Idee salvachiappe è una rubrica di contenuto esteso dedicata ai master. In questi episodi cerco di esporre alcune mie idee sull’arte del mastering, senza troppe pretese: ho pubblicato un resoconto dei primi episodi e del futuro della rubrica a metà maggio, vi consiglio di recuperarlo. Questo quinto appuntamento riguarda una delle tecniche più difficili che mia siano capitate tra le mani, da un lato perché è difficile da presentare; dall’altro perché è difficile da gestire. Ecco i link agli episodi precedenti:
Bando alle ciance, iniziamo!
Una tecnica pericolosa
Sono un aspirante game designer e c’è una cosa che ho imparato subito e sto cercando di applicare il più possibile: dai l’esempio, non la regola. Non è semplicemente fornire esempi di meccaniche perché spiegano più di mille parole: ho amici che sanno eseguire wording così chiari e precisi da essere più utili di mille esempi e li invidio molto.
Dare l’esempio significa che voi dovete fare le stesse cose che fanno i giocatori considerandoli come se fossero tabulae rasae ad ogni campagna. Se impostate fin da subito una certa gestione del tavolo, essa il 50% delle volte verrà portata avanti – questo ho avuto modo di confermarlo grazie all’esperienza di Gdr al Buio e discutendo con altri amici ruolatori. Insomma, il metodo di gioco diventa una sorta di rituale o di abitudine tra i giocatori. Se ad esempio non si sa una regola e dite: «Gianfranco, cerca la regola e leggila ai compagni», col tempo i giocatori lo faranno senza che gli sia richiesto.
Dare l’esempio è una “tecnica” che io ritengo un’arma a doppio taglio. Per utilizzarla bisogna essere sempre reattivi sulle azioni e descrizioni dei giocatori e bisogna esercitarsi molto perché coinvolge in modo sinergico il metodo di narrazione che utilizzo: questo significa che se sbaglio (come spesso faccio) a dare l’esempio, la narrazione cade.
Dar l’esempio significa: non chiedere interpretazione, interpreta i PNG così come vorresti che i giocatori interpretassero i PG. Questa regola credo di infrangerla ogni volta e mi mordo le labbra quando lo faccio. Spesso la stanchezza mentale e la frustrazione mi portano a parlare dritto in faccia ai giocatori e a chieder loro di agire in modo diverso da quanto fanno, ma mi rendo conto che in quei momenti crolla qualcosa… crolla una sorta di “sogno”, quello di aver controllo del proprio personaggio. A questo si aggiunge la difficoltà di dover interpretare ogni volta PNG differenti e variegati, cercando di comprendere cosa essi farebbero di fronte ad un dato evento. Tuttavia, quelle volte in cui mi riesce di interpretare un PNG dando esempio di cosa vorrei dai giocatori, mi rendo conto di spronarli inconsciamente a ripetere il metodo di interpretazione.
Dunque, questa tecnica non può essere un assioma e, se leggete bene, sopra ho detto che il 50% delle volte dar l’esempio funziona; il restante, invece, cade sotto il peso di abitudini precedenti. In tal caso: dite le cose come stanno. Se vi da fastidio che i giocatori aprano il manuale per leggere le regole, usate l’in game. Se vi da fastidio il metagame, dite che è metagame quell’atto e limitatelo. Essere diretti può funzionare se dar l’esempio non funziona.
Esempi pratici
Dar l’esempio è tuttavia a mio parere un potente alleato se si riesce a farlo accadere in game.
Ammettiamo che Luca, che interpreta uno Stregone Elfo, debba incontrare un PNG Mercante Nano chiamato Guldfing per trattare della merce. Il gruppo di Luca è venuto a sapere da un ex contrabbandiere di nome Lucius, altro PNG, che Guldfing tratta merce magica illegale e Luca che interpreta uno Stregone Elfo dell’Alto Concilio Caotico Buono vuole dargliele di santa ragione… ma lo stregone di Luca non era presente al dialogo con Lucius! Nonostante ciò, Luca entra con nonchalance nel negozio di Guldfing e lo accusa di trafficare merce contro i dettami dell’Alto Concilio. Ora, so come reagisce un master normalmente: “come Luca, tu non potevi saperlo, non c’eri”. Risposta di Luca: “eh ma me l’hanno detto gli altri mentre facevamo riposo”. Gli altri giocatori confermano (magari con un “ma sì dai”) e il master decide di continuare. Io tendo ad evitare questa scappatoia ogni volta che posso, dunque introduco un esempio di errore: mentre lo stregone di Luca accusa il mercante, la guardia cittadina entra nel negozio e dichiara Guldfing prigioniero per altri crimini contro il Concilio della Magia, accuse mosse al mercante… dal personaggio di Luca! Ovviamente, indagando i personaggi verrebbero a sapere di un complotto atto a incastrare lo stregone elfo, ma si eviterebbe di costruire della storia sulla base di un errore di metagaming, bypassando il problema, ma facendolo notare: com’è possibile che il Concilio sappi che lo stregone elfo voleva accusare il mercante di quello stesso crimine? Il master fa metagaming, i giocatori non saranno contenti, ma il complotto creerà una storia quantomeno affascinante e la forzatura del master sarà vista come uno dei tanti ostacoli sulla strada di un eroe. Tale opzione permette di usare il dare esempio direttamente in gioco, ma potrebbe risultare ostico comprendere dove stia l’uso della tecnica.
Dunque, questo secondo esempio può essere di maggiore chiarezza: ammettiamo che i giocatori fanno fatica a digerire una regola, nel senso che non riescono a ricordarsela e si trascinano in discussioni circa il toglierla oppure il modificarla. Di solito da master eliminerei l’oggetto e non lo utilizzerei più, oppure asseconderei i giocatori nel cambiare la regola; ma c’è una terza via.
Se noi master abbiamo ben compreso la regola, possiamo costruire dei PNG che la abusano fino alla nausea, costringendo noi master a trattare con la regola e a spiegarla più volte nel corso di una sessione. Inoltre, se la uso io master, nonostante l’eventuale complessità, sto a tutti gli effetti dando un esempio di gioco: non ignorare una regola solamente perché non è così semplice come le altre, ma approfondisci un attimo la sua comprensione fin dove ti è possibile.
Conclusioni: limiti, difetti e pregi ulteriori
Come con le altre Idee Salvachiappe, anche Dare l’esempio comporta alcuni limiti e difetti. Prima di tutto non sempre è possibile dare l’esempio per svariate ragioni. Da un lato i giocatori potrebbero essere restii a recepire questa metodologia, ma ancora di più è possibile che il master non riesca a trovare occasioni adatte per applicare la tecnica. Ciò che frega spesso noi master su questo punto è la frustrazione di non riuscire a veicolare correttamente ciò che vorremmo dai giocatori per una data campagna, e questo mi porta ad un secondo punto: il master non dovrebbe mai controllare il gruppo di gioco; piuttosto dovrebbe ondeggiare con i giocatori, lasciarsi sospingere da loro su cosa vogliono esplorare e dove vogliono andare i loro personaggi, nel limite della giocabilità – ovvero fintanto che i giocatori non rompono il legame al tavolo per esempio isolandosi con il cellulare oppure insultando altri giocatori. Io a volte riesco a dare esempio anche in questi casi estremi, ma si cade nel personale ed è pericoloso quando il master tenta di controllarti anche fuori dal tavolo di gioco, benché giustificato dagli eventi.
Certo, dar l’esempio permette anche di comprendere e anticipare alcuni comportamenti dei giocatori, perché così come avvicina costoro al master, tale tecnica avvicina anche il master ai giocatori: obbliga a porsi nelle vesti delle altre persone al tavolo che non si ricordano la regola o la storia, che fanno metagame, che agiscono più per guadagno del giocatore che del personaggio e ti permettono di capire come mai i giocatori agiscono in quel modo.
Nel mio piccolo, credo che l’ultimo punto sia una sorta di regola zero non scritta dei giochi di ruolo. Io adoro questi prodotti perché ti permettono di vivere vite alternative e capire “come si sta” nei panni degli altri; allargano il tuo punto di vista, anzi, lo rompono per permetterti di comprendere meglio le posizioni altrui. La narrazione nei giochi di ruolo è ovviamente importante per assicurare che tale immedesimazione si compi, ma a mio parere l’immedesimazione viene un secondo prima della storia.