Se vi è mai capitato di chiedervi come si crea un gioco di ruolo basato su un altro sistema, dovreste scalpitare per trovare una copia di Archipelago III (di Matthijs Holter) e de La Spada e Gli Amori, hack creata da Antonio Amato (con delle stanze poetiche scritte dal nostro Ivan Lanìa!) che mi ha lasciato notevole prurito alle mani giocandola giovedì al GDR al Buio – tra la soddisfazione mia e dei giocatori. Era il mio primo gioco masterless (anche se preferisco dire masterfull) che portavo al GDR al Buio, nel senso che avevo già giocato ad altri giochi senza la figura di un master tradizionale – come The Skeletons – ma era la prima volta che ne portavo uno senza l’aiuto diretto e in loco di qualcun’altro che già conoscesse quel gioco.
Io, neofita
Al GDR al Buio di inizio Aprile pensavo di portare Archipelago III, che ho preso a Play 2018. Ma leggendo il manualetto di 34 pagine tradotto dalla Mammut RPG mi sono accorto che c’era qualcosa che non mi quadrava. Ci sono tutti i giusti paragrafi di un gioco di narrazione ben organizzati, dall’impostazione del gioco fino alla presentazione delle procedure da compiere durante il proprio turno. Eppure leggendo l’hack La Spada e Gli Amori mi sono scontrato col fatto che mi sembrava più diretto e semplice sia da comprendere nel modo da presentarlo ai giocatori, sia nel modo di giocarlo vero e proprio.
Riflettendo dopo la sessione sul gioco, ho potuto constatare alcuni elementi che mi hanno permesso di apprezzare La Spada e Gli Amori (da ora LSeGA) forse ancora di più rispetto al suo “genitore” Archipelago III – e che hanno anche a che fare con il modo con cui il gioco viene presentato. In questo discorso, tra l’altro, l’assenza del master come vedremo c’entra poco, sia perché se fosse quello il mio problema allora non mi piacerebbe neanche LSeGA. Era qualcosa di diverso, qualcosa che derivava da un lato dal fatto che non avevo mai dovuto leggere un manuale di un gioco di questo tipo per giocarlo assieme a persone che non sapevano nulla del gioco; dall’altro da una cosa che non mi capitava da tempo. Infatti, rispetto ad Archipelago e LSeGA in quanto masterless… ero da considerare un vero e proprio neofita!
Dunque, ragionando come tale, come persona che non aveva ancora carpito alcune dinamiche di questo tipo di gioco, è stato interessante doversi creare nuovi meccanismi mentali e ragionamenti che in un tradizionale non compaiono di solito (mi mancava, cioè, il gameplay emergente di tali giochi) – così come far fronte alla presentazione e alla gestione delle regole, giacché ero al tavolo l’unico che le sapesse un poco (per quanto tutti potevano prendere il manualetto in mano quando ne sentivano necessità). Ammetto, senza infamia, di aver compiuto qualche errore come potrete leggere, ma tutto sommato credo di essermela cavata con grande soddisfazione dei giocatori!
La mia prima sessione neofita masterless
Archipelago e LSeGA sono dei masterless un po’ particolari e forse per me è improprio usare questo termine, come già detto. Infatti, ogni turno il giocatore attivo interpreta e muove il suo personaggio mentre gli altri ricoprono il ruolo che nei gdr classici è dei Master, suddividendosi autorità sulla storia: è una sorta di master diffuso tra i giocatori, che interagiscono con il resto del tavolo addossandosi la responsabilità di controllare che un certo Tema venga introdotto correttamente e variando la direzione della storia con alcune Frasi Rituali. La cosa importante del gioco, ed il motivo per cui l’ho apprezzato molto fin da subito, è che nel proprio turno il giocatore attivo interpreta il proprio personaggio: io non sono infatti un fan sfegatato dei giochi in cui l’autorità narrativa su un personaggio è condivisa, perché ottengo più soddisfazione quando riesco a calarmi nei panni di un personaggio.
Ogni giocatore crea il proprio personaggio sulla base dell’ambientazione, anche potendo rinarrare le vicende di personaggi famosi del setting. Tuttavia, se in Archipelago questo viene gestito semplicemente discutendo tra i giocatori dei personaggi, LSeGA presenta una serie di Archetipi della tradizione dell’epica cavalleresca con annesse domande a cui i giocatori rispondono per stabilire alcuni elementi cardine anche della storia. È vero che questa operazione viene fatta sempre insieme a tutti i giocatori, ma fin da qui ho avuto l’impressione che (come tra l’altro afferma Archipelago stesso) si sia in controllo delle azioni, pensieri e dialoghi del personaggio che crei senza che altri possano interferire (e infatti la Frase Rituale Prova in un altro modo non può essere diretta ad un giocatore attivo, perché lui sa come meglio è il suo personaggio).
Dunque, all’inizio della sessione abbiamo scelto tutti un Archetipo tra quelli proposti dal gioco e costruito il nostro personaggio sulla serie di domande, mentre tra l’altro creavamo i luoghi della Mappa di Gioco. La mappa è un elemento centrale di tutte e partite di Archipelago e non può mai mancare: serve sia per orientare i giocatori e ricordargli i movimenti dei personaggi, sia per far sì che i personaggi siano calati entro il mondo, perché ognuno di noi doveva creare due nuovi luoghi legati al suo personaggio. Certo, avere una Mappa già pronta è servito ad accelerare il gioco: LSeGA propone infatti una porzione della Gran Bretagna, la parte sud, con già due luoghi segnati, ovvero Camelot e Avalon. A questi abbiamo aggiunto i nostri due luoghi, inventati rispettivamente da ogni giocatore.
Le Frasi Rituali
Dopo aver spiegato il gioco in soldoni, abbiamo risposto alle domande dell’Archetipo e ho consegnato le carte di riassunto delle Frasi Rituali: questa componente di gioco è essenziale per giocare e a fine sessione ci siamo accorti (non solo io, proprio tutti quanti) che forse avremmo dovuto usarle più spesso e in modo più stringente. Infatti, ogni Frase Rituale è un modo con cui un giocatore indica agli altri un suo interesse sulla trama oppure qualcosa che serve inserire: ad esempio la frase Aiuto permette di chiedere spunti per proseguire agli altri giocatori, mentre Più duro indica che il giocatore che sta narrando deve essere più audace.
La Frase Rituale più importante è Non sarà così semplice, che obbliga il giocatore di turno ad estrarre una Carta Risoluzione che ha esiti come Si, ma… o No, e… e permette di orientare la narrazione; la Carta deve essere risolta da un altro giocatore rispetto a quello che deve pescarla, regola che forse un paio di volte ci siamo dimenticati di osservare, anche se tutte le estrazioni portavano ad un dialogo aperto tra giocatori e forse solo una volta è successo che un giocatore risolvesse la propria Carta Risoluzione.
La Frase Non Sarà così semplice può essere detta una volta a turno e ci siamo accorti che nella maggioranza dei casi, dopo aver risolto la carta, il giocatore risultava essere soddisfatto di quanto vissuto nella scena e passava il turno: in poche parole per noi pescare la Carta Risoluzione è diventato in poco tempo un modo per indicare che il grosso della scena era fatto e si poteva passare oltre. Non sono sicuro che il gioco intenda la Frase Rituale in questo modo, ma ci siamo trovati molto comodi nel giocare così: le scene diventavano focalizzate su un singolo elemento ed eventuali dettagli marginali potevano essere ripresi successivamente.
La Carta Fato
Abbiamo pescato solo una volta una Carta Fato, che dovrebbe fornire un aiuto narrativo, ma alcune tendono forse a complicare le cose troppo: risulta dunque azzeccato il consiglio, sia di Archipelago che di LSeGA, di pescare la Carta Fato solo quando siete davvero a corto di idee, io aggiungerei a corto di idee per la scena. Le Carte Fato possono essere infatti pescate una volta per sessione per personaggio e, come le Carte Risoluzione, sono interpretate da un altro giocatore: tuttavia, il loro contenuto mal si adatta, a mio parere, ad essere pescata a metà scena o dopo una Carta Risoluzione, in quanto forniscono idee così grosse che sono perfette per iniziare nuove scene.
A margine voglio precisare che noi ci eravamo dimenticati che la Carta Fato viene letta da un giocatore diverso da chi la richiede. Tuttavia, anche in questo caso, la regola l’abbiamo eseguita lo stesso inconsciamente, perché il giocatore che aveva pescato la Carta Fato, non sapendo come risolverla, si è rivolto ad un altro giocatore del gruppo, il quale ha anche inserito il Tema su cui aveva Autorità. Infatti, credo che l’elemento fondamentale della Carta Fato sia, oltre all’inconsapevolezza del risultato da parte di chi la richiede, anche l’introduzione di un Tema su cui non si ha Autorità e che, dunque, impedisce di deviare o variare i contenuti proposti come alterazione della trama.
Fine della Sessione
Il regolamento dice che la sessione può essere definita conclusa quando tutti i personaggi raggiungono il Punto del Destino, una frase decisa da ogni giocatore che rappresenta un evento che si avvererà sicuramente e verso cui tutti devono tendere. Di solito vengono creati Punti del Destino da ogni giocatore per ogni altro giocatore, quindi giocando in quattro avremmo dovuto creare tre Punti a testa: per velocizzare il gioco, abbiamo preferito crearne uno solo (visto anche l’esiguità del tempo, solo due ore e mezza) per ogni personaggio tutti assieme. In questo modo è risultato semplice anche ricordarli: non avevamo bisogno di metterli su un foglio visibile a tutti (come impone il gioco); avendo creato questi punti assieme, tutti ricordavano quasi sempre quelli degli altri. Considerate che, pur avendolo letto, non ricordavo quella sera del consiglio di Archipelago scritto da Mark Causey che dice proprio questo – me ne ha rammentato l’esistenza il buon Daniele Di Rubbo appena dopo l’uscita di questo post, grazie!
La Sessione è poi finita più o meno a metà di quanto proposto dal gioco: i personaggi si sono incontrati tra di loro (non necessario ai fini del gioco) e alcuni sono giunti al Punto del Destino, esattamente due giocatori su quattro. C’è stato un momento in cui abbiamo comunque concordato che una svolta narrativa retroattiva, visto che interessava a tutti e che poteva far giungere al Punto del Destino uno di noi: abbiamo cioè decretato che la scena precedente, che vedeva protagonista uno dei personaggi uscito da Camelot, riguardava invece un clone o gemello magico del personaggio (invocando il tema Fantastico) che doveva farsi inseguire dai nemici per proteggere il vero personaggio (invocando il tema Amore, per la protezione, e Cavalleria). Nessuno si è dimostrato contrario e, avendo imposto la svolta facendo leva su tre Temi del gioco, credo sia un elemento accettabile narrativamente e che, anzi, conferma che sia possibile introdurre colpi di scena in un gioco a narrazione condivisa come Archipelago.
Fine prima parte
E con questo è tutto! Mi rendo conto che questo post ha assunto una forma che non pensavo potesse avere. Partendo da una mera riproposizione della sessione credo infatti di aver svelato qualche elemento che, giustamente o erroneamente, è emerso dalle regole giocando. Parlerò ampiamente di questo ed altri temi in un secondo post sulla mia prima sessione masterless, dedicata al confronto tra Archipelago ed LSeGA e al motivo per cui il secondo, personalmente, lo trovo migliore del primo nella presentazione delle regole.
Alla prossima,
Daniele