo e Attante, essa è minima ma interessante: per alcuni non sarebbe necessaria la presenza di personaggi e basterebbe un ruolo extra-diegetico, mentre per altri è obbligatorio immedesimarsi tramite un avatar. L'altro elemento interessante è che pochissimi hanno indicato solo Ruolo o solo Attante e, in un'ottica inclusiva, hanno distinto i due argomenti solo per includere nel Gioco di Ruolo quel gioco che non possiede (solo) personaggi. In effetti non trovo obiezioni a questa idea.
Alcuni lettori potrebbero a questo punto obiettare dell'assenza di alcuni termini importanti per la definizione di un gioco di ruolo: dove sta l'ambientazione? Dove il colore del gioco? E l'intento creativo? Insomma, ci sono parecchi argomenti che sono rimasti fuori dalla finestra...
Attraverso una serie di domande ho capito che gli interlocutori non volevano spesso inserire questi e altri argomenti perché la domanda verteva su elementi minimi per definire un gioco di ruolo. Alcuni hanno addirittura argomentato che la domanda non aveva come obiettivo quello di trovare elementi minimi di un GDR funzionale, ma di un GDR in generale: quindi la risposta fornita era indirizzata verso una distinzione minima, cioè come se la domanda fosse "cosa mi distingue un gioco da tavola da uno di ruolo"?
Anche in questo caso ho evitato di riformulare la domanda: nella mia testa, la ricerca di elementi minimi doveva portarmi a trovare quegli ingranaggi basilari per creare o definire un gioco di ruolo, ma effettivamente i risultati argomentativi erano più interessati. Ora infatti avevo di fronte a me due categorie di elementi minimi: quelli distintivi, cioè che separavano GDT e GDR, e quelli funzionali, cioè gli elementi proposti dagli interlocutori come necessari a far funzionare un GDR e non solo a definirlo tale.
Veniamo ora alla parte più interessante della ricerca, vale a dire gli elementi meno proposti dagli interlocutori. Da questo "contro-podio" ho eliminato una voce, ovvero la Volontà, perché per quanto necessaria nei giochi di ruolo mi pare sia palese la sua appartenenza agli elementi minimi del gioco in generale, mentre gli altri "ultimi" argomenti sono molto più originali e interessanti.
Ho elimintato anche la voce 1+ giocatori/2+ giocatori, perché solo il 13% ha indicato l'argomento "Giocatore" in generale come elemento minimo, concentrandosi maggiormente sul prodotto rispetto alla fruizione. Eventualmente un secondo sondaggio più mirato potrà fornire dati più utili sotto questo aspetto.
Gli elementi minimi sono dunque tre, con alcuni parimerito:
La poca valutazione dell'elemento Ritmo è abbastanza spiegabile con il fatto che non sia un elemento minimo necessario: non è detto che un gioco di ruolo per essere tale debba regolamentare il flusso di gioco ritmandone i contenuti.
Passando brevemente al 10% di Agency, lo ritengo un minimo più interessante: spesso un gioco di ruolo in alpha o betatest che ho avuto piacere di provare ha infatti problemi di Agency, cioè manca di veicolare correttamente ai giocatori la motivazione per cui i personaggi agiscono. Rispetto al ritmo, forse Agency è un elemento minimo necessario per avere un GDR funzionale, ma non distintivo rispetto ad un gioco in generale, dove è invece più importante la presenza (io credo) di una chiara definizione dell'obiettivo del gioco. Ne riparleremo nelle Conclusioni del post.
Quanto ai Rinforzi e al Veto, arriviamo ad un punto più interessante. Il concetto di Veto era uno degli elementi che a priori mi sarei aspettato comparisse molto di più di quanto poi non è successo. D'altronde il Veto è tipico, a mio parere, dei sistemi più tradizionali, dove il Master ha il permesso di porre Veto sull'utilizzo di una regola oppure su un elemento della fiction. Ma il Veto è presente anche in forma "arrotondata" in giochi moderni, dove a seconda del Ruolo che si possiede i giocatori possono porre un Veto su come altri hanno descritto o un elemento su cui loro hanno autorità, oppure un evento o azione compiuta da un attante sotto il loro controllo.
I Rinforzi sono invece una voce originale che non mi aspettavo di vedere in elenco. Vale la pena spendere qualche parola in più su questo argomento, con cui mi trovo a posteriori molto d'accordo, e su un secondo ad esso correlato che ha preso qualche voto in più, vale a dire il concetto di Vincolo.
Vincoli e Rinforzi sono argomenti sorti quasi subitonel sondaggio e alcune persone hanno indicato uno, l'altro o entrambi sebbene utilizzando parole differenti gli uni dagli altri.
Parto dal concetto di Vincolo perché è caro al game design, sebbene la definizione che ho raccolto a partire dai dati sia lievemente differente. Un Vincolo è qualcosa che obbliga o induce a determinate scelte. Ad esempio, tema ed ingredienti del Game Chef sono considerabili Vincoli, in quanto obbligano il design dei giochi ad utilizzarli (il tema e almeno due ingredienti). L'obbligo non deve però essere visto in senso negativo, ma positivo: un Vincolo è sempre d'aiuto perché evita di paralizzarsi di fronte ad una pagina bianca, dando una certa direzione alle proprie scelte. Pensate a Dante, che con il vincolo della terzina dantesca ha scritto 14.000+ versi!
Con Rinforzo indichiamo invece delle regole che creano un secondo livello di senso all'interno della partita, ovvero regole che permettono di fare emergere temi, ma anche storie, legate al gioco stesso. Un Rinforzo infatti agisce confermando un certo tipo di fiction o in generale un certo tipo di messaggio della comunicazione ludica affinché quello sia giocato rispetto ad altri oppure risulti più profondo di altri eventi che, invece, sono marginali.
È ovvio che Vincoli e Rinforzi non siano elementi minimi distintivi, quanto funzionali. Perché lo sono? Principalmente perché questi due argomenti permettono di coprirne diversi altri, anche non presenti nell'elenco iniziale. Con Vincoli e Rinforzi possiamo infatti gestire la fiction, l'autorità e anche l'agency dei giocatori, nonché veicolare ambientazione e colore di un gioco. Vincoli e Rinforzi sono parte sia delle Regole (perché esse li propongono ai giocatori), che della Comunicazione: infatti, la meccanica o regola una volta giocata mette in pratica Vincoli/Rinforzi affinché venga orientata verso un determinato effetto.
Quanto allo Spazio Immaginato, Condiviso o Personale che sia, i suoi confini sono effettivamente definiti da Vincoli e Rinforzi presenti nel gioco. Ancora, i due argomenti permettono di stabilire un ritmo (se vincolano o rinforzano momenti di gioco) e sono parte integrante di un Attante o Ruolo, le cui regole difatto sono permessi o limiti di azione (vale a dire Rinforzi e Vincoli). Addirittura l'incertezza del gioco può essere Vincolo e/o Rinforzo.
Sebbene sia possibile che io abbia visto più di quanto vi sia dietro a queste due parole, mi affascina l'idea di poter definire un gioco come un insieme di regole che Vincolano e Rinforzano la Comunicazione creando uno Spazio Immaginario, dei Ruoli/Attanti e un senso di direzione del gioco. Ritengo questa frase la mia personale definizione di un gioco di ruolo ai suoi minimi elementi funzionali - mentre per quanto riguarda gli elementi distintivi credo che alcuni interlocutori dicano bene nell'indicare solamente un insieme di regole che organizzano una Comunicazione, uno Spazio Immaginario e dei Ruoli.
Sono rimasto piacevolmente colpito dal notare che alcuni argomenti proposti dagli interlocutori rappresentino alcuni dei punti toccati da Evan Hill nel suo saggio The New Dramaturgy che parla di come strutturare esperienze di gioco efficaci - saggio che io e il buon Francesco Zani stiamo traducendo in italiano.
Gli argomenti che mi sembrano entrare in contatto con quel saggio sono sicuramente il concetto di agency e quello di ritmo o andamento. Un altro legami mi sembra esistere tra la suspance di Hill, ovvero la carica emotiva che si accumula durante il gioco, e l'argomento dell'incertezza, che gli interlocutori hanno descritto in media come l'impossibilità di sapere esattamente come andranno le cose (che copre un ampio spettro di possibilità, dal tiro di dado fino alle scelte dei singoli giocatori).
I tre termini non hanno preso purtroppo tantissimi voti, ma sarebbe interessante approfondire i collegamenti una volta che la traduzione del saggio sarà pronta - lo saprete seguendo il blog.
Ci sarebbe moltissimo altro da dire sui dati. Ad esempio, si potrebbe parlare di come la fiction si attesti verso il basso della classifica oppure di alcune specifiche definizioni degli interlocutori che complicano ancora di più la ricerca di elementi minimi, ma personalmente mi ritengo soddisfatto dei dati finora raccolti e voglio mettere un po' in pratica le idee che sono emerse.
Il prossimo intervento che farò a riguardo dell'argomento verterà su esempi concreti tratti da altri GDR degli elementi che avete votato. Il terzo post della serie avrà invece nuovi dati da analizzare.
Infatti, prima di lasciarvi, voglio sottoporvi un nuovo sondaggio, questa volta aperto a tutti quanti ed eseguibile tramite Google Form: si tratta sempre di una domanda sugli elementi minimi di un Gioco di Ruolo, sia quelli distintivi che funzionali. Dovrete leggere un breve testo di un gioco scritto da me ed Edoardo e rispondere poi a due semplici domande. I dati mi permetteranno di fare un nuovo post ancora più preciso nei contenuti e anche più attuale, concreto.
Alla prossima!
Ciao a tutti! Ancora una volta vi parlo dal mio antro italico di un argomento a me molto caro: il design dei giochi e, in particolare, il momento del playtest. Tutti sappiamo quanto sia delicato questo processo quindi, in occasione della PlaytestCon 2018 che è attualmente in corso (termina il 30 Settembre), ho pensato di mettere nero su bianco qualche consiglio visto che sono un usufruitore di playtest di livello hardcore. L'articolo è stato ideato per essere letto da creatori di giochi, ma dopo averlo scritto credo che sia utilissimo anche per i playtester - benché sia forse più utile in questo senso l'articolo dell'amico Francesco Zani.
Partiamo dalle basi! Un playtest è una sessione organizzata di un gioco non ancora pubblicato che viene usata per ottenere feedback da giocatori al fine di comprendere meglio la qualità del nostro lavoro - ovvero trovare ciò che funziona e ciò che non funziona. Avete infatti bisogno che qualcuno di esterno al vostro lavoro lo valuti, perché il vostro punto di vista potrebbe essere troppo morbido o severe circa le meccaniche e i contenuti in generale del gioco.
Un Playtest è anche un ottimo modo per valutare il proprio modo di spiegare il gioco. Il mondo dei GDR è molto legato al testo nel senso di «oggetto concreto di una comunicazione» (Ugo Volli, Manuale di Semiotica, p. 60), quindi anche il discorso che prepariamo è fondamentale perché sarà anche il modo con cui altri giocatori spiegheranno il vostro gioco. A volte una critica dura portata dai giocatori non viene considerata perché c'è stato un errore di comunicazione nella presentazione del gioco: una regola spiegata male o in modo incompleto può generare così un feedback fallace.
L'atteggiamento ideale per il playtest si riassume in soldoni con due accorgimenti che riassumerei con essere proattivi, ovvero (a mio parere) l'insieme di tre atteggiamenti:
Mai.
O meglio, per voi sarà così. Avrete voglia di portare il vostro "bimbo" tra le fauci dei playtester solo quando tutte le regole sono a posto, ogni valore è bilanciato, i documenti sono impaginati bene... ci sarà sempre qualcosa che per voi è così fuori posto da impedirvi di testare il gioco! Combattete questa sensazione, non è mai troppo presto per playtestare! 😀
D'altro canto, è essenziale arrivare al playtest con un programma e un certo livello di giocabilità, il quale è difficile da definire in maniera generica. Ogni gioco, ogni designer, ha esigenze e metodologie diverse, ma in generale indicherei almeno quattro elementi necessari per un playtest, ispirati dai sistemi presentati da SocratesRPG:
Cercate, se possibile, di arrivare con tutto il materiale pronto. Se il vostro gioco ha dei personaggi da creare al momento, siete avvantaggiati; altrimenti, se il gioco prevede personaggi pregenerati, dovrete crearli stando attenti a coprire tutti i ruoli principali che il gioco permette di ricoprire - quindi, se avete tempo, preparate personaggi in numero maggiore rispetto ai giocatori, così che essi possano capire il ventaglio di opzioni che più o meno avete in mente.
Prima di giocare, ripassate le regole da testare e ricordatevi le modalità con cui le avete fatte funzionare. Utilizzate lo stesso metodo per presentare il gioco e siate sicuri delle procedure, perché spesso capita alla prima giocata di attraversare quella che chiamo la Crisi delle Basi.
Questa sensazione può presentarsi in realtà tutte le volte che definite in modo irrevocabile qualcosa del vostro gioco: la nostra mente può portarci a dubitare che quanto scritto sia effettivamente giocabile. Iniziamo ad avere dubbi sulla originalità del nostro prodotto, sulle funzionalità delle meccaniche, sull'apprezzabilità dell'atmosfera... insomma, su tutto ciò che è base del nostro prodotto.
Abbiamo dubbi perché teniamo davvero all'impressione che il gioco darà di noi. Come se il gioco fossimo... noi.
Spesso la Crisi delle Basi è generata da una istantanea risposta dei giocatori ad una meccanica del gioco: questo può creare una situazione di panico immotivato semplicemente perché non ci aspettavamo tale reazione. Per questo motivo, chiedete di rimandare ogni osservazione sul gioco alla fine. Fornite ai vostri playtester un foglietto su cui appuntarsi osservazioni e critiche per dopo e, mentre sondate il tipo di divertimento provato al tavolo (vedi i prossimi consigli), i giocatori potranno rivelarvi meglio cosa ne pensano senza ostacolarvi e costruendo magari un discorso più coerente e di maggiore utilità. Rimandare le osservazioni serve anche per visionare bene il flusso di gioco: se ogni scena vi fermate a criticare, infatti, diventerà difficile comprendere se l'incastro tra le varie meccaniche e il ritmo di gioco è quello che volevate.
In generale, consiglio a tutti di fornire appena finito il playtest un documento di feedback. Noi di Storie di Ruolo ne abbiamo creato uno per le fiere, se volete potete usarlo e vi forniremo i dati ottimizzati per un futuro utilizzo.
Leggere i feedback può generare non solo una Crisi delle Basi, ma anche un vero e proprio rifiuto per il gioco. Spesso, critiche severe portano una persona ad abbandonare un progetto - e spesso è l'autore del gioco a definire in modo soggettivo se una critica è per lui severa o meno.
Quando arrivi al tavolo dei feedback, ricordati dunque di non perderti d'animo e di non buttare via tutto il lavoro che hai fatto. Le critiche servono per crescere e anche se una sessione di playtest è andata male, è comunque un passo in più verso l'obiettivo di un gioco funzionale. In altre parole, quello che (soggettivamente o oggettivamente) è visto come un passo falso, è in realtà una normale fase del processo di creazione.
L'importante è che tu riesca a interpretare i feedback in modo neutro (a questo serve un singolo documento di feedback da sottoporre alla fine) e con una certa arguzia. Considera ogni aspetto del feedback: l'ordine con cui si presentano le informazioni, quante parole vengono usate, su cosa si focalizzano maggiormente, eccetera. Cerca di tradurre anche eventuali soluzioni proposte in coordinate per individuare cosa non funziona: infatti, sei tu che devi decidere come risolvere, non loro.
Considera che puoi fallire. Il tuo playtest può risultare in un totale Fiasco fallimento, ma anche questa... è una vittoria! È difficile considerare una sessione in cui ogni meccanica non si è incastrata a dovere come un passo verso il successo, ma è così: fa parte del processo intuire cosa non funziona nel gioco e risolvere il problema. E se il problema è il 60%+ del gioco, poco male! Avrai sicuramente più chiare le idee su come approcciare i problemi dopo il playtest rispetto a prima.
Però, attenzione: abbraccia il fallimento che esiste, non quello che credi che esista. Soppesa bene le critiche al tuo gioco, specialmente ripensando a cosa è successo durante la sessione. Potresti scoprire che una certa regola ha "fallito" solo perché spiegata male o non supportata dalle altre, quindi quella regola non è da togliere. Al contempo, ci sono meccaniche a cui sarai affezionato che dovrai, purtroppo, accettare di rimuovere dal gioco...
...e per questo non devi essere troppo protettivo. In particolare, evita di mostrarti come una muraglia inespugnabile - al di là del fatto che tu sia incline ad accettare o meno una critica. Infatti, quando reagiamo in modo un po' stizzito e protettivo nei confronti del nostro gioco, i playtester potrebbero interpretare la reazione in modo risentito e questo porterebbe a due gravi inconvenienti.
Un playtester che vi vede iper-protettivi smetterà di fornirvi feedback. Noi vogliamo che loro ci parlino, ma quando le loro obiezioni vengono puntualmente rimandate al mittente senza alcuna spiegazione o ragionamento, la buona volontà dei giocatori si perde. Piuttosto cercate modi morbidi per chiudere la faccenda, basta un "ok, me lo sono segnato, vedremo come risolverlo".
In secondo luogo, è possibile che reagire in maniera dura ad una critica generi pregiudizi. Questo perché il playtester non sa se noi andremo davvero a modificare il gioco o meno su una data regola che non gli garba, andando così a generare un ciclo di supposizioni tale per cui il vostro gioco verrà visto in modo negativo per la presenza di quella regola. Non importa se poi, giorni dopo, l'abbiamo sistemata sulla scorta di un ripensamento dei feedback: fare muro trasmette l'idea che quell'elemento non verrà modificato e, quindi, che il gioco sarà disfunzionale proprio a causa di questo.
Questo punto è fondamentale. Le persone che si siedono a giocare ad un playtest non vogliono spesso qualcosa di diverso rispetto ad una sessione standard: vogliono divertirsi. Il problema, come ho segnalato in altri post, è che questa parola per noi designer è totalmente inutile. Uno giocatore può essersi divertito per le battute di un compagno, perché le meccaniche hanno girato bene, perché il PG era fico, perché i dadi hanno creato scene comiche... e noi potremmo non sapere mai tale motivazione.
Non fate l'errore di accontentarvi di questo generico "divertimento" e a fine sessione chiedete specifiche direttamente. Non aspettate il modulo feedback, perché quello tende a fornirvi dati freddi e giustamente atti a fare dei calcoli statistici. Io vi consiglio di usare la teoria dei Piaceri (o dei Type of Fun, a seconda del testo che usate) di Marc LeBlanc e di chiedere ai giocatori di specificare sempre cosa intendono con "divertimento".
Questo ci permetterà di inserire il gioco in uno degli otto tipi di LeBlanc, fornendoci così molti più dati utili: sapere che un giocatore si è divertito perché ha apprezzato le sfide e il sistema della difficoltà del gioco è ovviamente oro colato per noi che dobbiamo playtestare!
A volte, i giocatori ti forniranno critiche di questo tipo: "ah, senza questa meccanica il gioco non funzionerà mai" o "se non metti questa regola qui il gioco è rotto". In questi casi, valuta sempre se la critica in questione non nasconde il desiderio di un fan di un altro gioco perché può essere che egli stia proiettando sul tuo progetto quello che gli piace di più di un altro prodotto. E tu non puoi accontentare i fan di altri prodotti.
Diffida anche dalla tendenza di incorporare in maniera istintiva non solo nuove meccaniche proposte dai giocatori che riscontrano il tuo piacere, ma anche regole adattate da altri giochi. A volte, il playtest si trasforma in una gara volta a soddisfare il palato di tutti... ma questo è impossibile! Nessun gioco può accontentare tutti i tipi di giocatori e tutti i fan di ogni gioco. Anzi, questa direzione è quella perfetta per la distruzione del tuo progetto.
Devi valutare quindi i feedback che ti propongono aggiunte o rimozioni sulla base della loro funzionalità rispetto al gioco che hai proposto - e solo rispetto a questo. Se dovessimo implementare ogni idea interessante o meccanica geniale che vediamo nel nostro prossimo gioco, non concluderemo mai nulla. La tendenza sarebbe quella di inglobare costantemente senza però terminare i contenuti reali del gioco.
Infine, l'ultimo consiglio spassionato. Qualsiasi siano le critiche e i feedback che ti forniscono, tu sei il lead designer del tuo gioco. Con tutti i diritti di modifica e le responsabilità che incombono insieme a questo ruolo, ovviamente. Sei tu che devi avere l'ultima parola sul gioco, il che non significa che tu debba avere l'ultima parola del dialogo dopo il playtest. Significa che valutare i feedback e decidere come agire sta a te (o a voi, se siete più autori), nella tua stanzetta delle meraviglie, nel tuo studio, nel tuo ufficio.
Cerca di separare la fase della risoluzione dei feedback da quella della raccolta, perché spesso tendiamo a cercare di giustificarci coi playtester e inconsciamente stiamo già sistemando il gioco. Sarebbe anche cosa buona e giusta lasciar decantare un po' le informazioni ottenute: una bella dormita o un breve periodo di distanza dal mondo del game design (30-60m) aiuta molto a districarsi tra tutti i feedback. E nel farlo, lì di fronte a loro, tendiamo a sembrare chi ha l'ultima parola. Cosa veritiera - ma loro non lo devono sapere.
Buon playtest a tutti!
Daniele
«Ultimamente anche il mio modo di mangiare è influenzato dal design». Così ci ha conquistato Marta Ciaccasassi, game designer di Perugia con già diversi giochi da tavolo all'attivo, mentre la intervistavamo per il suo gioco Cross the Sea, rilasciato free negli scorsi giorni. Il gioco tratta in maniera originale e adeguata il tema dell'immigrazione e ci ha fulminato per il design schietto e di alto livello. Marta è stata così gentile da sottoporsi alle domande mie e di Edoardo!
Marta Ciaccasassi: «Oh, caspita... guarda, ci tengo a dire che non l'ho fatto minimamente per la visibilità! In un primo periodo non volevo inserire il nome e volevo lasciare il gioco anonimo. Poi confrontandomi con una mia amica mi ha fatto riflettere sul fatto che era più responsabile inserirlo, soprattutto per la forte tematica del gioco. Sono comunque stata fin all'ultimo indecisa sul mettere il nome...».
Marta: «Domanda tosta! Mi sono svegliata una mattina e riflettevo sul trovare un canale per parlare di immigrazione. Faccio parte di una associazione LGBTQ+ e quest'anno abbiamo portato ad una manifestazione proprio questo tema. Ho sentito la necessità di comunicare tutto quello che volevo, ma non tramite semplici parole... non funzionava. Ho pensato così ad un gioco; d'altronde serve anche per comunicare, no? Per quanto riguarda le meccaniche, è stato un processo con molte modifiche. Oggi ho riletto le prime idee di Cross the Sea ed era molto diverso, c'era un dado che invece ora è una moneta. Era una cosa molto diversa! Credo ad un certo momento io abbia anche inconsciamente utilizzato anche un vostro post, quello sui Dieci Consigli per creare un GDR Minimalista. Ho variato comunque materiali e meccaniche anche per avvicinarlo di più alla quotidianità, per creare un rapporto tra il gioco e la vita di tutti i giorni».
Marta: «In realtà ho iniziato dai giochi di ruolo! Quando avevo quindici anni ho comprato i manuali di Dungeons & Dragons 3.5. Ho ricominciato a giocare recentemente con l'associazione Corte di Carta. Tuttavia ho notato che c'è molta più conoscenza sui giochi mainstream (Mondo di Tenebra ad esempio) rispetto ad altri più recenti e interessanti come Fiasco - e forse questo loro essere "sconosciuti" a larghe fette di giocatori li porta ad essere giocati di meno. Comunque grazie all'associazione ho riscontrato un rinnovato interesse verso i giochi di ruolo da parte di tutti, si sentiva la mancanza di qualcosa del genere qui a Perugia. Quanto al resto della mia vita, gioco di tutto! Ho incontrato i giochi da tavolo solo nel 2010, ma mi sono appassionata subito. Sono una buongustaia, sebbene preferisca un poco di più i giochi german. Adoro molto Race for the Galaxy che è un gioco molto particolare di carte, con azioni in simultanea che contempla anche dinamiche in cui devi cercare di prevedere le mosse altrui».
Marta: «Io credo molto in un'idea forse utopistica, mi piacerebbe che in futuro si parlasse di gioco e basta. Nei libri di design trovo spesso definizioni molto strette, mentre anche per Cross the Sea appunto mi piacerebbe che sia solo un gioco, un bel gioco. Se devo comunque azzardare un genere, mi viene in mente un tipo di videogame molto interessante dell'ultimo periodo ovvero i walking simulator. Sono partita da lì, anche se poi sentivo di dover proseguire sulla strada del semplice gioco».
Marta: «Sono relativamente nuova al mondo dei gdr perché conoscevo, diciamo, quelli più famosi - il più particolare che ho giocato è Cani nella Vigna. Seguo comunque l'ambiente dei giochi di ruolo indie e recentemente anche del LARP nord-europeo... non so se sia educativo o meno, sicuramente se dovessi riscriverlo fra qualche mese sarebbe totalmente diverso e forse avrei modo di essere più certa su cosa sia».
Marta: «Nel design ho deciso di inserire dei finti bivi, o scelte forzate, perciò da qui a parlare di librogame… insomma, i bivi in realtà non offrono scelte! Questo è stato fatto volontariamente a livello di design per rinforzare il messaggio di fondo, ovvero che a volte, nella vita, le scelte non ci sono proprio! Ripeto, lo definirei semplicemente gioco. Non credo sia neanche definibile gioco di ruolo perché mancano alcune caratteristiche che me lo fanno chiamare tale».
Marta: «Caspita, le ha superate in tanti punti! Progettandolo ero pessimista, non volevo pubblicarlo perché non mi sembrava così interessante, ma credo sia una cosa che succede a tutti i designer e magari si perdono giochi molto validi... per certi versi sono ancora incredula del suo successo! Le condivisioni sono state enormi, molte più di quanto pensassi. Pensavo si fermasse alla mia cerchia di amici e, fosse stato così, sarei stata comunque molto contenta. Per come è andato... sono ancora stupita! Non è neanche il mio settore, è un gioco atipico rispetto al mio passato; come prima esperienza ha superato ogni mia aspettativa, davvero».
Marta: «Sì, il gioco da tavolo è il mio settore professionale d’origine. A me piace il gioco in generale, non mi piace limitarmi. Sono partita dai videogiochi e ne sono appassionatissima! Ma era difficile in Italia prendere questa strada. Così quando ho conosciuto il mondo dei giochi da tavolo è stata una svolta, forse perché è un ambiente più gestibile nel nostro paese - e anche a livello internazionale, pur rimanendo in Italia. È un mondo con enorme potenziale, secondo me manca l'esplorazione di molte tematiche forti. Su Barbarians sono entrata come collaboratrice, inizialmente era di Pierluca Zizzi. Martino Chiacchiera ha contattato Pierluca per chiedergli di lavorarci un poco e abbiamo così approfondito il gioco. Con la stessa casa editrice di Barbarians ho lavorato a Mysthea e successivamente sono diventata sviluppatrice per CosplaYou, una etichetta che mira a giocatori non classici; ho lavorato a Meteors, e ho editato alcuni dei loro giochi. Sempre con loro abbiamo aperto un ramo per Kickstarter e abbiamo sviluppato The Faceless, un gioco stranissimo che usa i magneti e una bussola in modo abbastanza originale».
Marta: «In questo momento sono concentrata sul design di alcuni miei giochi, tra cui un prossimo progetto Kickstarter sequel del precedente, Icaion, e altre idee che vorrei proporre all’editoria tradizionale; ho anche in cantiere alcuni progetti simili a Cross the Sea, forse un po’ più filosofici come tematiche e mi piacerebbe anche affrontare il tema dell’identità di genere. Mi sto anche attrezzando per offrire un servizio di consulenza per quanto concerne i giochi Kickstarter, avendo accumulato tanta esperienza grazie al lavoro di design come in Barbarians, e al lavoro di sviluppo come in The Faceless. Credo sia arrivato il momento di mettere a frutto tutto ciò».
Marta: «Dovrei (condizionale d'obbligo, ma ci sarò) essere a Lucca Comics & Games, magari con Cross the Sea con me!».
Bentrovati sulle pagine digitali di Storie di Ruolo! Oggi volevo proporvi un contributo di game design che possa essere utile sia per coloro che vogliono scrivere giochi di ruolo minimalisti che per coloro che meditano house rules e contenuti homebrew. Dopo aver partecipato ad un Game Chef e ad un 200 Words RPG Challenge mi sono accorto di quanto mi sia dovuto addestrare nella sintesi, nel design testuale e linguistico. L'esperienza che mi ha fatto galvanizzare tutto in un post è quella con un One Page RPG, ovvero un gioco che è contenuto tutto in una sola pagina - e il cui file beta rilascerò in questo post. Il gioco è:
Sempre più spesso sento l'esigenza, forse per via del GDR al Buio, di alternare giochi di ruolo da campagna (in particolare Le Notti di Nibiru, Avventure nella Terra di Mezzo e qualche PbtA "grosso") a prodotti minimalisti, che possano occupare una singola serata e magari fornire qualche innovazione su tema. Ho partecipato alla 200 Words RPG Challenge di quest'anno proprio nell'ottica di produrre una vecchia idea di un gioco con meccanica poetica (scrivere haiku) e sono soddisfatto molto del risultato, benché ci sia sempre margine di miglioramento.
Sono anche affascinato dagli Screenshot, prodotti da GGStudio: giochi che stanno in uno schermo da master più qualche scheda. Fleshscape di Emanuele Galletto mi ha stupito molto da questo punto di vista, per la sua completezza e leggerezza. Volevo da molto tempo produrre qualcosa di simile, per evitare di continuare a generare idee che non venivano mai chiuse - e per questo mi impongo molti vincoli.
Il primo insegnamento che deriva dalla mia esperienza è proprio questo: l'estremo vincolo della 200 Words RPG Challenge mi ha costretto a concentrarmi molto sulla lingua e sulla sintassi, confermando la mia opinione per cui nei giochi di ruolo lavorare sul testo delle regole sia in effetti anche un lavoro di design. Il secondo insegnamento è semplicemente una conseguenza. Come avviene anche nel campo della grafica, il design è un'arte di bilanciamento di pieni e vuoti, di bianco e nero, di colori: non devi stare attengono solo a quello che dici, ma anche a cosa sottintendono le parole e le regole e cose, invece, non regolamentano.
Non regolamentare in modo cosciente e coerente (terzo insegnamento) non significa affatto essere apatici o non voler far fatica, ma esprime una scelta di design tanto quanto una regola. Così far emergere una ambientazione da un sistema, fornendo solo qualche minimo accenno di cosa si stia andando a giocare, è una scelta di design: chi fruisce quel gioco potrà apportare qualcosa di suo, personalizzandolo per le sue esigenze, ma anche per sentirlo più vicino alla propria esperienza. Un esempio che secondo me è abbastanza minimalista e su questa linea è Kinstugi di David Schirduan.
Il quarto insegnamento deriva proprio da questo atteggiamento di fruizione del gioco come momento di riflessione di design. Giocare per me significa vedere come altri autori hanno approcciato problemi che solitamente sono successi anche a me. Un po' come quando i giocatori di scacchi si studiano partite storiche o guardano come i loro colleghi risolvono posizioni di scacchiera in cui ci si ritrova spesso - e capita, davvero.
Grande ispirazione per me sono stati gli One Page RPG. Ci sono approdato dopo aver visitato il patreon di Grant Howitt, autore di due giochi minimalisti che ho apprezzato tantissimo e giocato anche al GDR al Buio: Big Gay Orcs e Jason Statham's Big Vacations. Specialmente quest'ultimo, a cui dedicherò un post di analisi a parte, mi ha spaccato la mente in due con la sua struttura ben solida di scene. Mi rendo spesso conto di avere un problema di montaggio tra scene e mi sto concentrando sul recuperare, scrivendo giochi che utilizzano meccaniche di framing molto forte. Il quinto insegnamento è quindi un po' opposto a quanto si dice di solito: non fare design per cose che sai fare bene, specie sul minimalistico; fallo per cose che non sai fare. Sarai spinto a trovare gli strumenti per comprendere dinamiche che magari altri giocatori e master hanno già interiorizzato.
Benché fossi convinto di riuscire a fare un gioco in una singola pagina A4, per l'idea che avevo in mente servivano due fogli, così ho modulato l'idea del One Page RPG ad essere sempre una pagina A4, ma con due facciate. Questo mi ha permesso di risolvere un grosso problema della lingua italiana, che è stata cronologicamente la prima lezione imparata (sesto insegnamento): la lingua italiana non è per niente sintetica. Ovviamente è come scoprire l'acqua calda, specie per creatori di giochi indipendenti italiani che hanno partecipato al 200 Words RPG Challenge e si sono scontrati così con l'ottimo rapporto comunicatività/parole dell'inglese.
Un altro problema degli One Page RPG che affronterò in futuro è che spesso sfruttano la grafica per indurre regole e gameplay di gioco: ne è un esempio la collezione di ottimi One Page Dungeon e di One Page Scenario tra cui ce ne sono alcuni anche astratti molto interessanti. Ne parleremo in futuro. Comunque, eccovi un One Page Scenario di esempio, anche per l'approccio minimalista con cui è stata costruita la pagina: il corpo oscuro della bestie infatti contiene infatti il concept del "dungeon", mentre la parte bianca la descrizione della location.
The Magnificent Shadow di Eric Diaz è un esempio di ottimo "spunto" per altri One Page RPG. Clicca per scoprire la sua storia!
Arriviamo ora al gioco, L'Antico Rotolo Andava Portato a Salvo. Esso unisce due idee a cui ero molto affezionato: fare un gioco che sfrutti app o siti di messaggistica come Messenger, WhatsAPP e Telegram e... fare un gioco su chi rimane senza carta igienica in bagno. Spesso le idee migliori per dei concept minimalisti vengono proprio dalla quotidianità stravolta in chiave ruolistica (settimo insegnamento): sulla mia agenda ne ho di diverse tipologie, da un gioco che racconta le disavventure di un condomino che scende a buttare la spazzatura ad un gioco in cui devi completare l'albero genealogico dei fantomatici parenti di un personaggio (ne si parlava con i MorgenGabe in chat, sarebbe ottima una hack di Microscope). Il nome del gioco potrebbe cambiare, anche se l'ironia generata dal manipolare lo slogan della pubblicità dell’Amaro Montenegro mi garba molto.
Dunque, L'Antico Rotolo Andava Portato a Salvo è un gioco di investigazione su chi o cosa abbia terminato la carta igienica che vi obbliga a rimanere sul WC fino a che qualcuno non verrà ad aiutarvi. Il gioco si focalizza tutto sulla scoperta del colpevole (elemento che mi continua a portare a ripensare il titolo del gioco, magari cambiandolo in Chi ha incastrato Salvo in Bagno?) attraverso una chat in cui coinvolgere amici che interpreteranno i coinquilini di Salvo. Al termine del gioco il colpevole o il segreto dietro la fine del rotolo verrà svelato... e potrebbe trattarsi di Salvo stesso!
Il testo del gioco non occupava integralmente le due facciate di A4. Potevo sicuramente cercare di stringere tutto in una sola facciata, ma mi sono chiesto cosa potesse servire ai giocatori e qui arriva l'ottavo insegnamento: un gioco minimale non lo è per il numero di regole che porta, ma perché propone lo stretto necessario per poter giocare. In questo caso, rileggendo il gioco, mi sono accorto che poteva essere difficoltoso percepire il processo, ovvero chi debba fare cosa, connesso alle procedure da attuare (vale a dire gli step in ordine di gioco).
Pertanto ho deciso di introdurre su ambo i fogli un box chiamato Flusso di Gioco. Avrei potuto creare un actual play diviso in due parti, ma rendeva caotica l'impaginazione e la lettura più di quanto volessi. Il Flusso è uno specchietto che organizza le azioni di Salvo (sul suo foglio) e dei Coinquilini (sul loro) e che può essere adocchiato mentre si gioca. Per me questo è forse l'insegnamento più grande (nono): mettete un flusso di gioco o qualcosa simile ai playaid di Fiasco, con le regole ben riassunte in ordine.
Il flusso mi ha anche permesso di riflettere sul tema "meccanico" del gioco, vale a dire il "framing" se così si può dire. Esso è generato da una serie di frasi rituali (proposte, ma intercambiabili con qualcosa di similare) che permettono di orientare il gioco in Fasi: creazione PG e setting; gioco vero e proprio; fine. Mi sono accorto della necessità di strutturare e di nominare le varie fasi e alcune azioni dei giocatori proprio scrivendo il Flusso e da qui nasce la decima e ultima lezione: riscrivere e/o rispiegare un gioco ti aiuta a capire se è comprensibile.
Siamo così concentrati a far quagliare gli ingranaggi delle meccaniche che spesso ci dimentichiamo di aggiungere una narrabilità/comunicabilità delle stesse, che nei giochi minimalisti deve essere massima. Proprio L'Antico Rotolo Andava Portato a Salvo mi ha fatto riflettere su come la mia capacità di creare contenuti minimali e narrabili sia alquanto pessima: è un "errore" che spero mi possa portare sulla buona strada.
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Ma se questo gioco è un errore, perché condividerlo? Undicesimo insegnamento: mai credere alle parole di un designer, lui se ne frega delle regole un gioco non è mai finito senza riscritture che tendano a rifinirlo, non ridefinirlo. Per questo motivo rilascio free con licenza Creative Commons questo giochino di cacca e caccia all'usurpatore di carta igenica! Buone partite e... fateci sapere nei commenti come lo trovate e, se lo avete giocato, un report della vostra partita! 😀
Mi trovo al secondo giorno di Modena Play ed in qualche modo sono riuscito ad isolare Emanuele dalla calca che circonda lo stand di GG Studio - e sono solo le 10 di mattina. Questa intervista è una di quelle che ho programmato prima della fiera: parlo spesso, sui social o su Telegram, con Emanuele e sono piuttosto curioso ci conoscere come i suoi giochi arrivano alla nascita. Lui è stato tremendamente stupido: ha accettato ed adesso gli chiederò qualsiasi cosa che mi passerà per la testa - perché, ovviamente, prepararsi le domande sarebbe troppo intelligente.
"..ma mi fai delle domande, vero?"
Emanuele Galletto: "Ciao, sono Emanuele! sono l'autore di Fleshscape, edito da GGstudio ed attualmente (a Modena Play, nde) in demo allo stand. Come game designer ho realizzato e realizzo vari giochi che solitamente illustro anche"
Emanuele: "Molto tempo fa, appena finito il liceo, ho lavorato per un gioco "non a scopo di lucro" sulla fantascienza, Faith Empire : quello è stato il mio primissimo lavoro come illustratore di giochi. Poi mi sono spostato a Bologna per l'accademia con l'idea di fare fumetto ed illustrazione, tant' è che in realtà le illustrazioni base di Fleshscape sono state il mio progetto di diploma.
In realtà è stata un po' una furbata, perché io mi diverto tantissimo a disegnare creature e personaggi, ma molto molto meno a disegnare edifici, piante e simili: quindi l'ambientazione era in realtà un pretesto per disegnare un progetto di 60 pagine di qualcosa che mi piacesse disegnare."
Emanuele: "Assolutamente sì! Anche perché poi, come tesi, sono finito a fare un progetto di fantascienza e di spaceopera e tutte le bozze di fleshscape sono state messe da parte. Poi circa un anno e mezzo fa stavo lavorando ad un concept di un gioco preistorico, con elementi di sfruttamento e raccoglimento risorse alla Monster Hunter (dove si creano oggetti a partire dai materiali ottenuti dai mostri uccisi, nde) e.. niente, non avevo il budget per ingaggiare un'altro illustratore! Mi sono ricapitati in mano i bozzetti degli artwork del vecchio progetto e ho trovato che si prestasse molto bene a questo tipo di gioco. Sono stato fortunato!"
Emanuele: "Non di pubblicati! Però sto lavorando ad un gioco, una hack di blades in the dark, Grave of the Gods, dove le regole sono in realtà la parte meno consolidata. So che alla fine sarà una hack di Blades perché alcune caratteristiche del gioco si prestano veramente bene, ma la maggiorparte del lavoro che ho fatto fino ad ora sono concept di scenari che potrebbero verificarsi nel teatro principale del gioco, una città sotterranea e sepolta.
Emanuele: Faccio largo uso di pinterest per crearmi bacheche di ispirazione per ogni progetto. Raccolgo su Google centinaia di immagini di ispirazione, anche se non sto lavorando con un team e quindi senza una particolare necessità di condividere ciò che sto facendo. Però sono solito lavorare su svariati progetti, e preferisco salvare e mettere da parte stili ed immagini di ispirazione. Molti poi non c'entrano nulla con il lavoro finale, eccetto che per un particolare, o un tipo di linea o di tratto.
Emanuele: "L'estetica carnosa si basa molto sul cinema gore e body horror. Quindi Cronenberg, oppure film come La Cosa hanno sicuramente avuto un ruolo. Il colore, compatto ma acceso, arriva sicuramente da Moebius - quel che di linea chiara francese. Anche Berserk, nello specifico il mondo delle Eclissi, ha avuto una certa influenza anche se poi il tratto di Fleshscape è molto meno ricco. Per il design bizzarro delle creature, sicuramente le concept art di videogiochi di ruolo come Dark Souls, oppure Bloodborne."
Emanuele: "E' vero, ho purtroppo la tendenza a conformare e deformare le regole in base al formato in cui sto lavorando. In realtà, quando metto giù un prodotto, la prima cosa che faccio è decidere in che formato lo voglio rilasciare e costruire una griglia di elementi grafici all'interno dei quali voglio muovermi e spaziare. Molte volte taglio, accorcio o allungo a seconda dello spazio che devo riempire."
"..la scheda del personaggio per me è la parte fondamentale del gioco"
Emanuele: "Di solito finisco per cercare la brevità. Mi ritrovo a cercare di ridurre al minimo. Non è sempre possibile in certi giochi, soprattutto quelli che rilascio come volume dove mi sento più libero di usare parole in più. Per i minigiochi però seguo questa regola. Mi diverte anche un sacco lavorare su formati inconsueti e sulle schede del personaggio. La scheda del personaggio per me è la parte fondamentale del gioco, è sempre visibile al tavolo e deve essere comunicativa del genere e dell'atmosfera che il gioco vuole ricreare e che contenga tutte le informazioni necessarie al gioco. Odio quelle schede che sono solo un insieme di appunti alla rinfusa per il giocatore senza nessun riassunto sulle direttive da seguire per giocare."
Emanuele: Ho un Patreon dove potete trovare praticamente tutti i giochi che pubblico e dove potete tenervi aggiornarti su quello a cui sto lavorando. Potete trovare anche i miei giochi su DrivethruRpg. In ultimo, potete trovare i miei artwork e lavori grafici su Artstation. Se invece volete discutere e fare domande sui miei lavori, vi invito al Gruppo Facebook che ho creato appositamente!
Alla Prossima
Edoardo
Ho avuto modo di provare al GDR al Buio il gioco La Spada e Gli Amori, hack creata da Antonio Amato (con delle stanze poetiche scritte dal nostro Ivan Lanìa!) per il gioco Archipelago III (di Matthijs Holter). Dopo la partita ho avuto modo di parlare con gli altri giocatori e, da solo, di riflettere su come vengono presentate le regole nei due giochi e, più in generale, in giochi di ruolo e di narrazione - sebbene non voglia ovviamente fare di tutta l'erba un fascio.
Sommario
Dopo la lettura di Archipelago sono rimasto un po' stranito e frastornato perché il gioco non riusciva ad entrarmi in testa, nonostante sia ben scritto e abbia i dovuti esempi e consigli di gioco (e anche molti!). Invece, La Spada e Gli Amori (da ora LSeGA) mi è risultato più chiaro e, benché abbia compiuto alcuni errori nell'impostare la partita giocata (come potete leggere nel post In Gioco delle scorse settimane), mi trovavo più comodo a consultare il manualetto in caso di problemi. E sì: ho spesso ricordato male le regole durante la sessione di gioco, ma vi assicuro che ho letto Archipelago più d'una volta e con cognizione, tanto da ricordarmi che esistessero certe parti del testo, ma dimenticando dove.
Mi sono chiesto come mai ciò accadesse e ho dato colpa, inizialmente, al fatto che non avevo mai giocato un masterless senza aiuto da parte di altri giocatori e che, magari mi confondevo tra i due testi. Eppure non sembrava essere solo quello: dalla sessione ho capito che c'era dell'altro e ho cercato di darmi una risposta, forse molto più grande, che coinvolge i giochi di narrazione e di ruolo in generale. Dalla risposta che mi sono dato sono derivati due ragionamenti paralleli che qui vi presento.
Tratterò in futuro, anche per chi volesse cimentarsi nella scrittura di giochi di ruolo, della annosa questione del testo dei giochi di ruolo e di narrazione. Personalmente sono convinto che il GDR e i giochi di narrazione, a differenza dei giochi da tavola, siano una comunicazione in differita in cui i documenti proposti per giocare sono fondamentali: in un gdr non posso sempre godere di un feedback diretto delle componenti di gioco come potrebbe avvenire in un 7 Wonders o in un Century, né affidarmi a riassunti o presentazioni demo spicce che possano coprire tutte le regole - benché alcuni brevi gdr siano in parte adatti a questo.
Archipelago III si propone come un testo che tenderei forse a indicare dall'aspetto simile al testo di un gioco freeform. Uso deliberatamente quanta più cautela possibile perché i testi freeform che ho letto per ora si contano su una mano e poi c'è l'annosissima questione di cosa sia un freeform1: diciamo che la struttura visibile del testo propone delle regole e una serie di possibilità di gioco, più diversi consigli per risolvere problematiche o punti dubbi del regolamento base. Come in alcuni altri freeform che ho letto, l'attenzione non è dunque sul come giocare (intenso in senso ampio, cioè indicando sia una assenza di meccaniche tradizionali come statistiche e punti, sia di indicazioni precise su come porre in gioco una data procedura), quanto su cosa si gioca.
Ciò che mi disturbava di Archipelago è la sua estrema calma e pazienza. In alcuni punti l'assenza di definizioni e proposizioni nette sul chi dovesse fare qualcosa e perché (la cui presenza forse tenderebbero a rompere l'assunto di essere freeform) mi davano l'impressione di reggermi sul nulla. Mi sentivo cioè senza la terra sotto i piedi, anche essendo neofita del genere "masterless" o "masterfull". Ero infatti più comodo in parti (che tra l'altro ricordo meglio) come Creare i personaggi e Impostate la scena, dove il testo indica esattamente cosa compiere, rispetto a parti come Definire una nuova ambientazione o Iniziare la sessione, che invece introducono in maniera un po' serpentina elementi anche importanti (come il dover stabilire i Punti del Destino, che sta all'inizio di Iniziare la Sessione e non in Usare i Punti del Destino, né possiede un paragrafo a sé stante). Poteva essere un errore di traduzione? Assolutamente no.
Quando ho approcciato invece La Spada e Gli Amori ho avuto subito ben chiaro come dovevo agire in quei punti che in Archipelago erano a me oscuri. Non è tanto o solo il fatto che LSeGA spiega con più precisione concetti solo accennati in Archipelago, come le Autorità, ma anche che la costruzione del testo mi risultava più intuibile. Ad esempio, oltre a descrivere le Autorità su temi nel Capitolo 2 - Il Gioco, LSeGA ripropone le modalità con cui stabilire chi ha Autorità su cosa anche nel Capitolo 3 - Impostare il Gioco, che ovviamente introduce passo dopo passo cosa bisogna fare prima di iniziare a giocare.
In generale, LSeGA si comporta così per tutto il suo testo: è una riproposizione di alcune regole e concetti di Archipelago, rispiegate però nell'ottica di una giocata vera e propria. È più una rappresentazione del processo che delle procedure. Il testo mi ha permesso di aiutare i giocatori spesso durante la sessione, ricordando loro alcune regole che (pur essendo presenti nelle carte-riassunto distribuite) erano un pelo difficili da ricordare tutte alla prima sessione. Quando cerco invece qualche dettaglio importante delle regole in Archipelago, non riesco a trovarmi a mio agio e ci metto un po' a venirne a capo.
Questo problema è (senza dubbio) soggettivo, anche perché già Edoardo si è trovato molto bene nella lettura e comprensione di Archipelago rispetto a me. Tuttavia, nonostante la soggettività del problema, mi sono spinto verso una analisi critica dei due testi per individuare possibili cause oggettive: ne è scaturito una (credo) interessante proposizione di tre argomenti di design che, vi anticipo, non mirano come questa prima parte a stabilire quale dei due giochi sia migliore, bensì a decretare le differenze ed evidenziare i punti di forza rispettivi.
Mi si concederà una doverosa precisazione. Qualcuno potrebbe obiettare che io presenti delle analisi di design partendo dal testo dei due giochi e non considerando la loro effettiva riproposizione. Ciò è vero, ma non è sbagliato a prescindere: prima di tutto perché Archipelago e LSeGA sono lo stesso gioco e le differenze sono appunto nella loro presentazione; secondariamente, e connesso a quanto già detto, se è vero che un gioco di ruolo o narrazione fornisce molta più importanza al testo di altri tabletop games, allora una diversa scelta di proposizione dei contenuti del gioco rappresenta di fatto una scelta di design diversa.
Procedure di esplorazione vs. processo di esplorazione.
Sono arrivato a credere negli ultimi mesi (o anni) che molti giochi di ruolo trascurino un aspetto fondamentale che LSeGA invece non tralascia: anziché presentare solo le procedure di gioco, Amato tende a mostrare anche il processo di gioco. Durante la ricerca nell'ambito del game design che ho fatto per questo articolo mi sono scontrato con, ovviamente, l'assenza di un dizionario condiviso: ogni testo che ho consultato, infatti, non solo proponeva approcci molto diversi tra loro, ma anche analisi su argomenti similari con termini differenti. Districarsi non è stato facile: io partivo da due concetti che per me erano molto chiari (procedura, processo) e i testi che consultavano moltiplicavano le terminologie di concetti che mi sembravano uguali. Fortunatamente sono riuscito a comprendere come si incastrano le mie personali folli elucubrazioni e quello che, invece, propongono razionalmente i vari tomi che ho consultato.
Partiamo però da due definizioni di massima. Chiamerò Procedura quell'azione o insieme di azioni che, similmente ad una macro, sono proposte e intese per essere eseguite in maniera automatizzata. Ovviamente dovrebbe risultarvi chiaro che sto parlando di un livello di gioco superiore a quello delle meccaniche: una Procedura presuppone la sua attuazione per ottenere un prodotto, che è in questo caso il farsi di un gioco. È difficile notare una procedura in un gioco di ruolo perché di solito sono molto brevi e "nascoste" nel design, ma in Archipelago è notabile.
Il gioco ad esempio ti dice che quando qualcuno, non importa chi sia, pronuncia la frase Non sarà così semplice nei confronti di un'azione del personaggio del giocatore attivo, egli pesca la carta, la passa ad un giocatore a sua scelta la quale o il quale la interpreta e fornisce un esito per l'incertezza narrativa che era apparsa in gioco. In questo caso c'è una procedura, perché sia l'insieme di regole che le eventuali eccezioni (come il fatto che la frase possa essere pronunciata una sola volta per turno contro un giocatore attivo) possono essere introdotte in un workflow chart che riassume bene l'automatismo dell'esecuzione dei vari step. Il problema è che non viene indicato il cosa sta accadendo, in altre parole il perché debba avvenire questo processo ad opera dei giocatori.
Bene, ma quindi cosa è un Processo? Il Processo è, per me, la presentazione di come una procedura debba essere messa in atto, o meglio chi debba fare cosa e perché in quel modo. Cercando sul web qualcosa che permettesse di chiarificare questo ho avuto poca fortuna se non individuare un testo che spiega giuridicamente cosa siano procedura e processo. Mi sono appropriato dei contenuti perché con quelle parole io intendevo praticamente la stessa cosa - ora potete chiamarmi nazi-ruler o rules-lawyer se volete.
Ora, lungi dal volervi costringere a leggere quell'articolo, isolo le parti che m'interessano:
[...] La procedura è un insieme di attività ripetitive, sequenziali e condivise tra chi le attua. Esse vengono poste in essere per raggiungere un risultato determinato. In sostanza, è il “che cosa” deve essere attuato per addivenire a un “qualcosa”, a un prodotto, descritto sotto forma di “regole”, [...].
[...] Il processo è l’insieme delle risorse strumentali utilizzate e dei comportamenti attuati da persone fisiche o giuridiche finalizzati alla realizzazione di una procedura determinata. In altre parole, è il chi fa che cosa.
[...] Mentre la procedura è perlopiù codificata ed è neutrale rispetto alle persone che la realizzano, il processo, invece, è affidato a persone e può essere modificato in funzione di variabili ambientali.
Solo in questo momento, leggendo queste ultime parole in grassetto, ho capito la connessione tra i miei ragionamenti, i testi che stavo consultando e i due giochi che, pur uguali, si presentavano dissimili sotto ai miei occhi.
Giunti a questo punto, un ringrazimento dal sottoscritto. Siamo oltre il giro di boa, ancora qualche paragrafo e avrò finito. Come ricompensa, voglio fare una breve digressione qui per evitare che mi si accusi di ritenere Archipelago III un gioco brutto: io ho letteralmente adorato sia Archipelago che LSeGA, d'altro canto sono lo stesso gioco. Ciò che intendo dire con questo post è che io preferisco la presentazione che ha fatto Antonio Amato poiché, in modo inconscio o conscio (spero il secondo), ha costruito un testo che incontra maggiormente il mio modo di pensare e di agire.
Io infatti sono un giocatore processuale. Adoro e preferisco quei giochi che mi chiarificano esattamente "chi e quando qualcuno deve fare cose". Attenzione, chiarificare significa "rendere il più semplice possibile da intuire dalle regole o dal regolamento". Credo di essere un giocatore da spirito del gioco desunto dalle regole così come pensate (rules as intended), cosa che è un po' ossimorica e che sicuramente risulta un pugno nell'occhio, ma che è spiegabile: se mi si presentano le regole indicando chi debba fare cosa e perché in quel modo, sono più che disposto se non apertissimo a modificare regolamenti, applicare house rules, costruire nuovi contenuti di gioco, eccetera. Perché, in un paradosso simile alla stormwind fallacy, lo spirito del gioco non scende dal cielo, ma può essere appreso tramite il modo con cui il gioco è presentato e se il suo tema è ben spiegato - perché dubito che il designer di un gioco possa fare tour a casa di ogni persona che ha comprato il suo gioco in giro per il pianeta. È semplicemente poco economico. Dedicherò a questo argomento un altro post.
Però esistono anche giocatori procedurali, cioè persone che si trovano più a loro agio imparando semplicemente le regole, spesso se contengono solo o perlopiù procedure, e apparentemente deducendo lo spirito o tema del gioco dal contesto di gioco stesso mentre lo si gioca e da altri che hanno giocato a quel gioco, confrontando le esperienze. In realtà sono convinto che dietro a questi giocatori vi sia semplicemente una maggiore predisposizione a intuire il tema che sottendono le regole, benché non abbia conferme o prove da potervi mostrare. Però possiamo semplicemente affermare che un giocatore procedurale intuisce meglio di uno processuale le interazioni tra le meccaniche e il loro significato, vale a dire intuiscono la parte di gioco che potremmo definire connotativa (che è una generalizzazione del significato associativo): intuiscono subito le interazioni e le strategie che sottostanno al gioco, generando anche una serie di sovrasistemi che migliorano la performance del giocatore e, nel caso solo del gdr, del personaggio.
L'apparente contrasto tra me e i due giochi e tra queste due tipologie di giocatori viene dunque ad appianarsi ad una singola problematica connessa soprattutto al rapporto tra il tema/spirito del gioco e il sistema: infatti, è possibile che sia giocatori procedurali che processuali adorino un gioco per le strategie che esso sottende a discapito del tipo di meccaniche che utilizza. Per esempio, Musha Shugyo è in alcuni ambienti un po' ostracizzato per via della sua ibridazione con i giochi da tavolo, ma altri lo adorano alla follia per la sua semplicità e per cosa deriva da essa: vale a dire che lo apprezzano per cosa ci puoi costruire sopra (seguendo il tema, ovvero i picchiaduro, che è ben definito e presentato dal gioco) a partire da ciò che presenta (cioè un regolamento di circa 30 pagine).
Ed è qui che vorrei introdurre un argomento, un concetto quasi, che mi terrà occupato anche per i prossimi mesi del 2018 e che già Ivan, forte di un dialogo che abbiamo sull'argomento, ha per voi anticipato nel post su Trollbabe: parlo del gameplay emergente.
Molti di voi avranno già sentito parlare di fiction emergente (emergent narrative), vale a dire una narrazione che viene evocata dal gioco e non è pregressa alla sessione o alle sessioni: è ciò che risulta dall'interazione tra personaggi e giocatori (incluso narratore) e che spesso porta un personaggio non giocante a diventare più interessante facendo muovere ciò che il master aveva pensato di introdurre in gioco, anche in quei gdr che non hanno una narrazione condivisa.
Il gameplay emergente è un concetto che ho appreso dal gioco degli Scacchi (e presente anche in giochi simili, come Onitama) e rappresenta, parimenti alla fiction emergente, l'emergere appunto di un modo di giocare e di una interazione tra le regole che non era prevista in prima istanza e/o che costruisce qualcosa di più complesso ed intrinseco con il gioco. In questo senso, il gameplay emergente è anche quell'insieme di profondità e complessità che si crea spesso a partire da poche regole esattamente come avviene in giochi come scacchi, dove ad un dato insieme di regole abbastanza semplici da apprendere (vale a dire come si muovono i pezzi sulla scacchiera) corrispondono infinite combinazioni ma, soprattutto numerosi processi e procedure di gioco costruite dai giocatori stessi come le aperture o le chiusure.
Per me Archipelago ed LSeGa rappresentano proprio questo: un insieme di regole ben definite che, tuttavia, introducendo uno solo procedure (Archipelago) e l'altro un insieme di possibili processi di gioco (LSeGA), permettono tuttavia la costruzione di un modo di giocare, un gameplay, che emerge dal gioco. E proprio il fascino derivato dall'esplorazione delle varie interazioni dinamiche che avvengono tra le regole durante la partita ha rappresentato il plauso dei giocatori durante la sessione condotta al GDR al Buio.
L'interesse deriva dunque dalla ricerca di una exploitation (parola per me introducibile in italiano) di quelle che sono le potenzialità di un sistema, sia da un punto di vista di procedure (ovvero cosa devo attuare per giocare e in che ordine), sia dal punto di vista del processo (ovvero il chi deve attuare e perché una data regola). Anzi è proprio lo scontro tra procedure e processi che a mio parere permette di generare sulle regole il gameplay che ci appassiona ad un gioco, il costante condividere impressioni e idee su come possiamo giocare un dato gioco all'interno delle sue regole.
Cultura e gioco - e meme interessanti.
Ovviamente, avendo una scarsissima capacità di giocare a scacchi, è dimostrato che io in quanto giocatore processuale non sono un buon analizzatore e interpretatore di gameplay emergente: già Edoardo, che immagino sia un giocatore di tipo procedurale, ha semplicemente letto il regolamento e dedotto una o due dinamiche che erano effettivamente emerse nella mia sessione dall'incastro tra personaggi, frasi rituali e carte risoluzione. Sebbene sia ovvio che la causa possa essere una maggiore chiarezza di pensiero e una maggiore attenzione da parte di Edoardo al regolamento, immagino che ci sia anche un altro piccolo tassello da introdurre.
Questo tassello è l'interpretazione dei giochi come forme di espressioni culturale, entro i quali è possibile intuire una certa metodologia di pensiero, se volete fare un inside joke potremmo dire un pensiero strategico emergente e connesso (non opposto) ad un bagaglio culturale.
Immagino che, perché sono italiano o sono un umanista, il mio bagaglio culturale sia legato al processo perché la mia mente ragiona maggiormente sul chi e perché compie qualcosa. Lo riconosco anche come scrittore e giocatore (quelle poche volte che non faccio il master): la mia capacità strategica è derivata dal riflettere sul perché il mio personaggio dovrebbe eseguire una data azione oppure sul chi potrebbe risolvere la situazione. Immagino che invece un giocatore con un bagaglio culturale differente, forse scandinavo o informatico/ingegneristico, sia più propenso ad attuare un pensiero che sia incentrato su ordine e contenuto delle regole da attuare perché già proiettato alla loro messa in opera e poco interessato a chi (o già sicuro di chi) le debba mettere in pratica.
È chiaro che il bagaglio culturale di un autore influenzi il modo di presentare un gioco, ma su questo ultimo punto mi riservo di dire di più una volta approfondito l'argomento. Al contempo, sono sicuro che il motivo per cui personalmente preferisco LSeGA rispetto ad Archipelago abbia avuto modo di permettermi di arrivare a capire che entrambi le tipologie di giocatori presentati possono essere interessati, ognuno a loro modo, alle dinamiche che emergono da un gioco premiandolo per una semplicità di regole a fronte di una profondità di gameplay.
[1] Intendo dunque freeform nel senso di un gioco di narrazione che scardina le strutture tradizionali e anche quelle narrative classiche, e non in senso di freeform nordic o UK - l'unico post che conosco e che posso linkarvi è questo di Leaving Mundania. Diciamo che si sente la necessità forte di avere un bel lessico comune, perché il mio intento non è offendere nessuno, ma se dovessi portare avanti un blog come questo senza ledere nessuno solo perché mancano lessici ben definiti avrei le stesse probabilità di pubblicare post quanto quelle di vincere ad una slot machine. Forse.
Raduno qui alcuni titoli e link che mi sono stati utili in formato non accademico Titolo, Autore.