Preparatevi, perché con Dialect state per incontrare uno dei giochi che più lascia vibrare le sue partite nell’immaginario dei suoi giocatori. Un gioco creato da due linguisti, Kathryn Hymes and Hakan Seyalioglu, che hanno portato alla luce il gioco con un fenomenale Kickstarter che raccolse nel 2016 più del 6300% del goal iniziale e il contributo di diversi nomi noti del panorama indie. Andiamo perciò a scoprire questo fantastico gioco!
Dialect: come una lingua muore
Dialect è un gioco di ruolo e di storie (ci arriviamo in un attimo) incentrato sull’Isolation (isolamento), ovvero un gruppo di persone (o non solo) che vengono separate o si separano dal resto dell’umanità. Questa separazione porterà le persone isolate a creare una propria lingua, fatta di parole vecchie con nuovi usi o completamente nuove. Attraverso questo “linguaggio esclusivo” e dei personaggi i giocatori intavoleranno l’evoluzione e la caduta dell’Isolation e della sua cultura, creando così un delicato e potente legame tra i due.
Dialetto e Lingua di Ivan Lanìa
La parola “dialetto” viene dal greco “diàlektos”, che voleva dire “linguaggio, idioma”; noi, invece, chiamiamo “dialetto” la forma di una lingua che si parla in un’area ristretta e convive con un idioma più diffuso, spesso presupponendo che la lingua locale sia una forma deformata di quella ufficiale. Alcuni “dialetti” sono davvero figli di una lingua madre: è il caso dell’americano e dell’australiano rispetto all’inglese britannico; altri invece sono lingue a sé stanti imparentate con quella ufficiale, che per ragioni storiche è diventata la lingua franca della regione: qui in Italia, ad esempio, il fiorentino è diventato l’italiano nazionale perché è stato il dialetto natale di tanti grandi letterati, che ci hanno scritto le loro opere.In generale, i dialetti sono quasi sempre dei marcatori sociali, per evidenziare l’appartenenza del parlante a una certa comunità – e Dialect la lingua che i giocatori creeranno sarà un dialetto in tutti i sensi.
La storia dell’Isolation sarà divisa in tre Ages (età): la vita, la caduta e la morte — seguite da un finale in cui si parlerà dell’Heritage (eredità) che i membri dell’Isolation lasciano di loro stessi e della loro lingua. Il gioco mischia quindi worldbuilding, ruolo e storia in un mix molto originale, come già evidenziato da diversi game designer al lancio del Kickstarter nel 2016 — e devo dire che questo “mix originale” invecchia e invecchierà molto bene…
Una partita a Dialect
Il gioco è introdotto dal Facilitator (facilitatore), una persona che si è letta il manuale e che, pur giocando con le stesse regole degli altri, gioca per primo ogni fase in modo da introdurre le regole adeguatamente. Il manuale di gioco è uno dei migliori a livello di scrittura, elemento sicuramente legato dalla professione degli autori. Il gioco viene spiegato fase dopo fase, dando al Facilitator la possibilità di giocare mentre si legge.
Dialect sembrerebbe appartenere al genere degli story game (per una migliore tassonomia vi consigliamo questo articolo di Ivan) se non fosse che ogni giocatore possiede un personaggio ed è attraverso brevi scene che li coinvolgono che andremo a scoprire come avviene la morte dell’Isolation e della lingua in essa creata. La presenza di personaggi non è dunque da sottovalutare, benché si stia parlando di archetipi narrativi definiti in gioco solo da nome e legame tra gli Aspect della partita: attraverso di essi i giocatori si sentiranno partecipi alla creazione dell’Isolation e della lingua e proveranno sensazioni forti a riguardo.
Come costruire l’Isolation
Non tutto deve però essere creato da zero! Il gioco sfrutta un sistema di Backdrops (cioè contesti di gioco) che permettono di scegliere un “setting” largo dove ambientare le storie. Sul manuale sono presenti quattro Backdrops degli autori e numerosi altri, creati da contributors della campagna Kickstarter — tra cui famosi game designer.
Esempi di Backdrops sono la classica società post-apocalittica creatasi all’interno di un bunker sotterraneo o gli abitanti del primo tentativo di colonizzazione di Marte, rimasti separati dalla madre patria. Esistono anche Backdrop più originali: i robot rimasti sulla terra a pulirla per conto degli umani, gli alunni di una esclusiva scuola inglese che devono sopravvivere alla severità dei professori, gli appartenenti ad una società nomade su stile gitano in un mondo sedentario, perfino la comunità di ladri di un porto (dove si analizza un Isolamento più sociale che esclusivamente fisica).
Un Backdrop è comunque un contesto narrativo, che viene completato attraverso una serie di domande durante il Setup del gioco. Pertanto, potrete rigiocare più volte lo stesso Backdrop, arrivando ad esiti completamente differenti con stessi o diversi giocatori. Se poi non vi bastano quelli precostruiti, nel manuale troverete anche le regole per creare il vostro Backdrop.
Il setup del gioco
Tramite il Backdrop si stabilisce dunque cosa sia l’Isolation e alcuni dettagli importanti di essa utili, ma soprattutto i tre Aspects (aspetti) dell’Isolation, cioè elementi importanti attorno ai quali si sviluppa la lingua della comunità. Gli Aspects vengono posizionati all’interno di una plancia di gioco molto particolare, chiamata Language Tableau, che sarà anche la nostra linea guida attraverso l’evoluzione della lingua dell’Isolation attraverso le tre Ages.
Il turno di gioco
Attorno agli Aspect creeremo, turno dopo turno, un lessico da cui derivare la lingua dell’Isolation. Ogni giocatore, iniziando dal Facilitator, avrà modo di orientare la creazione di un concetto che viene identificato dall’Isolation con un determinato lemma. Ciò avverrà tramite delle carte che contengono concetti tipici di ogni cultura: le forme di saluto, il modo di indicare la morte o ancora come si indica una data tecnologia. Ogni giocatore avrà in mano sempre tre carte tra cui scegliere, elemento utile visto che i concetti diventeranno via via più particolari mano a mano che si avanza ti Age.
Il primo punto del turno è tessere proprio una connessione tra il concetto di una delle carte nella nostra mano e un Aspect. Si deciderà quindi tutti insieme la parola (detta Language Item) con cui l’Isolation indica quel concetto, guidati dal manuale attraverso una serie di processi di creazione di parole. In questa fase, il giocatore di turno ha l’ultima parola rispetto al Language Item da creare ed è lui a scriverlo su un foglietto da porre accanto all’Aspect identificato.
Il turno ha poi termine con una scena tra alcuni personaggi giocanti e altri dell’Isolation. La scena deve essere giocata finché ogni giocatore non ha chiaro come viene usata la parola creata nell’Isolation; in qualsiasi momento un giocatore può chiamare la “fine” della scena stessa, un elemento fondamentale del gioco perché in questo modo si generano quadretti di vita che terminano sempre sul punto più alto del climax e che fanno appasionare alla storia — vorrete sempre più velocemente passare da un turno all’altro per capire come l’Isolation evolve.
Il flusso della partita e fine del gioco
Finito un turno di creazione avviene la Transition, un momento in cui l’Isolation si evolve e si avvicina alla sua stessa fine. Durante la Transition deciderete quali Aspect portare con voi nella vostra nuova Age e quale dei tre, invece, dovrà essere creato ex novo come evoluzione del precedente. Ad esempio, l’Aspetto Siamo davvero soli? di un gruppo di scampati ad un disastro nucleare potrebbe diventare Chi c’è la fuori?
Durante la partita, come avrete capito, molto è demandato ai giocatori, creando talvolta il rischio di rimanere senza idee; tuttavia, il manuale di gioco fornisce numerosi esempi di come creare i Language Item, gli Aspect e le loro evoluzioni. Seguendo le indicazioni del manuale, e grazie al ruolo importante del Facilitatore, potrete giocare senza però sbrodolare come spesso accade in questi giochi: in Dialect, in pochissime parole, capirete subito come gestire la partita e i suoi contenuti.
Una volta finita la terza Age del gioco toccherà ad ognuno di voi portare a termine la storia del personaggio e/o di una parte dell’Isolamento tramite un ultimo mazzetto di carte, il Legacy (eredità). Da notare anche l’utilizzo nel gioco di un momento finale di debriefing tramite cinque domande, che permettono lentamente di ritornare al nostro mondo — e di sottolineare momenti importanti della giocata.
Che tipo di gioco è Dialect?
Dialect è un gioco diceless e masterfull (come ad esempio Lovecraftesque o Icarus), ma anche un gioco di carte, attraverso le quali creerete i personaggi, creerete il linguaggio dell’Isolation e arriverete anche alla Legacy (eredità) dell’Isolation stesso. Il gioco tocca delle corde importanti dell’animo umano, arrivando a spingere la discussione verso ciò che costituisce davvero una cultura: il linguaggio. L’alto livello di esplorazione del cuore del gioco è garantito da una struttura ben ragionata e sicuramente a lungo testata. Non fate l’errore di mettere da parte Dialect solo perché non contiene dei dadi e un master: il gioco è molto più strutturato di quanto possiate pensare di primo acchito, ma anche molto agile — e dopo un primo turno tutti sapranno cosa fare.
Per quanto riguardo il metodo di esplorazione, Dialect non crea un sistema narrativo tipico degli story game, bensì un geniale ibrido che contiene forti elementi ruolistici. Questo rappresenta l’elemento necessario per potersi appassionarsi sia al proprio personaggio che al suo mondo, l’Isolation, mentre essa rotola verso la fine.
Tramite le brevi scene che sviluppano il legame tra Isolation e personaggi, il gioco riesce anche a generare anche un attaccamento per la storia e alla fine del gioco ti sarai così appassionato ad essa da provare emozioni simili ai tuoi personaggi, raggiungendo spesso vette emotive che raramente altri giochi raggiungono (identificate recentemente con la parola Bleed).
Bleed di Francesco Zani
Il Bleed è il modello, inizialmente descritto da Emily Care Boss ed in seguito espanso da Sarah Lynne Bowman e molti altri, che viene utilizzato nel mondo del LARP e del GDR da tavolo per descrivere il passaggio di sensazioni, pensieri, relazioni e altri aspetti della vita dei giocatori nei loro personaggi e viceversa. Il concetto richiede un approfondimento a sé, chiaramente, ma è utile nominarlo in questo contesto per evidenziare quanto Dialect fa attraverso la creazione condivisa di un linguaggio: al termine della vostra partita, se tutto è andato per il verso giusto, potreste ritrovarvi ad utilizzare quel linguaggio, assorbito inconsapevolmente, e sarete coinvolti emotivamente nel destino della vostra Isolation. Per un approfondimento sul concetto potete dare un’occhiata a questa conferenza, tenutasi a Play 2019:
Il vero elemento forte di Dialect è l’incastro degli elementi. Il gioco convince per come, durante la partita, gli elementi meccanici si ritrovino ad aiutare i giocatori a generare non solo linguaggio, ma anche piccole scene di vita quotidiana che, se si seguono bene le regole, vi rimarranno ben impresse nella mente. Rimarrete sorpresi da quanto spesso capita di avere tra le mani delle carte che richiamano alla mente fin da subito una possibile scena o momento dell’Isolation su cui creare una parola, aiutando e facilitando il gioco dopo il primo turno — che rimane comunque un po’ più guidato dal Facilitatore, come giusto che sia.
Al contempo, al termine del gioco, voi rimarrete con un’eredità fatta di termini della storia, ma anche dei giocatori. Come Francesco ha ben spiegato, assorbirete il linguaggio dei vostri personaggi come vostro e vi troverete mesi dopo a parlare tra voi giocatori con quel linguaggio. Dopo una dozzina di partite mi capita così spesso di parlare con persone con cui ho giocato a Dialect e parlare in codice: con alcuni “è tutto oceano“, con altri è “una finestra aperta“. Questo significa che l’eredità che i vostri personaggi hanno lasciato della loro Isolation nel mondo, beh, siete voi.
Al di là della pagina e del sistema
Dialect è una vera e propria esperienza, uno di quei prodotti che adori possedere e rileggere, perché è talmente ben scritto da essere comprensibilissimo anche se in inglese. Forse un po’ più complesse sono le carte di gioco, create per essere brevi e concise e quindi ricche di frasi idiomatiche — nulla che non si possa riparare con qualche ricerca online.
Il manuale, impreziosito dagli artwork linguistici di Jill DeHaan e da alcune piccole Essays linguistici, possiede una serie di testi atmosferici di grande intensità. Se poi volete fare gli esosi, esiste la Glosspoet Edition che include una piccola borsa di tela in cui contenere manuale e mazzo di carte: ho avuto modo di sfogliare questa edizione dal vivo a Modena Play, grazie a Nicola Urbinati, e devo dire che l’impatto visivo e tattile è enorme e ripaga di molto il prezzo di copertina.
Con Dialect, quindi, vi portate a casa non solo un mondo di storie, ma anche una storia di mondi e linguaggi, di atmosfere, di eredità culturali… un universo narrativo.
Alla prossima recensione!
Spirito Giovane