Ultimamente ho un debole per i giochi di ruolo che sfruttano la fisicità al tavolo, e Dread con la sua torre di Jenga è stato uno dei primi titoli di questo tipo che ho provato. In questo articolo voglio parlarvi del gioco con un angolo ben preciso: Dread è uno dei giochi di ruolo più adatti per introdurre dei giocatori neofiti.
Prima di continuare, un doveroso disclamer: il mio rapporto con questo gioco si avvicina all’amore/odio 🙂
Dread ha dei punti di forza veramente interessanti e dei quali non potrò esimermi di parlare esaustivamente, ma al contempo molti elementi del suo design sono semplicemente invecchiati male e non corrispondono più a quello che mi aspetto in un gioco di ruolo: parlerò anche di questi ultimi e di come il GM possa prestare attenzione per non renderli problematici durante l’esperienza di gioco.
...quando vorrete che i vostri personaggi facciano qualcosa di incerto o difficile, vi chiederò di rimuovere uno o più blocchi dalla torre. State attenti a non farla cadere… ma questo lo sapevate già, vero?
La Torre al centro del tavolo
Partiamo con le cose ovvie: Dread sostituisce una Torre Jenga ai dadi come metodo di risoluzione. Come idea, è il classico “Uovo di Colombo”, e funziona tremendamente bene. Attribuisco questo successo nei giocatori in tre punti essenziali.
L’amarcord che ti fa sentire a casa
Il Jenga è un gioco classico a cui gran parte delle persone hanno giocato almeno una volta, probabilmente durante l’infanzia o l’adolescenza. È un gioco di destrezza per bambini, che solitamente si trova “difficile” in tenera età e si impara a padroneggiare crescendo. Ritrovarselo davanti scatena una sorta di effetto nostalgia assieme ad un certo senso di sicurezza che, nella mia esperienza, è ottimo nel mettere a proprio agio chi si approccia per la prima volta al gioco di ruolo.
Numeri?! No Grazie!
L’intero sistema di risoluzione del gioco non ha componenti matematiche esplicite ed è in generale molto intuitivo. La meccanica di risoluzione di Dread può essere così spiegata: “[…] quando vorrete che i vostri personaggi facciano qualcosa di incerto o difficile, vi chiederò di rimuovere uno o più blocchi dalla torre. State attenti a non farla cadere… ma questo lo sapevate già, vero?”. Non è necessario che il giocatore controlli la sua scheda e compia delle operazioni di calcolo: finché la torre non cade, va tutto bene.
Una torre per le mani.. E gli occhi!
Sono pochi i giochi di ruolo che offrono un vero coinvolgimento fisico e tattile, cioé quello che Calleya chiama Kinestetic Involvment. È un tipo di coinvolgimento solitamente molto presente nei giochi per i più piccoli che finisce per non guastare anche in una situazione del genere.
Forse più importante è come la torre del Jenga influenza la “polarità” del tavolo. Spesso in un gioco di ruolo la fisicità degli strumenti del gioco sono un rinforzo riguardo le autorità al suo interno: il DM di Dungeons&Dragons ha il Master Screen, che spesso è l’elemento fisico più vistoso sul tavolo – se non l’unico.
Dread invece ha un GM con molto potere sul gioco (lo vedremo tra poco), ma al contempo la torre è al centro: durante le partite è un bene che l’attenzione non sia sempre in direzione del master, soprattutto se può spingere i giocatori a non guardare vacuamente nella sua direzione in attesa dell’imbeccata 🙂
Il personaggio dello scenario è, infatti, una serie di domande cariche di premesse a cui il giocatore dovrà dare una risposta.
I grandi poteri (e le grandi responsabilità) del GM
A Modena Play di quest’anno una persona mi ha detto che per lui il Game Master in un gioco di ruolo deve essere in grado di prendere per mano i giocatori e guidarli attraverso il gioco e la storia: penso che le aspettative di questa persona sarebbero completamente soddisfatte con Dread. In linea generale non condivido il suo parere, tranne nei casi in cui è possibile che i giocatori abbiano bisogno di essere presi per mano, e uno dei casi più eclatanti è quello del giocatore novizio.
Come ci insegna Ben Parker, da grandi poteri derivano grandi responsabilità. Ma cosa significa questo, nello specifico?
Le domande che scoprono i Personaggi
Dread prevede che il GM prepari uno scenario, oppure ne utilizzi uno di quelli già disponibili nel manuale – scenari che, per inciso, sono tutti veramente molto vari ed interessanti. A differenza di molti altri giochi, preparare lo scenario significa preparare anche i personaggi, ma solo in parte: il personaggio dello scenario è, infatti, solo una serie di domande cariche di premesse a cui il giocatore dovrà dare una risposta. Un buon esempio è “Perché tu e Mark avete litigato?”, oppure “Cosa tormenta le tue notti impedendoti di dormire?”.
Se conoscete il mondo dei Powered by the Apocalypse troverete una certa familiarità con queste domande. La differenza più grande tra i due tipi di tecnica è la relativa difficoltà di rendere le domande di Dread rilevanti all’interno del gioco. In prima battuta si tratta di domande che devono essere fatte tutte alla creazione del personaggio, e quindi non possono costruire su ciò che succede in gioco. In secondo luogo, l’elemento dello scenario che finisce il più delle volte per essere costruito sulle premesse delle domande, note a priori, che sulle effettive risposte – e gli scenari pregenerati non forniscono, purtroppo, un esempio sufficientemente virtuoso.
Rimuovere un blocco e l’impatto sulla Storia
C’è un peticolo intrinseco nel sistema di risoluzione di Dread che rischia di rivelarsi un’arma a doppio taglio. L’impostazione della risoluzione del conflitto è a discrezione del GM: sta infatti a lui decidere se richiedere un pull (il termine tecnico del gioco per rimuovere un blocco) singolo o multiplo, in base sia alla difficoltà dell’azione sia alle eventuali attitudini che emergono dalla scheda del PG – leggasi, le domande e le risposte che ha dato il giocatore – e che sia rilevanti nel contesto.
Questo non è di per sé problematico, ma lo diventa se unito al resto. Dread è – almeno in teoria, ma ci torneremo dopo – un gioco horror e alle responsabilità del GM si aggiunge quella di creare la giusta tensione. La torre in questo è utilissima, dal momento che progredendo nel gioco diventa sempre più pericolante e di conseguenza ottenere un successo è sempre più rischioso.
Il GM avrà quindi tutti gli interessi a fare in modo che i giocatori debbano fare più pull possibili dalla torre, rischiando in questo modo di finire per chiedere pull non necessari alla storia che si sta raccontando. Badate che sto parlando per esperienza personale: durante una partita mi sono effettivamente accordo di aver involontariamente intrapreso questo comportamento e che effettivamente era dannoso per la fiction del gioco.
In una certa letteratura del gioco di ruolo questo ricade nella famosa (o famigerata) Task Resolution ed è generalmente ritenuto un modo errato di gestire il conflitto, dal momento che priva in qualche modo il giocatore della sua agenzia sulla storia. Quello che poco aiuta in questo senso è che nel manuale si parli esplicitamente di Task, e che tutti gli esempi riportati possano effettivamente ricadere in questa casistica se non correttamente interpretati.
…e l’Horror?
Dread viene descritto, nella prima pagina del manuale, come un gioco di “orrore e speranza”. Questa presentazione, così formulata, è in realtà quasi accurata per il gioco. Quasi, perché ritengo che il sistema del gioco soddisfi queste premesse solo a metà.
Chi ha paura di un cubo di legno?
Pur con tutti gli elementi fisici del gioco, non c’è nessun elemento del gioco che spinga veramente verso atmosfere orrorifiche. La torre è effettivamente ottima per generare tensione, e non paura oppure senso di condanna – quest’ultimo ad esempio lo rende benissimo Ten Candles, del quale spero riusciremo a parlare prossimamente.
Non condanno questo aspetto del gioco, in quanto lo rende un poco più versatile. Trovo che con Dread si possano effettivamente giocare una varietà di situazioni interessanti con il comune denominatore di una tensione ed intensità crescente: ad esempio, un heist movie come Mission Impossibile potrebbe andare benissimo.
Come forse avrete già intuito, chi fa cascare la torre determina la morte del proprio personaggio – o qualcosa di equivalente, magari peggiore, a discrezione del GM.
Casca la Torre, tutti giù per terra!
Come forse avrete già intuito, chi fa cascare la torre determina la morte del proprio personaggio – o qualcosa di equivalente, magari peggiore, a discrezione del GM. Questa meccanica è centrale nel gioco, ma genera problemi di due ordini. Il primo è doversi necessariamente fermare per ricostruire la torre, magari in mezzo ad una situazione tesa. Il secondo è l’eliminazione diretta di un giocatore: il gioco suggerisce alternative, come una “morte tecnica” con il personaggio che rimane in gioco pur fallendo automaticamente tutto, oppure rientrare con un secondo personaggio. Personalmente le ho trovate una più anticlimatica dell’altra e le evito ogni volta che mi è possibile.
Come condurre una sessione di Dread
Se siete arrivati qui, potreste chiedervi come mai mi ostino a proporre Dread nonostante queste critiche. Ebbene, dopo una dozzina di partite ho sviluppato una serie di accorgimenti, alcuni se volete anche abbastanza banali, per giocare una sessione di Dread come GM in un modo che mi soddisfi e che penso sia particolarmente adatto per introdurre dei totali newcomers al mondo del Gdr.
- Scegli uno scenario che piaccia a tutti
- Rendi rilevanti le risposte dei Giocatori alle domande dei propri PG
- Stabilisci i conflitti in modo equo, non in base alla condizione della torre
- Quando cade la Torre, fai una pausa o smetti di giocare
Non fraintendetemi, nessuno di questi consigli è una houserule. Sono perfettamente compatibili con il manuale di gioco, che dovreste comunque seguire per tutto il resto.
Dread, In Italia
La versione originale del gioco è in lingua inglese, pubblicato nel 2005 da The Impossible Dream.
Più recente è l’edizione italiana a cura di Ms Edizioni, che ristruttura il testo del manuale e gli dona una nuova veste grafica.
A breve aggiorneremo l’articolo per dedicarlo a quella che si può definire una nuova edizione del gioco, e soprattutto nella lingua di Dante.
A presto
Edoardo