Ho avuto modo di provare al GDR al Buio il gioco La Spada e Gli Amori, hack creata da Antonio Amato (con delle stanze poetiche scritte dal nostro Ivan Lanìa!) per il gioco Archipelago III (di Matthijs Holter). Dopo la partita ho avuto modo di parlare con gli altri giocatori e, da solo, di riflettere su come vengono presentate le regole nei due giochi e, più in generale, in giochi di ruolo e di narrazione – sebbene non voglia ovviamente fare di tutta l’erba un fascio.
Sommario
Premessa
Dopo la lettura di Archipelago sono rimasto un po’ stranito e frastornato perché il gioco non riusciva ad entrarmi in testa, nonostante sia ben scritto e abbia i dovuti esempi e consigli di gioco (e anche molti!). Invece, La Spada e Gli Amori (da ora LSeGA) mi è risultato più chiaro e, benché abbia compiuto alcuni errori nell’impostare la partita giocata (come potete leggere nel post In Gioco delle scorse settimane), mi trovavo più comodo a consultare il manualetto in caso di problemi. E sì: ho spesso ricordato male le regole durante la sessione di gioco, ma vi assicuro che ho letto Archipelago più d’una volta e con cognizione, tanto da ricordarmi che esistessero certe parti del testo, ma dimenticando dove.
Mi sono chiesto come mai ciò accadesse e ho dato colpa, inizialmente, al fatto che non avevo mai giocato un masterless senza aiuto da parte di altri giocatori e che, magari mi confondevo tra i due testi. Eppure non sembrava essere solo quello: dalla sessione ho capito che c’era dell’altro e ho cercato di darmi una risposta, forse molto più grande, che coinvolge i giochi di narrazione e di ruolo in generale. Dalla risposta che mi sono dato sono derivati due ragionamenti paralleli che qui vi presento.
- Una disamina di due tipologie con cui razionalizzare l’apprendimento dei giochi.
- La proposta di un livello di gioco legato all’apprendimento degli stessi che può essere interessante esplorare in futuro per nuovi tipi di design, già in realtà presenti in Archipelago ed LSeGA.
Testi a Confronto
Tratterò in futuro, anche per chi volesse cimentarsi nella scrittura di giochi di ruolo, della annosa questione del testo dei giochi di ruolo e di narrazione. Personalmente sono convinto che il GDR e i giochi di narrazione, a differenza dei giochi da tavola, siano una comunicazione in differita in cui i documenti proposti per giocare sono fondamentali: in un gdr non posso sempre godere di un feedback diretto delle componenti di gioco come potrebbe avvenire in un 7 Wonders o in un Century, né affidarmi a riassunti o presentazioni demo spicce che possano coprire tutte le regole – benché alcuni brevi gdr siano in parte adatti a questo.
Archipelago
Archipelago III si propone come un testo che tenderei forse a indicare dall’aspetto simile al testo di un gioco freeform. Uso deliberatamente quanta più cautela possibile perché i testi freeform che ho letto per ora si contano su una mano e poi c’è l’annosissima questione di cosa sia un freeform1: diciamo che la struttura visibile del testo propone delle regole e una serie di possibilità di gioco, più diversi consigli per risolvere problematiche o punti dubbi del regolamento base. Come in alcuni altri freeform che ho letto, l’attenzione non è dunque sul come giocare (intenso in senso ampio, cioè indicando sia una assenza di meccaniche tradizionali come statistiche e punti, sia di indicazioni precise su come porre in gioco una data procedura), quanto su cosa si gioca.
Ciò che mi disturbava di Archipelago è la sua estrema calma e pazienza. In alcuni punti l’assenza di definizioni e proposizioni nette sul chi dovesse fare qualcosa e perché (la cui presenza forse tenderebbero a rompere l’assunto di essere freeform) mi davano l’impressione di reggermi sul nulla. Mi sentivo cioè senza la terra sotto i piedi, anche essendo neofita del genere “masterless” o “masterfull”. Ero infatti più comodo in parti (che tra l’altro ricordo meglio) come Creare i personaggi e Impostate la scena, dove il testo indica esattamente cosa compiere, rispetto a parti come Definire una nuova ambientazione o Iniziare la sessione, che invece introducono in maniera un po’ serpentina elementi anche importanti (come il dover stabilire i Punti del Destino, che sta all’inizio di Iniziare la Sessione e non in Usare i Punti del Destino, né possiede un paragrafo a sé stante). Poteva essere un errore di traduzione? Assolutamente no.
La Spada e Gli Amori
Quando ho approcciato invece La Spada e Gli Amori ho avuto subito ben chiaro come dovevo agire in quei punti che in Archipelago erano a me oscuri. Non è tanto o solo il fatto che LSeGA spiega con più precisione concetti solo accennati in Archipelago, come le Autorità, ma anche che la costruzione del testo mi risultava più intuibile. Ad esempio, oltre a descrivere le Autorità su temi nel Capitolo 2 – Il Gioco, LSeGA ripropone le modalità con cui stabilire chi ha Autorità su cosa anche nel Capitolo 3 – Impostare il Gioco, che ovviamente introduce passo dopo passo cosa bisogna fare prima di iniziare a giocare.
In generale, LSeGA si comporta così per tutto il suo testo: è una riproposizione di alcune regole e concetti di Archipelago, rispiegate però nell’ottica di una giocata vera e propria. È più una rappresentazione del processo che delle procedure. Il testo mi ha permesso di aiutare i giocatori spesso durante la sessione, ricordando loro alcune regole che (pur essendo presenti nelle carte-riassunto distribuite) erano un pelo difficili da ricordare tutte alla prima sessione. Quando cerco invece qualche dettaglio importante delle regole in Archipelago, non riesco a trovarmi a mio agio e ci metto un po’ a venirne a capo.
Questo problema è (senza dubbio) soggettivo, anche perché già Edoardo si è trovato molto bene nella lettura e comprensione di Archipelago rispetto a me. Tuttavia, nonostante la soggettività del problema, mi sono spinto verso una analisi critica dei due testi per individuare possibili cause oggettive: ne è scaturito una (credo) interessante proposizione di tre argomenti di design che, vi anticipo, non mirano come questa prima parte a stabilire quale dei due giochi sia migliore, bensì a decretare le differenze ed evidenziare i punti di forza rispettivi.
Scelte di Design a Confronto
Mi si concederà una doverosa precisazione. Qualcuno potrebbe obiettare che io presenti delle analisi di design partendo dal testo dei due giochi e non considerando la loro effettiva riproposizione. Ciò è vero, ma non è sbagliato a prescindere: prima di tutto perché Archipelago e LSeGA sono lo stesso gioco e le differenze sono appunto nella loro presentazione; secondariamente, e connesso a quanto già detto, se è vero che un gioco di ruolo o narrazione fornisce molta più importanza al testo di altri tabletop games, allora una diversa scelta di proposizione dei contenuti del gioco rappresenta di fatto una scelta di design diversa.
Procedura e Processo
Sono arrivato a credere negli ultimi mesi (o anni) che molti giochi di ruolo trascurino un aspetto fondamentale che LSeGA invece non tralascia: anziché presentare solo le procedure di gioco, Amato tende a mostrare anche il processo di gioco. Durante la ricerca nell’ambito del game design che ho fatto per questo articolo mi sono scontrato con, ovviamente, l’assenza di un dizionario condiviso: ogni testo che ho consultato, infatti, non solo proponeva approcci molto diversi tra loro, ma anche analisi su argomenti similari con termini differenti. Districarsi non è stato facile: io partivo da due concetti che per me erano molto chiari (procedura, processo) e i testi che consultavano moltiplicavano le terminologie di concetti che mi sembravano uguali. Fortunatamente sono riuscito a comprendere come si incastrano le mie personali folli elucubrazioni e quello che, invece, propongono razionalmente i vari tomi che ho consultato.
Partiamo però da due definizioni di massima. Chiamerò Procedura quell’azione o insieme di azioni che, similmente ad una macro, sono proposte e intese per essere eseguite in maniera automatizzata. Ovviamente dovrebbe risultarvi chiaro che sto parlando di un livello di gioco superiore a quello delle meccaniche: una Procedura presuppone la sua attuazione per ottenere un prodotto, che è in questo caso il farsi di un gioco. È difficile notare una procedura in un gioco di ruolo perché di solito sono molto brevi e “nascoste” nel design, ma in Archipelago è notabile.
Il gioco ad esempio ti dice che quando qualcuno, non importa chi sia, pronuncia la frase Non sarà così semplice nei confronti di un’azione del personaggio del giocatore attivo, egli pesca la carta, la passa ad un giocatore a sua scelta la quale o il quale la interpreta e fornisce un esito per l’incertezza narrativa che era apparsa in gioco. In questo caso c’è una procedura, perché sia l’insieme di regole che le eventuali eccezioni (come il fatto che la frase possa essere pronunciata una sola volta per turno contro un giocatore attivo) possono essere introdotte in un workflow chart che riassume bene l’automatismo dell’esecuzione dei vari step. Il problema è che non viene indicato il cosa sta accadendo, in altre parole il perché debba avvenire questo processo ad opera dei giocatori.
Bene, ma quindi cosa è un Processo? Il Processo è, per me, la presentazione di come una procedura debba essere messa in atto, o meglio chi debba fare cosa e perché in quel modo. Cercando sul web qualcosa che permettesse di chiarificare questo ho avuto poca fortuna se non individuare un testo che spiega giuridicamente cosa siano procedura e processo. Mi sono appropriato dei contenuti perché con quelle parole io intendevo praticamente la stessa cosa – ora potete chiamarmi nazi-ruler o rules-lawyer se volete.
Ora, lungi dal volervi costringere a leggere quell’articolo, isolo le parti che m’interessano:
[…] La procedura è un insieme di attività ripetitive, sequenziali e condivise tra chi le attua. Esse vengono poste in essere per raggiungere un risultato determinato. In sostanza, è il “che cosa” deve essere attuato per addivenire a un “qualcosa”, a un prodotto, descritto sotto forma di “regole”, […].
[…] Il processo è l’insieme delle risorse strumentali utilizzate e dei comportamenti attuati da persone fisiche o giuridiche finalizzati alla realizzazione di una procedura determinata. In altre parole, è il chi fa che cosa.
[…] Mentre la procedura è perlopiù codificata ed è neutrale rispetto alle persone che la realizzano, il processo, invece, è affidato a persone e può essere modificato in funzione di variabili ambientali.
Solo in questo momento, leggendo queste ultime parole in grassetto, ho capito la connessione tra i miei ragionamenti, i testi che stavo consultando e i due giochi che, pur uguali, si presentavano dissimili sotto ai miei occhi.
La bellezza di Archipelago III
Giunti a questo punto, un ringrazimento dal sottoscritto. Siamo oltre il giro di boa, ancora qualche paragrafo e avrò finito. Come ricompensa, voglio fare una breve digressione qui per evitare che mi si accusi di ritenere Archipelago III un gioco brutto: io ho letteralmente adorato sia Archipelago che LSeGA, d’altro canto sono lo stesso gioco. Ciò che intendo dire con questo post è che io preferisco la presentazione che ha fatto Antonio Amato poiché, in modo inconscio o conscio (spero il secondo), ha costruito un testo che incontra maggiormente il mio modo di pensare e di agire.
Io infatti sono un giocatore processuale. Adoro e preferisco quei giochi che mi chiarificano esattamente “chi e quando qualcuno deve fare cose“. Attenzione, chiarificare significa “rendere il più semplice possibile da intuire dalle regole o dal regolamento”. Credo di essere un giocatore da spirito del gioco desunto dalle regole così come pensate (rules as intended), cosa che è un po’ ossimorica e che sicuramente risulta un pugno nell’occhio, ma che è spiegabile: se mi si presentano le regole indicando chi debba fare cosa e perché in quel modo, sono più che disposto se non apertissimo a modificare regolamenti, applicare house rules, costruire nuovi contenuti di gioco, eccetera. Perché, in un paradosso simile alla stormwind fallacy, lo spirito del gioco non scende dal cielo, ma può essere appreso tramite il modo con cui il gioco è presentato e se il suo tema è ben spiegato – perché dubito che il designer di un gioco possa fare tour a casa di ogni persona che ha comprato il suo gioco in giro per il pianeta. È semplicemente poco economico. Dedicherò a questo argomento un altro post.
Però esistono anche giocatori procedurali, cioè persone che si trovano più a loro agio imparando semplicemente le regole, spesso se contengono solo o perlopiù procedure, e apparentemente deducendo lo spirito o tema del gioco dal contesto di gioco stesso mentre lo si gioca e da altri che hanno giocato a quel gioco, confrontando le esperienze. In realtà sono convinto che dietro a questi giocatori vi sia semplicemente una maggiore predisposizione a intuire il tema che sottendono le regole, benché non abbia conferme o prove da potervi mostrare. Però possiamo semplicemente affermare che un giocatore procedurale intuisce meglio di uno processuale le interazioni tra le meccaniche e il loro significato, vale a dire intuiscono la parte di gioco che potremmo definire connotativa (che è una generalizzazione del significato associativo): intuiscono subito le interazioni e le strategie che sottostanno al gioco, generando anche una serie di sovrasistemi che migliorano la performance del giocatore e, nel caso solo del gdr, del personaggio.
Il Gameplay Emergente
L’apparente contrasto tra me e i due giochi e tra queste due tipologie di giocatori viene dunque ad appianarsi ad una singola problematica connessa soprattutto al rapporto tra il tema/spirito del gioco e il sistema: infatti, è possibile che sia giocatori procedurali che processuali adorino un gioco per le strategie che esso sottende a discapito del tipo di meccaniche che utilizza. Per esempio, Musha Shugyo è in alcuni ambienti un po’ ostracizzato per via della sua ibridazione con i giochi da tavolo, ma altri lo adorano alla follia per la sua semplicità e per cosa deriva da essa: vale a dire che lo apprezzano per cosa ci puoi costruire sopra (seguendo il tema, ovvero i picchiaduro, che è ben definito e presentato dal gioco) a partire da ciò che presenta (cioè un regolamento di circa 30 pagine).
Ed è qui che vorrei introdurre un argomento, un concetto quasi, che mi terrà occupato anche per i prossimi mesi del 2018 e che già Ivan, forte di un dialogo che abbiamo sull’argomento, ha per voi anticipato nel post su Trollbabe: parlo del gameplay emergente.
Molti di voi avranno già sentito parlare di fiction emergente (emergent narrative), vale a dire una narrazione che viene evocata dal gioco e non è pregressa alla sessione o alle sessioni: è ciò che risulta dall’interazione tra personaggi e giocatori (incluso narratore) e che spesso porta un personaggio non giocante a diventare più interessante facendo muovere ciò che il master aveva pensato di introdurre in gioco, anche in quei gdr che non hanno una narrazione condivisa.
Il gameplay emergente è un concetto che ho appreso dal gioco degli Scacchi (e presente anche in giochi simili, come Onitama) e rappresenta, parimenti alla fiction emergente, l’emergere appunto di un modo di giocare e di una interazione tra le regole che non era prevista in prima istanza e/o che costruisce qualcosa di più complesso ed intrinseco con il gioco. In questo senso, il gameplay emergente è anche quell’insieme di profondità e complessità che si crea spesso a partire da poche regole esattamente come avviene in giochi come scacchi, dove ad un dato insieme di regole abbastanza semplici da apprendere (vale a dire come si muovono i pezzi sulla scacchiera) corrispondono infinite combinazioni ma, soprattutto numerosi processi e procedure di gioco costruite dai giocatori stessi come le aperture o le chiusure.
Per me Archipelago ed LSeGa rappresentano proprio questo: un insieme di regole ben definite che, tuttavia, introducendo uno solo procedure (Archipelago) e l’altro un insieme di possibili processi di gioco (LSeGA), permettono tuttavia la costruzione di un modo di giocare, un gameplay, che emerge dal gioco. E proprio il fascino derivato dall’esplorazione delle varie interazioni dinamiche che avvengono tra le regole durante la partita ha rappresentato il plauso dei giocatori durante la sessione condotta al GDR al Buio.
L’interesse deriva dunque dalla ricerca di una exploitation (parola per me introducibile in italiano) di quelle che sono le potenzialità di un sistema, sia da un punto di vista di procedure (ovvero cosa devo attuare per giocare e in che ordine), sia dal punto di vista del processo (ovvero il chi deve attuare e perché una data regola). Anzi è proprio lo scontro tra procedure e processi che a mio parere permette di generare sulle regole il gameplay che ci appassiona ad un gioco, il costante condividere impressioni e idee su come possiamo giocare un dato gioco all’interno delle sue regole.
Culture a Confronto
Ovviamente, avendo una scarsissima capacità di giocare a scacchi, è dimostrato che io in quanto giocatore processuale non sono un buon analizzatore e interpretatore di gameplay emergente: già Edoardo, che immagino sia un giocatore di tipo procedurale, ha semplicemente letto il regolamento e dedotto una o due dinamiche che erano effettivamente emerse nella mia sessione dall’incastro tra personaggi, frasi rituali e carte risoluzione. Sebbene sia ovvio che la causa possa essere una maggiore chiarezza di pensiero e una maggiore attenzione da parte di Edoardo al regolamento, immagino che ci sia anche un altro piccolo tassello da introdurre.
Questo tassello è l’interpretazione dei giochi come forme di espressioni culturale, entro i quali è possibile intuire una certa metodologia di pensiero, se volete fare un inside joke potremmo dire un pensiero strategico emergente e connesso (non opposto) ad un bagaglio culturale.
Immagino che, perché sono italiano o sono un umanista, il mio bagaglio culturale sia legato al processo perché la mia mente ragiona maggiormente sul chi e perché compie qualcosa. Lo riconosco anche come scrittore e giocatore (quelle poche volte che non faccio il master): la mia capacità strategica è derivata dal riflettere sul perché il mio personaggio dovrebbe eseguire una data azione oppure sul chi potrebbe risolvere la situazione. Immagino che invece un giocatore con un bagaglio culturale differente, forse scandinavo o informatico/ingegneristico, sia più propenso ad attuare un pensiero che sia incentrato su ordine e contenuto delle regole da attuare perché già proiettato alla loro messa in opera e poco interessato a chi (o già sicuro di chi) le debba mettere in pratica.
Conclusioni
È chiaro che il bagaglio culturale di un autore influenzi il modo di presentare un gioco, ma su questo ultimo punto mi riservo di dire di più una volta approfondito l’argomento. Al contempo, sono sicuro che il motivo per cui personalmente preferisco LSeGA rispetto ad Archipelago abbia avuto modo di permettermi di arrivare a capire che entrambi le tipologie di giocatori presentati possono essere interessati, ognuno a loro modo, alle dinamiche che emergono da un gioco premiandolo per una semplicità di regole a fronte di una profondità di gameplay.
[1] Intendo dunque freeform nel senso di un gioco di narrazione che scardina le strutture tradizionali e anche quelle narrative classiche, e non in senso di freeform nordic o UK – l’unico post che conosco e che posso linkarvi è questo di Leaving Mundania. Diciamo che si sente la necessità forte di avere un bel lessico comune, perché il mio intento non è offendere nessuno, ma se dovessi portare avanti un blog come questo senza ledere nessuno solo perché mancano lessici ben definiti avrei le stesse probabilità di pubblicare post quanto quelle di vincere ad una slot machine. Forse.
Fonti
Raduno qui alcuni titoli e link che mi sono stati utili in formato non accademico Titolo, Autore.
- The Art of Game Design di Jesse Schell.
- How Games Speak – Learn the Language of Design di Extra Credits, scoperto grazie alla Mailing List di Francesco Rugerfred e Francesco Zani, Brutale.
- Game Design and Development di Ernest Adams e Andrew Rollings.
- Rules of Play di Katie Salen Tekinbas ed Eric Zimmerman.
- Role-Playing Game Studies. Transmedia Foundations, edito da José P. Zagal e Sebastian Deterding.