Bentornati a seguire le nostre storie con quella che, per quest’anno, è la prima anteprima di un autore italiano per Lucca Comics & Games – con un po’ di fortuna, non sarà l’ultima. Ma prima di parlarvi di Kaiser 1451 e della sue poco confortevoli domande voglio affrontare quella che, sono sicuro, si sta chiedendo ognuno dei miei lettori. Perché è Edoardo, la cui sordida relazione carnale con l’autore è stata rivelata proprio qui, durante la Recensione di Be-Movie su Storie di Ruolo, a parlare di questo gioco? Spero che vorrete seguirmi fino alla fine di questo articolo, per avere una risposta.
1451: la nascita dell’Impero
Kaiser 1451 sarà pubblicato in volume doppio con Farheneit 1451, gioco da cui eredita filosofia e ispirazione per le meccaniche e che ha visto la luce nella fucina del Game Chef, Pummarola Ediscion 2018. Non leggo Farheneit dalla sua versione Game Chef, dove si proponeva come un’esperienza ludica in solitario dove un monaco doveva decidere quali libri salvare da una biblioteca in fiamme, ma ne ho un ricordo tutto sommato positivo.
Ho anche un vivido ricordo di Helios, in una delle sue prime performance da Vate, che spiegava come fosse un gioco del cazzo dal momento che la tematica potrebbe essere stata interessante per circa una dozzina persone. Non condivido la sua valutazione, ma potrebbe tranquillamente essere per la mia appartenenza a quella dozzina: pertanto concedetemi con il beneficio del dubbio.
E’ stato con la mente colma di questi ricordi che ho appreso della nascita di Kaiser 1451, un gioco sulla guerra e su cosa ti motiva a farla. Chiedo al lettore uno sforzo di immedesimazione per calarvi nel mio stato d’animo di quel momento: l’abbandono di un tema così intimo come l’amore per la cultura e la storia in favore di elementi mainstream come la guerra ed il medioevo non poteva che farmi targare l’operazione come marchetta senzacuore.
Sono passati mesi in cui, affranto non ho degnato Helios altro che di chat visualizzate e non risposte. Infine, complice dei dettagli sul gioco che piano piano cominciavano a comparire sulla pagina Facebook dedicata, mi sono convinto ad accettare di provare il gioco in anteprima per, si spera, sfatare le mie convinzioni.
Passo Uno: Paura
Mi sono trovato con Emanuele e Marco alla Taverna del Gentilorco a Pavia con poco più del mio tablet e qualche matita. Il gioco prevedeva degli handout – che ho stampato – ed un mazzo di carte italiane che ho trovato praticamente impossibile reperire. In compenso, ho potuto scegliere quale mazzo della mia vasta collezione di carte francesi da prestigiatore avrei utilizzato tramite la tabella di conversione all’inizio del manuale. Sperando che le carte non fossero al centro di qualche sistema di risoluzione di conflitti estremamente pop, mi sono chiesto: “Io ci credo in questo gioco?”. E la risposta è stata sì.
Passo Due: Rabbia
La prima parte del gioco richiede di creare il nostro Kaiser e la nostra Guerra potendo andare a scegliere – o a sorteggiare tramite le carte, opzione che abbiamo sempre prediletto ove possibile – una serie di attributi da altrettante tabelle.
Con mia somma sorpresa, ne Helios ne Vate compaiono come suggerimenti per la scelta del nome del Kaiser. L’ennesima mossa per accomodare il pubblico mainstream? Un taglio di un editor più scrupoloso? O forse solo la volontà di suggerire una certa coerenza storica.
Ciononostante, il manuale presenta un box su come affrontare, appunto, la coerenza con il periodo storico. E’ stato molto utile nell’allineare le premesse al tavolo ed anche il momento giusto nel quale ammettere candidamente che sono una capra riguardo la geografia della penisola italia – dove la nostra guerra aveva luogo, e pertanto avrei cercato di sopperire usando Google Maps.
Una riflessione più ragionata sul periodo storico scelto è sicuramente d’uopo. Posto che il gioco non vuole essere storicamente accurato, il 1451 è medioevo soltanto formalmente. Da lì a poco infatti le Americhe saranno scoperte con una spedizione finanziata da uno Stato Sovrano, segno che le idee progressiste che avrebbero decretato la fine formale del Medioevo erano probabilmente già circolanti. Ne consegue che i Personaggi della vicenda non saranno necessariamente uomini medioevali e timorati di Dio, ma potrebbero avere benissimo una mentalità più moderna e simile alla nostra.
Tutto questo è abbastanza ancillare all’esperienza di gioco e non so neanche se l’autore abbia percorso un’elucubrazione simile, ma nella nostra partita si è rivelato un buon rinforzo tematico a quello che il gioco voleva proporre.
Passo Tre: Sospetto
Prima di creare i Personaggi abbiamo scelto il Passo, cioè il numero di giri di scene che avremmo giocato più quello finale. Ogni passo ha un sentimento ad esso associato che viene scelto o estratto casualmente e che diventa sempre più negativo mano a mano che l’esercito raggiunge il punto dello scontro finale. Abbiamo scelto di giocare Due Passi, ovvero tre scene a testa contando quella dello scontro finale. Se ne possono giocare fino a quattro per un totale di 25 scene in 5 giocatori – mole che probabilmente potrebbe impegnare un gruppo medio per un intero weekend.
Abbiamo, infine, creato i nostri Personaggi con gli stessi criteri, ovvero scegliendo una manciata di tratti da una serie di liste di suggerimenti. Nessuno di noi, al termine dell’operazione, sentiva proprio questo Personaggio, ne, per quello che vale, aveva idea di chi fosse.
Mi sono ripetuto che, dopo tutto, in uno Storygame il Personaggio è solo uno strumento per esperire la storia.
Poi mi sono chiesto “Io ci credo in questo gioco?”. E la risposta è stata sì.
Passo Quattro: Speranza
Le scene si impostano a turno, ognuna incentrata su una Domanda del Turno che non è altro che una scusa per rompere il ghiaccio e dare un vago indirizzo alla scena. La Domanda del Turno va estratta da una tabella pescando una carta, che decide anche il Tempo Atmosferico.
Da lì il giocatore di turno gioca il suo Personaggio e gli altri giocatori muovono le Comparse cercando di portare il giocatore di turno a rispondere alla domanda.
A livello di gioco libero l’autorità della scena è tutta in mano al giocatore di turno: infatti solo lui può introdurre le Comparse (che poi si segnano su uno degli Handout, rendendo più facile reinserirle nelle scene successive e dando coesione alla narrazione), e nel farlo è obbligato a dichiarare come lo aiuteranno a rispondere alla domanda.
Ciononostante gli altri giocatori possono intervenire con Frasi Rituali, le quali comprendono “No, e..” che viene usata per innescare un Conflitto nella scena. Nella nostra partita questa meccanica, che ci crediate o no, è stata abbastanza accessoria e vi abbiamo ricorso solo un paio di volte quando era necessario alzare la tensione: in ogni caso, viene risolto alla carta più alta e può generare una Cicatrice.
Alla fine di ogni scena il giocatore di turno deve chiedersi “Credo a questa Guerra?”. Questa è la domanda fondamentale di tutto il gioco, tanto che gli altri giocatori hanno il dovere di ricordarlo al giocatore di turno: nella nostra partita nessuno si è mai dimenticato, ma sentirselo chiedere da qualcun’altro aggiunge uno scalino di tensione in più. (Qualcuno ad esempio avrebbe dovuto chiedermelo nel Passo Due, ndr).
Questa domanda è sempre stata molto carica di significato in relazione a quanto successo in scena, in gran parte per la direzione data dalla Domanda del Turno. La risposta positiva non porta conseguenze meccaniche, mentre una risposta negativa fa aumentare lo Sconforto che, assieme alle Cicatrici, sarà determinante per l’Epilogo.
Per chi se lo stesse chiedendo: Sì, ci credo ancora in questo gioco.
Scontro Finale
Lo scontro finale è in realtà un turno come un altro, con una variazione: il luogo è fisso, ed è la destinazione del viaggio dell’esercito; la Domanda del Turno invece può essere variata.
Il nostro turno di scontro finale non è stato particolarmente epico e spumeggiante, ma in compenso poterci scegliere la domanda del turno ci ha permesso di andare verso una conclusione che ci soddisfacesse ognuno personalmente – qui, probabilmente, il fatto che le nostre premesse fossero abbastanza allineate è stato risolutivo.
Ad essere onesti il gioco è mal equipaggiato per affrontare una descrizione dettagliata e colpo-su-colpo di quella che potrebbe essere un’epica battaglia del tardo medioevo: non solo mancano dadi o altri supporti meccanici, ma il manuale è fallace nel dare contesto su questo aspetto storico. Questa mancanza è però funzionale a costringere i giocatori a incentrare anche lo scontro finale nella dimensione intima del suo personaggio.
Epilogo: Io ci credo, in Kaiser 1451?
Nell’epilogo del gioco il cerchio si chiude un con finale di quattro tipi, a seconda di quante Cicatrici e Sconforto abbiate accumulato. E si chiude anche questa recensione, che più che narrazione è stata una cronistoria del nostro gioco giocato.
A valle delle mie esperienze, il paragone più azzeccato che ho con Kaiser 1451 sia una ipotetica versione director’s cut di Platoon, dove tutte le scene di battaglia sono state tagliate e rimangono solo quelle intime dove gli orrori della guerra sono descritte in quello che causano più indirettamente alle persone.
Va da se che un film del genere vincerebbe una Palma d’Oro e poi non se lo cagherebbe nessuno. Per cui, caro Helios, il tuo tentativo di infilare un gioco introspettivo dentro un involucro mainstream è, almeno con me, fallito.
Oel ngati kameie, Vate.
Grazie per aver letto fino alla fine, spero che il taglio un po’ “diverso dal solito” vi sia piaciuto
(mi fate sapere cosa preferite nei commenti?)
Alla Prossima,
Edoardo