Ricostruzioni.
Il Kraken ha lasciato dietro di sé i segni della distruzione divina, del giudizio delle potenze ultraterrene. Due mesi hanno portato Sartòri a rialzare la testa, almeno laddove la gente ancora possiede qualcosa. Mentre le case dei ricchi ritornano a splendere in breve tempo, addirittura trasformate in piccole fortezze in pietra, le case dei poveri sono ancora erette da legna, cementizio e malta mescolata a ghiaia.
Nel piccolo quartiere di Sartòri che i nostri eroi hanno difeso, un insieme di case e un migliaio di persone chiamato Sottobroletto, un ospitale-locanda è nato come centro di aggregazione per chiunque voglia aiutare la gente a ricostruire. Il paladino Anton ha sparso un po’ il verbo di Balder tra la gente che ha aiutato a guarire; intanto, Erdan il ladro e Silas il mago hanno dialogato dell’Etheriano. Insieme al ranger Faeriel, hanno aiutato la ricostruzione fino a perdersi un po’ di vista.
È Boedrio, il mese del raccolto. I contadini tornano con fatica alla normalità, cercando di recuperare quanto il Kraken non ha distrutto dei campi. L’ospitale è ormai più locanda che resto; la dirige-possiede un tipo che si fa chiamare Luis, un tizio sulla cinquantina. Silas, Erdan e Anton hanno costruito delle baracche su un lato di questo edificio e passano le giornate a girovagare per la città, spostando un ammasso di macerie dopo l’altro.
Il diciassette del mese accade però qualcosa di strano. Una guardia cittadina, vestita in armatura da parata e fregiata coi simboli del consiglio del Re, entra nella locanda e scosta Anton dal suo punto di propaganda religiosa. «Udite, udite! Il nuovo Re promulga attraverso il suo consiglio una legge per assoldare valorosi uomini e donne per rimpinguire le fila dell’amministrazione e dell’esercito di Sartòri!». La gente dell’ospitale si raggruppa attorno all’uomo e inizia ad ascoltare.
«Promette, altrettanto, un pagamento iniziale e uno finale. Inoltre, concede il possesso e l’esenzione da ogni tassa regale per tutti i nuovi esploratori e collaboratori su qualsiasi tesoro di cui entreranno in possesso durante l’esercizio della funzione a loro assegnata! Lascerò queste pergamene al locandiere. Chiunque sia interessato ne porti una all’ufficio regale più vicino e si faccia vidimare ufficialmente l’assunzione tra le fila della coorte esplorativa».
Appoggiate le pergamene sul bancone, già una decina sparirono di lì. Sia Anton che Silas, sentito il tutto dalla sua ambientazione muro a muro con la locanda, si fiondano per conoscere il contenuto delle pergamene e fare qualche domanda alla guardia cittadina.
Ricostruzioni… patrimoniali.
Erdan viaggia tranquillamente tra le vie di Sartòri. I profumi cittadini lo inebriano: pane fresco, marmellate di frutti esotici, fiori rarissimi che tornano sulle bancarelle dei mercanti. Certo, bancarelle un po’ ammaccate ma… insomma, inebriante il fatto di tornare a calcare le strada coi propri stivaletti! Ecco una delle piazze della città, quella prima del ponte sul fiume Tammakh: cos’è quel crocchio di gente? Un banditore. «Udite! Udite! Ecco, il Re Ergadione Primo, nel tentativo di restaurare la città, propone: assunzioni immediate nella coorte esplorativa e nell’amministrazione regale! Si promette: anticipo di due monete d’oro del conio cittadino; pagamento finale di quattro monete d’oro per ogni servigio completato. In aggiunta, possibilità di mantenere ogni tesoro incontrato sul tragitto e di riportarlo in città senza pagamento delle tasse doganali di introduzione ai mercati cittadini». Eccoli, i poveri e coloro che sono rimasti senza casa o senza famiglia (o senza entrambe) si gettano verso il banditore per una pergamena con le istruzioni.
Erdan ne prende una e la legge: il Re Ergadione Primo richiede la sua presenza presso un ufficio regale per la mansione di…
Raccatta-tasse. Uhm. Cugini di borseggi, insomma… non proprio un cambio di carriera.
Sapendo dell’ufficio regale nel quartiere dei ricconi, perché non farci una capatina? Dall’altra parte del ponte c’è un’altra piazza, stessa storia. Stavolta è un cantastorie dai modi raffinati che, dopo le formalità fatte di rispettabili ed egregissimi, inizia una pantomima le cui tematiche sono “riguadagnare potere economico” e “riportare Sartòri ai massimi” e bla bla bla bla…
Piuttosto, un certo Filippus e un certo Victorius complottano: «bah, le solite bagianate».
Un borsino bello pesante pende dal fianco di Filippus. Erdan s’intromette.
«Eh già, concordo con voi gentiluomini».
«Beh, è il minimo, non trova? Insomma, se il nuovo Re pensa di poterci comprare promettendo futuri interessi, tra l’altro per niente sicuri, sul futuro rendiconto cittadino…».
«Non dovresti fidarti degli sconosciuti, carissimo» dice Victorius.
«Vecchiardo! Non vedi che questo giovine è di modi sinceri? Lei…».
«Mi perdoni! Mi chiamo Noxian». Erdan si avvicina e sorride.
«Una volta aveva una ragazza con quel nome, pensavo fosse soltanto femminile. Quante cose che s’imparano in una semplice giornata di sole. Piacere» e fa per stringere la mano al ladro.
Erdan coglie il momento, come di solito. Si avvicina, allunga la mano destra, col corpo si sposta coprendo la sinistra e un semplice colpo della spalla, unito alla stretta vigorosa della mano, copre il rumore della saccoccia che si stacca dalla cintura di Filippus.
Il ladro ringrazia: «sarà ora che io vada! Devo sbrigare le mie faccende».
Gli ignari signorotti allungano le mani per trattenerlo, ma lui sfugge la loro presa.
«Caro Noxian! Alla prossima! Venga a trovarmi alla locanda che posseggo, le offro un vino!».
«A mai più rivederci» dice Victorius.
Il tocco degli dèi.
Un urlo tremendo distrae Silas e Anton dalla conversazione con la guardia regale che ha portato le pergamente. Silas avanza con circospezione verso la zona adibita ad ospitale, separata da un semplice lenzuolo teso. Lo solleva e vede un uomo seduto che grida come se fosse in preda ad un incubo tremendo. Occhi chiusi, il selvaggio è grande e grosso; appena toccato e tolto il suo cappuccio, l’uomo cade in un sonno profondo. Rrrrrgheghghgg. Più o meno il rumore di un barbaro che russa.
Rodgar si risveglia appena in tempo per vedere Silas andarsene. Nella confusione che ha in testa, accortosi di essere in una sorta di stanza per le cure assieme ad altri poveretti, Rodgar scambia la figura che se ne sta andando come il suo guaritore.
Arrivato con passi felpati, ma non troppo, alle spalle di Silas, Rodgar estrae lo spadone e glielo punta alla gola. «Chi diavolo sei tu? Dove sono?».
Silas coglie l’occasione per introdurre il malcapitato tra la sua cerchia di seguaci. «Ave a te, buonuomo. Non mi riconosci? Sono Silas, il famosissimo Silas! Conosci la verità dell’Eteriano?».
«La verità dell’eteriano? Intendi Sarilpe, quel bastardo? Parla!».
«Sarilpe? Non conosco nessuno con questo nome».
Il barbaro, abituato a non ceder sguardo contro nessun pari, fissa negli occhi Silas e forse nota una certa onestà; per questo, abbassa la lama. Proprio in quel momento compare Anton, che si era interessato a causa del trambusto. Vedendo che Rodgar sta rinfoderando l’arma, poggiando la mano sull’elsa dice: «qualche problema?».
«E tu chi sei?» chiede il barbaro spostando la punta dello spadone verso il nuovo arrivato.
«Mi presento, sono Anton e venero la bellezza ultraterrena di Balder. Con questa spada ho ucciso numerosi suoi infedeli e intendo usarla su di te se non lasci stare il mio collega».
Rodgar in quel momento forse capisce qualcosa di diverso: probabilmente collega Anton alla figura di un valoroso guerriero, credendo alle storie sulla sua spada e immaginandosi gli infedeli come se fossero nemici di un altro clan; o forse vede Anton come eroe di un clan celtico che si fregia di uccisioni di numerosi nemici. Poco importa: la presentazione basta a far rinfoderare lo spadone allo straniero, che coglie l’occasione per presentarsi a sua volta.
«Mi chiamo Rodgar Fuocotempesta e provengo dal nord di questa terra. Ero in cerca di un modo per aiutare le mie genti, tartassate dagli Urloneri – maledetti orchi! – quando qualcosa mi ha costretto ad uno strano sogno di veglia. E un barbaro mingherlino, con la sua mano ha impresso questo su di me parlandomi di Sarilpe!». Nel dirlo alza il mantello e mostra un tatuaggio, composto da uno scudo e una lancia. Anton subito si ritrova ad osservare quella magnifica traccia divina e anche Silas sa che quello è un modo con cui l’eterità cela la sua presenza ai bifolchi, mascherandosi da dèi.
«Sai, Sarilpe era il nome di un valoroso guerriero molto temuto e rispettato; visse durante o appena dopo le Guerre di Magia–».
Silas non fa tempo a finire la frase che si trova le braccia di Rodgar a sollevarlo da terra. La presa alla collottola è forte, troppo per poterla spezzare con la forza.
«Dimmi ciò che sai! Devo ucciderlo, quel guerriero! Ne va del mio onore».
«Ne so tanto quanto tu sai dell’eteriano, possente guerriero» risponde Silas, «nulla di più, nulla di meno. A me no che tu non sappia cose che io non so».
«Ricordo» dice Anton, «che quel simbolo somiglia molto a quello di una divinità; se proprio un toccato dagli dèi, caro Rodgar!».
«Dio o meno, quell’uomo perirà sotto la mia lama!» e dicendolo, abbassa Silas e ringrazia l’eteriano di essere sopravvissuto.