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Nell'ultimo anno e rotti qui su Storie di Ruolo ci siamo interessati parecchio ai giochi di storie (o storygame), un genere di GDR la cui definizione è stata data dal designer Ben Robbins: giochi di narrazione in cui i giocatori intervengono sul mondo immaginario da una prospettiva esterna, da registi o da narratori onniscenti, non usando necessariamente un personaggio come avatar. Robbins ha coniato questa descrizione per presentare i suoi stessi giochi, il primo dei quali, Microscope, è diventato un piccolo classico; da estimatori del genere non potevamo non recensirlo prima o poi, e quel momento è arrivato oggi!

Disclaimer: Microscope non è stato (ancora) importato in Italia, anche se il patron di Helios Games (al secolo Helios Pu) ha pubblicamente dichiarato di avere in cantiere una localizzazione del titolo. Incrociate le dita assieme a noi e gustatevi la recensione per ingannare l'attesa!

Microscope – Uno gioco di Storia

Partiamo dalla tagline che campeggia sulla copertina di Microscope: "A fractal role-playing game of epic histories", cioè "un gioco di ruolo frattale di storie epiche". Salta subito all'occhio che non si usa la parola stories, cioè "storie, racconti, vicende individuali", bensì Histories, cioè "Storia" con la maiuscola, "Storia" come la disciplina. In Microscope, infatti, i giocatori non creano semplicemente le avventure di uno o più protagonisti, ma un periodo storico lungo secoli, millenni o direttamente eoni, diviso in periodi unitari più brevi e costellato di eventi grandiosi (o disastrosi), in cui le civiltà sorgono e crollano e migliaia di individui lasciano il proprio segno, piccolo o grande, sul corso degli eventi. E il tutto da una prospettiva a volo d'uccello, che permette di passare dai processi millenari di cambiamento geologico alle minuzie della vita di una singola persona, zommando liberamente dentro e fuori gli eventi (donde il nome del gioco: il gruppo ha la Storia sotto un microscopio).
Per fare un paragone con i media non interattivi, Apocalypse World sta ai film di Mad Max come Microscope sta al Ciclo di Dune, a quello della Fondazione oppure al Silmarillion – romanzi o antologie di ampio respiro che trattano dello sviluppo di intere società, ibridando la narrativa d'invenzione con la cronaca storiografica. Se invece vogliamo confrontarlo con altri GDR, bisogna paragonarlo alla sessione zero di molti titoli, quella in cui si fa un brainstorming per decidere assieme l'ambientazione: il sistema di Microscope è tarato per trasformare quel brainstorming in un'esperienza ludica autonoma, non ancillare a un GDR classico.

Fonte di ispirazione per Microscope.

A essere hipster, Microscope ha anche un altro equivalente letterario: i monumentali saggi storiografici del Settecento.

Una linea del tempo frattale

Venendo al sistema di gioco, Microscope inizia a sua volta con una fase di brainstorming, in cui tutti i giocatori devono concordare il Quadro Complessivo: il fenomeno principale che caratterizza e definisce la loro Storia, rendendola un processo coeso (ad esempio "L'umanità colonizza le stelle"). Dopodiché bisogna inventare due Periodi, cioè dei lunghi lassi di tempo in cui si è verificato un fenomeno unitario di lunga durata (come "Iniziano i viaggi spaziali" e "L'umanità si frammenta ed entra in stagnazione"); essi saranno il primo e ultimo Periodo della Storia da creare, i limiti cronologici entro i quali si giocherà.
Dopodiché si ha una fase di "sintonizzazione dei gusti": ciascun giocatore sceglie un contenuto che potrà essere portato in gioco e uno che invece sarà bandito, in modo da dare un carattere particolare al mondo di gioco. Esempi possibili sono alieni, magia, divinità, tecnologie, valori morali e così via.
Fatto tutto ciò, si passa al turno zero della partita: ogni giocatore crea un nuovo Periodo occorso fra il primo e l'ultimo, oppure un Evento delimitato nello spazio-tempo (una guerra, un'invenzione, un'impresa eroica...) verificatosi durante un Periodo preesistente.

A questo punto inizia la turnazione effettiva, che segue questa scaletta:

  1. Un giocatore, con il ruolo di Lente, inventa un Focus, cioè un tema ricorrente nella Storia che si sta creando (una persona o dinastia, un oggetto o tecnologia, un fenomeno naturale etc.).
  2. Ogni giocatore inventa e descrive un nuovo contenuto collegato al Focus, a propria completa discrezione. Può trattarsi di un Periodo, un Evento oppure una Scena, cioè un'interazione fra singoli individui occorsa durante un Evento (un colpo di stato, un'interazione familiare, un duello, un alterco, altro ancora). Tale contenuto può essere collocato in qualunque punto della cronologia, purché sia coerente con le informazioni preesistenti.
  3. Alla fine del giro il giocatore a destra della Lente sceglie un'informazione creata durante il turno e la marca come Eredità – cioè come tema interessante da approfondire in futuro. Fatto ciò, crea un Evento o Scena extra collegato all'Eredità.
  4. Il ruolo di Lente scorre in senso orario e si continua con un nuovo Focus.

    Lo stemma asburgico come Focus per Microscope

    Se la nostra storia reale fosse una partia a Microscope, l'aquila bicefala sarebbe un esempio di Focus. Immagine da Wikimedia Commons.

Ogni Periodo, Evento o Scena (inclusi quelli in fase di setup) deve essere non solo descritto oralmente, ma anche annotato su un foglietto e posto sul tavolo in ordine cronologico: i Periodi compongono una linea orizzontale fra i due estremi cronologici, gli Eventi sono messi in fila sotto il Periodo in cui avvengono, le Scene sono impilate sotto l'Evento in cui accadono. Il risultato è che, man mano che la partita va avanti, si forma una linea del tempo a tre livelli in cui ogni elemento contiene al proprio interno dei componenti più piccoli – la struttura a frattale promessa nella tagline e che rende possibile lo zommare avanti e indietro lungo la linea del tempo.
Si noti inoltre che le Scene sono l'unico momento in cui Microscope si avvicina a un GDR convenzionale. Quando un giocatore crea una Scena, infatti, è libero di descriverla tutta a propria discrezione, come si fa con Periodi ed Eventi, ma può anche scegliere di recitarla. In tal caso, il giocatore di turno pone una Domanda cui la Scena deve rispondere (ad esempio "Perché la regina Anna è stata deposta da sua figlia?") e la inquadra nello spazio-tempo, dopodiché ogni giocatore sceglie un personaggio da interpretare; a quel punto si recita la scena in free-play, con lo scopo di rispondere alla Domanda.

Un sistema minimale per giocatori novelli

A leggere questa panoramica, Microscope potrebbe avervi lasciato molto freddi; probabilmente vi sembra un gioco in cui "ce la si racconta" – un titolo basato unicamente sullo scambiarsi aneddoti e descrizioni, con due regole in croce per contrastare il panico da foglio bianco. Per esperienza diretta, mi sento di sostenere il contrario: Microscope è un modello di gioco minimale che non scade nel "raccontarsela" a briglia sciolta e senza criterio, bensì produce un'esperienza ben indirizzata di creazione collettiva.
Nell'appendice del manuale, infatti, Robbins spiega che il suo scopo era "sciogliere" i giocatori di ruolo timidi, quelle persone che durante la partita seguono passivamente i contributi altrui, o perché non sanno esprimere i propri o perché non riescono ad armonizzarli in un'estetica condivisa.  In Microscope, infatti, la condivisione di contributi è la sostanza stessa del gioco, non un sistema implicito sottostante ad altri, ed è impostata come un dibattito solo nella fase di setup: per il resto ogni giocatore deve esprimere le proprie idee come decisioni insindacabili, il che fa venir meno le difficoltà comunicative e dà libero sfogo alla creatività individuale.
Naturalmente c'è il rischio che delle decisioni insindacabili non si armonizzino tra loro, creando una linea del tempo eterogenea, ma ciò viene controbilanciato dalla scelta a turno del Focus. A rotazione, infatti, ogni giocatore imporrà un tema di suo gusto, ma gli altri daranno a quel tema le rispettive impronte personali e lo sentiranno, a fine turno, come "cosa propria", come un contributo su cui hanno investimento emotivo; ne consegue che le idee di tutti si intrecciano assieme in un arazzo, un insieme superiore alla somma delle parti.
Inoltre l'ordine non-cronologico della partita permette a ciascun giocatore di creare, modificare e distruggere qualunque elemento del mondo di gioco, da intere civiltà a singoli individui, senza che questo limiti i suoi compagni: lo spazio-tempo fra gli elementi della linea temporale è sempre indeterminato, quindi è sempre possibile incastrare nuove informazioni fra quelle preesistenti. Un giocatore può benissimo far inabissare Atlantide in un Evento per poi decriverne gli albori, molti Periodi prima, e la riscoperta archeologica, molti Periodi dopo. Robbins lo definisce "grandi poteri senza grandi responsabilità".
A impreziosire ulteriormente il gioco c'è il sottosistema legato alle Scene, grazie al quale Microscope non rimane bloccato al freddo livello della cronologia, ma può scendere fino al livello dele storie individuali, quelle che, a conti fatti, danno origine alla Storia con la maiuscola: grazie alle Scene, infatti, è possibile seguire dalla culla alla tomba i grandi e piccoli personaggi del proprio mondo, recuperando e incorporando la dimensione del gioco di ruolo in senso classico. E il capitolo sulle Scene insegna con dovizia di dettagli diverse tecniche d'improvvisazione, come l'inquadramento delle scene o il distinguere fra affermazioni vere e presunte – strumenti fondamentali in molti GDR, ma spesso mal spiegati.
E in ultimo, la creazione della linea del tempo attraverso i foglietti non è solo pratica, ma anche appagante: fornisce al gioco una componente tattile, quasi da gioco da tavolo, per cui la creatività del gruppo produce un oggetto tangibile, che può essere conservato come ricordo della partita (non diversamente dalle schede di personaggio di altri titoli).

Un esempio di partita completa a Microscope, gentilmente fornito dall'amico Daniele di Geecko on the Wall. Da Geecko on the Wall

Perché giocare a Microscope?

Da Storie di Ruolo è tutto, ci rivediamo nel prossimo Periodo!
Ivan

Se avete fatto un giro a Lucca 2018 o Modena Play 2019, saprete che il mercato dei libri-gioco è riesploso, fra nuove case editrici specializzate (Edizioni Librarsi) e collane dedicate lanciate da editori preesistenti (Dedalo Libri-game per Antonio Tombolini Editore, Zaira per Acheron Books). All'appello si è appena aggiunta Watson Edizioni, che inaugura il suo catalogo di libri-gioco con Jekyll & Hyde, scritto a quattro mani da Marco Zamanni ed Enrico Corso. Noi di Storie di Ruolo ne abbiamo ricevuto un'anteprima per la stampa e l'abbiamo affidata a Ivan, alias l'unico di noi che non aveva mai giocato a un libro-gioco. Il nostro è uscito vivo e (abbastanza) sano di mente dalla sua prima avventura, e oggi ci darà un parere sulla fatica del dottor Zamanni e del signor Corso.

Stevenson rinarrato

L'avrete sicuramente dedotto: Jekyll & Hyde è una ri-narrazione de Lo stano caso del dottor Jekyll e del signor Hyde, il classico pubblicato da Robert Louis Stevenson nel 1886. Più esattamente, il libro-gioco mette i giocatori nei panni di Henry Jekyll, con la coscienza di Edward Hyde che ci accompagna per tutto la partita in qualità di deuteragonista: Hyde apostrofa spesso il dottore in scambi di battute tutti mentali, lo ostacolerà in certi momenti e lo assisterà in altri. A livello di trama, il libro-gioco corrisponde grossomodo alla seconda parte del racconto originale: si inizia in medias res subito dopo che Hyde ha assassinato Denvers Carew, con Jekyll che si rifugia in casa propria per decidere il da farsi. A differenza che nel romanzo originale, infatti, Scotland Yard sospetterà immediatamente del dottore, che dovrà darsi subito alla macchia e cercare di nascosto una soluzione a tutti i suoi problemi... ma che tipo di soluzione? Distruggere per sempre la coscienza di Edward Hyde? Lasciare che questi prenda il controllo del loro corpo condiviso? Trasferire Hyde in un corpo tutto per lui? Suicidarsi e con ciò uccidere anche Hyde? E no, costituirsi non è un'opzione: far cadere Jekyll nelle mani di Scotland Yard vuol dire condanna a morte e game over.

Jekyll & Hyde poster

Un poster d'epoca sul romanzo di Stevenson, da Wikimedia Commons

Cercare e ricercare

A livello di gameplay, Jekyll&Hyde mi ha ricordato molto i vecchi videogiochi di avventura grafica, come Monkey Island o Indiana Jones and the Last Crusade: il dottor Jekyll, ha un obiettivo ma non sa come conseguirlo, perciò deve raccogliere informazioni su come agire e (successivamente) gli strumenti necessari a operare. Di conseguenza, buona parte del romanzo consiste in vagabondaggi su e già per Londra, in cerca di un modo per risolvere il “problema Hyde”, e una volta stabilito un approccio bisognerà recuperare l'occorrente – io, per esempio, ho cercato informazioni su come creare ad Hyde un corpo tutto suo, quindi sono rimasto invischiato in un traffico di organi stile dottor Frankenstein.
Nella prima fase del racconto, però, le peregrinazioni di Jekyll saranno abbastanza erratiche: bisognerà fare attenzione costante alle pattuglie di polizia e ai possibili testimoni scomodi e rinunciare spesso alla via più diretta in favore di quella (almeno apparentemente) più sicura, dando all'avventura un gusto stealth e un senso di claustrofobia. A partire da un certo momento, però, il dottor Jekyll si troverà in relativa sicurezza e potrà recarsi liberamente, con viaggi quasi istantanei, in varie località di Londra, facendo riferimento a una mappa che riporta per ogni luogo il paragrafo corrispondente; tale mappa, per altro, si amplierà con nuove destinazioni man mano che i luoghi iniziali vengono esplorati, dando al giocatore una piacevole sensazione di progresso: non solo Jekyll fa passi avanti nella sua ricerca, ma si sente via via più libero e sicuro di sé, e noi giocatori con lui – a patto di non commettere passi falsi ed essere acciuffati da Scotland Yard o traditi da un falso alleato.

Cattedrale di Saint Paul

Fra i vari landmark londinesi che avvisterete durante la partita c'è anche la cattedrale di Saint Paul. Da Wikimedia Commons

La scheda (clinica) del dottore

Per tenere traccia dei risultati di Jekyll, il gioco utilizza una scheda con tre valori numerici, che variano a seconda delle azioni del giocatore: l'Es è la potenza (o impotenza) di Hyde nei confronti di Jekyll, l'Allerta è il dispiego di mezzi di Scotland Yard per braccare il dottore, le Pozioni sono le dosi del farmaco con cui Jekyll impedisce al suo alter ego di prendere il controllo del loro corpo comune. Le Pozioni, prevedibilmente, sono un consumabile raro e prezioso, che quando usato impedisce l'aumento dell'Es; questo, a sua volta, cresce se Jekyll agisce in modo istintivo e brutale e decresce con atteggiamenti razionali, così come l'Allerta cresce con gesti rischiosi finiti male e decresce tenendo un bassissimo profilo. Queste due statistiche, di per sé, non portano automaticamente al game over se superano una certa soglia, ma intervengono su certi bivi in cui Jekyll non può scegliere, bensì deve affidarsi al caso di un tiro di dadi: più sono alti Es e Allerta più sarà probabile l'esito negativo del tiro, il che spinge il giocatore a immedesimarsi nel dottore e giocare con la massima prudenza possibile – meglio avventurarsi nei bassifondi che farsi vedere in zone chic piene di polizia, e meglio liberare Hyde quando nessuno guarda, così da conservare le Pozioni per quando è lui a voler uscire senza permesso (e magari pure in un pessimo momento).
Oltre alle tre statistiche, la scheda include anche una sezione Note, in cui annotare, quando il paragrafo lo richiede, dei descrittori che riassumono le esperienze vissute da Jekyll: questa meccanica serve a far sì che le scelte (o gli incidenti) avvenuti nelle prime fasi della vicenda abbiano ripercussione in quelle finali, poiché in molti paragrafi un certo percorso è accessibile se e solo se si è acquisita, precedentemente, una certa Nota. Ne consegue che in ogni dato momento è sempre meglio esplorare tutte le situazioni accessibili, così da accumulare tutte le Note possibili prima di superare i “punti di non ritorno” della trama (in linea di massima il momento in cui Jekyll accede al viaggio libero e l'inizio dell'epilogo). Il rovescio della medaglia è che l'atmosfera claustrofobica del gioco impedisce a Jekyll e al giocatore di attardarsi troppo in uno stesso luogo, perciò diverse aree, di fatto, dovranno essere saltate: il giocatore dovrà quindi fare del suo meglio con quello che ha potuto recuperare, e magari annotarsi le opzioni che non ha preso, così da ottenerle in una seconda partita e vedere i percorsi corrispondenti.

Parlando di atmosfere claustrofobiche, le illustrazioni del romanzo sono tutte a chiaroscuro. Azzeccate, neh?

Il buio dentro di noi

Posto che per vincere il libro-gioco è fondamentale tenere abbastanza bassi Es e Allerta e accumulare Note utili (e, in certi passaggi, aver fortuna con il tiro di dado), poche circostanze causano un game over: le situazioni in cui si finisce in bocca alla polizia senza possibilità di fuga, e le opzioni effettivamente arrischiate di certi bivi (ergo, siate prudenti!). Per il resto, infatti, tutti i percorsi possibili conducono a uno dei vari finali (mai a vicoli ciechi), e oltre alle statistiche e alle Note c'è un fattore fondamentale che determina la conclusione del gioco: la capacità del giocatore di empatizzare con Jekyll e Hyde e agire nel loro migliore interesse. Considerando che tutto il gioco è impostato per premiare chi si comporta come fosse Jekyll, direi che il design complessivo è decisamente coerente.

Jekyll & Hyde, nel suo complesso, è sicuramente un libro-gioco impegnativo e pieno di suspence, ma proprio in questo risiede il suo fascino. Se siete dei del genere troverete una bella sfida, se amate il romanzo di Stevenson vi sorprenderà l'ingegnosa rielaborazione. Ci si vede nei vicoli di Londra!

Ivan

Buongiorno gente e bentrovati all'ultimo appuntamento inerente la traduzione di Pigsmoke, il gioco di ruolo che verrà pubblicato a Modena Play 2019 da Space Orange 42.

Dopo le riflessioni di Daniele sulla traduzione in generale, sull'accessibilità del gioco e sul lessico dei PbtA, oggi spenderò io qualche parola su un tema che sta molto a cuore all'autore del gioco, e su cui -analogamente- abbiamo voluto porre molta attenzione: la discriminazione nel mondo accademico.

Essere marginali in università

Il capitolo 5 del manuale, intitolato "Pigsmoke", fornisce ai giocatori tutto il necessario per creare la propria Università di Pigsmoke: dai paletti fissi sulla natura del campus ai questionari per personalizzare il Rettore e ciascuno dei Dipartimenti. L'autore Chris Longhurt, però, ha voluto chiuderlo con un micro-saggio intitolato "Academia and Identity – Content notice for discussion of sexual assault", letteralmente "Accademia e Identità – Una nota sul contenuto per discutere l'aggressione sessuale": un testo che, a dispetto del titolo, non spiega "solo" come trattare in modo maturo le situazioni di molestie in fiction – tanto che noi abbiamo deciso di tradurlo "Accademia e Identità – Una nota sul contenuto per portare in gioco le discriminazioni".

Il paragrafo in esame, infatti, tratta un aspetto per me cruciale del giocare di ruolo con ambientazioni realistiche o semi-realistiche (in questo caso urban fantasy contemporaneo) e cioè l'inserire nella partita dinamiche sociali di emarginazione: per ceto, per etnia, per genere, o una sovrapposizione delle varie categorie. Certo, non per forza una sessione di GDR deve trattare questo tema (e Longhurst lo mette in chiaro), ma se tutti sono d'accordo sul procedere in quella direzione, qui si trovano tutti i suggerimenti utili per affrontare la scelta in modo organico.

La traduzione del micro-saggio è stata una bella sfida: in un testo che parla anche di come il linguaggio categorizza in negativo le altre persone sarebbe stato controproducente nonché di cattivo gusto essere noi i primi ad adottare un lessico impreciso e/o fuorviante nel corso della traduzione; proprio per questo abbiamo chiesto aiuto a Claudia Pandolfi, attivista per i diritti LGBT ben nota, nell'ambito GDR, per il suo ruolo nella community facebook Donne Dadi & Dati e per l'iniziativa Queerbox del coordinamento LGBTE di Treviso. Le revisioni di Claudia sono state preziosissime e ci hanno salvato da un paio di rischiose trappole lessicali, come il fatto che la parola italiana "transessuale" non è intercambiabile con il prestito dall'inglese "transgender". In generale, il raffronto esterno è stato fondamentale per rendere comprensibili in italiano riflessioni in un inglese non facile, e talvolta -purtroppo- ancora non radicate nei principi di pensiero del nostro comune spaccato culturale quotidiano: ad esempio che il sessismo non si sradica solo riconoscendo la vittima come tale (e quindi intrappolandola in tale ruolo) ma soprattutto invitandola alla rivalsa, o che il razzismo sta anche nei benpensanti che vedono la persona non-bianca come una "compagnia esotica" di cui fare sfoggio, comunque non come una persona a tutto tondo.

Discriminazione Pigsmoke Traduzione Storie di Ruolo LGBTQ+

Un linguaggio inclusivo

La traduzione del paragrafo "Accademia e Identità" ci ha anche stimolato su una questione trasversale a tutto il testo: fare del nostro meglio per adattare in italiano le parole e costruzioni "bi-genere" del testo originale, cioè i passaggi in cui si parla di una persona senza specificare il genere. In particolare ci siamo scervellati sulla locuzione "head of departement" e abbiamo deciso di renderla con "capo di dipartimento" quando viene usata in generale o riferita a un PNG generico, ma abbiamo creato una forma femminile "direttrice di dipartimento" quando necessario.

Di sicuro possiamo migliorare sui passaggi in cui l'autore si rivolge ai lettori con uno "You", perché non sempre abbiamo potuto coniugare la chiarezza dell'italiano a espedienti che non implicassero il genere di chi legge — ma sappiamo su cosa allenarci per la nostra prossima traduzione!

Con ciò dal nostro reparto traduzione è tutto, fateci sapere dopo Modena Play se il nostro lavoro vi ha soddisfatti!

Buon gioco a tutti!

Ivan

 

Modena Play si avvicina e, come da tradizione, noi di Storie di Ruolo abbiamo preparato un elenco di tutte le uscite in ambito GDR. Ma sappiamo bene che il "listone", da solo, non basta a decidere cosa comprare, perché non è facile giudicare un GDR dalla sola copertina. Proprio per questo nel mese di Marzo vi proporremo tante Anteprime da Modena Play, per presentarvi un po' di giochi che hanno catturato la nostra attenzione. Iniziamo oggi con Sagas of the Icelanders, in arrivo per i tipi di Dreamlord Press.

Disclaimer: al momento non esistono anticipazioni del manuale localizzato. Questa anteprima, di conseguenza, si limiterà a presentare il sistema di gioco, sulla base del manuale originale in inglese – perciò le traduzioni di termini tecnici dell'originale sono nostre e non corrispondono necessariamente alla traduzione italiana. Inoltre segnaleremo alcuni difetti editoriali del volume originale, con la speranza di vederli sistemati nell'edizione italiana.

Panoramica del gioco – Il GDR delle saghe generazionali

Pubblicato nel 2013 dal designer sloveno Gregor Vuga, Sagas of the Icelanders è pensato per emulare un genere narrativo tanto di nicchia quanto affascinante: le saghe composte in età medievale dai coloni scandinavi arrivati in Islanda, atte a perpeturare di generazione in generazione le piccole grandi imprese di ciascun clan –  come la costruzione della fattoria di famiglia da parte dei capostipiti Olaf e Ingrid, o la vittoria del bisavolo Jorund nel suo duello contro Steinar Ascia-Rossa, o la tenacia con cui la prozia Asgeir sopravvisse a tre mariti, allevò dieci fra figli e figlie e lasciò in eredità ben due mucche a ciascuno di loro.
In ogni campagna a Sagas of the Icelanders i giocatori creeranno i membri una comunità islandese fra IX e XI secolo (il periodo fra i primi sbarchi e la conversione di massa al cristianesimo) e ne reciteranno le vite quotidiane, inevitabilmente problematiche. Da un lato l'insediamento in una terra vergine è un'occasione unica per realizzare le proprie ambizioni personali, dall'altro l'Islanda è una terra aspra in cui si sopravvive solo con il duro lavoro di squadra, dall'altro ancora la cultura scandinava prevede che ogni uomo e ogni donna debba soddisfare certe aspettative – oppure abbandonare la comunità, in quanto persona indesiderabile. E considerando che la mortalità, allora, era alta, sarà normale accompagnare i proprio personaggi dalla culla alla tomba e continuare la partita usando i loro figli, fino a giocare (potenzialmente) una vera saga lunga duecento anni.
La combinazione fra ambientazione puramente storica, dinamiche di vita quotidiana e tensione fra individuo, società e natura è decisamente un unicum fra i GDR in commercio, che (lo sappiamo tutti) privilegiano le ambientazioni fantastiche (al massimo fanta-storiche), le dinamiche avventurose e le contrapposizioni "Eroi vs Malvagi" o "Antieroi vs Mondo Marcio" – già questo rende Sagas un titolo meritevole di essere provato, per sperimentare una declinazione non comune del medium GDR. A ciò aggiungiamo diverse trovate acute del sistema di gioco, che ho potuto sia constatare leggendolo sia toccare con mano in una demo.

Il sistema

Un PbtA tipico...

A livello regolistico, Sagas of the Icelanders è un Powered by the Apocalypse – e cioé (per chi non lo sapesse) riprende la struttura di Apocalypse World, in breve AW (o Mondo dell'Apocalisse nell'edizione italiana, Meguey & Vincent D. Baker, 1a edizione 2010, 2a edizione 2016), un gioco pensato per produrre storie di fantascienza postapocalittica in stile Mad Max: sopravvissuti all'apocalisse che si contendono le poche risorse rimaste, con ogni mezzo possibile.
AW ha dato vita a un'enorme famiglia di giochi derivati, appunto i Powered by the Apocalypse o PbtA, che hanno spolpato il "genitore" fino a ricavarne la struttura di base, per poi riadattarla. Tale struttura consiste, in linea di massima, degli elementi seguenti:

  1. Longevità da campagna di 10+ sessioni.
  2. Bipartizione di ruoli fra un Master of Cerimonies o MC, che controlla lo spazio-tempo e i PNG, e i giocatori, ciasscuno in controllo di un PG. Ogni PG viene creato a partire da un archetipo che rappresenta non tanto una professione (come le classi convenzionali) quanto un tipo umano che, nel corso della campagna, verrà cambiato caratterialmente dalle proprie esperienze.
  3. Preparazione composta da mappa relazionale e Minacce. Dopo la sessione zero e fra una sessione e l'altra, l'MC deve annotare in un diagramma i rapporti sociali conflittuali fra i vari PG e PNG, individuare le Minacce incombenti sui vari PG e associargli un "conto alla rovescia" (cioè un'escalation fino al disastro). Questi appunti sono l'unica preparazione a monte necessaria, perché poi le sessioni si giocano a improvvisazione: l'MC fa agire i PNG secondo i loro interessi, i giocatori fanno reagire i propri PG, e si crea (appunto) un ciclo di azione e reazione.
  4. Flusso del gioco regolato dalle Mosse. Da un lato, l'MC deve descrivere le situazioni adattando alla circostanza degli appositi prompt, le Mosse Cerimoniali, sulla base di determinati Princìpi estetici. Dall'altro lato, i giocatori possono controllare le situazioni (anziché subire passivamente le Mosse Cerimoniali) solo facendo attivare ai PG le Mosse dei Personaggi, formulate in questo modo: "Quando fai X per ottenere Y, tira 2d6+Statistica. Con 10+ conseguirai ciò che volevi. Con 7-9 lo otterrai in parte e/o a un prezzo. Con 6+, l'MC userà una Mossa Cerimonale per creare nuovi problemi".
    Le Mosse dei Personaggi, inoltre, sono divise in due categorie. Alcune, le Mosse Base, sono accessibili a tutti e rappresentano approcci che chiunque, nell'ambientazione di gioco, potrebbe adottare; altre sono riservate a ciascun archetipo di PG e ne determinano lo stile di comportamento.

Ciò che distingue fra loro i vari PbtA è il modo in cui questo plesso di regole viene tematizzato sull'ambientazione prescelta, così che i PG e le loro interazioni ricalchino davvero i personaggi e le situazioni proprie del genere. Ora, io non ho mai letto una saga islandese, ma le regole di Sagas of the Icelanders mi restituiscono un quadro molto limpido e coerente del loro tono e tema – decisamente un buon segno.

L'Islanda innevata è una landa postapocalittica.

L'Islanda innevata durante l'inverno, da Archive.org. Come spiega Vuga nelle prime pagine, l'Islanda è inospitale quanto una landa postapocalittica, donde la scelta del sistema PbtA.

... fortemente tematizzato ...

Il quadro suddetto si forma già dalle prime pagine: si spiega praticamente subito che l'Islanda fu colonizzata da profughi politici norvegesi, in fuga dalle guerre con cui il clan Hårfagreætten (letteralmente "Bellachioma") stava unificando la Norvegia per costituire una monarchia accentrata. Ne conseguì che i primi Islandesi istituirono una società a base clanica, senza autorità statali formali: ogni famiglia allargata viveva per conto proprio nella propria fattoria, senza aggregarsi in villaggi, e la giustizia era amministrata dai sacerdoti, per i quali il possesso del santuario e la competenza giuridica erano la fonte di sostentamento (visto che li si pagava per entrambe le funzoni). Situazioni di grande importanza, inoltre, richiedevano che i capifamiglia di una certa regione si radunassero in assemblea paritaria, e col tempo entrò in uso anche l'assemblea plenaria di tutti gli Islandesi.
In mancanza di uno Stato centrale e di un codice legislativo, la società isolana era tenuta assieme da un forte senso dell'onore e della decenza, che prevedeva anche dei marcati ruoli di genere: solamente gli uomini, ad esempio, avevano una scelta fra più carriere (contadino-artigiano autosufficiente, guerriero stipendiato, sacerdote e così via), mentre le donne erano vincolate a essere amministratrici del focolare, a meno di non assumere posizioni sociali sì necessarie, ma non benviste (come la strega o la donna guerriera). Dall'altro lato, però, gli stereotipi di genere autorizzavano le donne islandesi a valutare e condizionare il comportamento degli uomini, in quanto le consideravano custodi del buon senso e del raziocinio, a fronte dell'"intrinseca" impulsività maschile – frutto, a ben vedere, dell'aspettativa che gli uomini si occupassero con successo e in modo onorevole dei lavori di fatica e forza fisica (dall'agricoltura alle razzie piratesche, passando per l'artigianato), dai quali dipendeva la sopravvivenza delle famiglie. Fallire sul lavoro o prendere scorciatoie non era contemplabile, pena l'essere accusati di inettitudine o vigliaccheria.

Leif Erikson avvista Vinland

Leif Eriksson scopre l'America di Christian Krohg (1893) da Wikimedia Commons. Purtroppo questo gioco non tratta la colonizzazione di Groenlandia e Vinlandia da parte degli Islandesi – sarebbe stato un extra interessante.

Il grandissimo pregio di Sagas of the Icelanders è che questi dati non restano confinanti all'esposizione del setting, bensì sono tutti portati in gioco dalle regole. Le Mosse Base dei Personaggi, infatti, coprono il pane quotidiano di tutti gli Islandesi, cioé l'esporsi a pericoli fisici e le forme elementari di relazione sociale (ingraziarsi le persone, scambiarsi confidenze, aiutarsi od ostacolarsi), mentre le altre interazioni sociali sono regolate dalle mosse di genere – solo le PG donne possono usare il proprio fascino, buon senso e/o autorevolezza per imporre agli uomini un corso d'azione, e solo i PG uomini hanno il discutibile privilegio di poter sostenere sforzi fisici, analizzare problemi immediati e (soprattutto) sfidarsi a vicenda per comprovare il rispettivo onore. In altri termini, il sesso che i giocatori scelgono per il proprio PG non è puramente cosmetico, ma li obbliga a far comportare il personaggio secondo il ruolo che la società islandese gli o le avrebbe imposto di conseguenza – e questo dà vita a del role-play di tutto rispetto.
In più, anche gli archetipi di personaggio (detti Ruoli) sono divisi per genere, poiché rappresentano i diversi status sociali, maschili e femminili, attestati nelle saghe, ciascuno con i propri modi di contribuire alla vita comunitaria:

A questi otto Ruoli se ne aggiungono tre "neutri", che possono essere rivestiti sia da uomini sia da donne, siccome rappresentano figure marginali e/o emarginate:

A completare la rassegna, tutte le regole dell'MC mirano a creare tensioni sociali fra persone con ambizioni incompatibili, ma costrette a convivere in un piccolo mondo: le Mosse Cerimoniali includono, ad esempio, Mettere un prezzo alle cose e Bloccare qualcuno in mezzo a due parti, mentre la creazione delle Minacce prevede come categorie fra cui scegliere "La Terra & il Mare", "Uomini & Donne Potenti", "Vicini & Famiglie", "Numi & Spiriti". Non si può negare che tutti i pezzi del puzzle si incastrino bene.

Le tre Norne norrene

Le tre Norne da Wikimedia Commons. Le Norne erano l'equivalente norreno delle Parche greco-romane e in una partita a Sagas of the Icelanders saranno fra i Numi più ricorrenti.

... con note dolenti

Bisogna rimarcare, però, che Sagas of the Icelanders avrà anche delle meccaniche molto sul pezzo e ben integrate fra loro, ma il suo manuale manca di chiarezza nell'esporre le dinamiche, cioè i modi in cui le meccaniche interagiscono fra loro nel flusso della partita. A differenza di altri PbtA che conosco (non solo Il Mondo dell'Apocalisse stesso, ma anche Cuori di Mostro e Mostro della Settimana), Sagas of the Icelanders non contiene alcun esempio pratico di come le regole si applichino durante partita, né per le Mosse Base né per quelle di Genere e di Ruolo – il che è particolarmente scomodo per certe Mosse dall'applicazione non immediata, come quella che permette al Godhi di organizzare un sacrificio collettivo (a che pro? non è detto) o quella che obbliga il Viandante a stringere una relazione personale con gli dèi (ma quindi le Mosse legate alla socialità si applicano paro paro, oppure no?). La cosa è particolarmente problematica per le regole dell'MC dedicate alle Minacce, sia perché manca un esempio di come si crei una Minaccia passo passo, sia perché si accenna senza chiarificare che certe Mosse Cerimoniali legate alle Minacce vanno usate come "meta-mosse" (cosa voglia dire è un mistero). Non so se l'edizione italiana abbia introdotto delle spiegazioni più ampie di concerto con l'autore, ma in caso contrario spero che Dreamlord Press ospiti sul proprio sito degli approfondimenti fan-made, così come pubblicano le Pillole di Fate. Già i podcast di Geecko on the Air dedicati a Sagas of the Icelanders sono un buonissimo segnale in questo senso.
Oltre a ciò, ci sono degli evidenti problemi nell'Appendice del manuale originale, che contiene quattro piccoli saggi di approfondimento (scritti da autori terzi) su determinati aspetti della civiltà islandese. In primo, il testo sulla cultura giuridica è un mini-splatbook pieno di notizie interessanti, ma non c'è alcuna gerarchizzazione fra i paragrafi: ci si ritrova a passare senza alcuno stacco tipografico dalle normative sull'eredità alle mosse opzionali per gestire un processo. Ben più problematico, però, è il testo sulla natura anarchica della società islandese delle origini: si presenta come saggio storico a scopo divulgativo, in realtà è una sequela di affermazioni capziose dell'autore basate sul "Lo dico io e io la so lunga", senza il più elementare rimando bibliografico. Da insegnante di materie umanistiche che entrerà in servizio a breve, io sono convinto che i GDR (e i giochi in generale) possano essere eccellenti strumenti didattici, ma proprio per questo non tollero che un prodotto curato come Sagas of the Icelanders contenga un esempio da manuale di saggistica spazzatura. Spero di cuore che Dreamlord Press non si limiti a sistemare la paragrafazione del primo saggio, ma espunga completamente il secondo – e magari lo sostituisca con un approfondimento serio.

Conclusioni

Sagas of the Icelanders non sarà un manuale perfetto sul piano espositivo, ma a livello di design è un gioco raffinato e con una personalità forte. Chi ama l'impianto PbtA dovrebbe sicuramente tenerlo in considerazione e preparargli un posticino vicino a Cuori di Mostro; chi in generale apprezza i GDR basati sullo scontro sociale ci troverà un prodotto maturo con un carattere forte; chi adora le varie facce del Medioevo europeo, poi, ne trarrà un'occasione per calarsi in quell'epoca aspra e complessa. In generale, è un gioco che piacerà non a tutti, ma a molti mi sa di sì.

 

Arrivederci a settimana prossima con un altro GDR ad ambientazione storica, ma meccanicamente molto sui generis...
Ivan

Mentre stavo lavorando dietro le quinte alle Traduzioni di Ruolo ho scoperto su Google+ l'hastag #10RPGPost a picture (of the book, or if a larp from the game), and a Twitter length post (about 140 characters) about what impact it had on you. Tradotto, "#10GDR – Condividi una foto (del manuale o di una sessione di LARP) e un post misura Twitter (140 battute) sul perché quel gioco è stato importante per te".
L'idea mi attirava, quindi mi sono messo a fare la mia Top 10 sul mio profilo personale, poi ne ho parlato ai colleghi di blog... e siccome è piaciuta a tutti, abbiamo deciso di scrivere un articolo con le nostre rispettive liste (e ci siamo concessi di essere sì coincisi, ma non misura Twitter). Pertanto, ecco a voi i 10 giochi che hanno lasciato il segno su ciascun redattore di Storie di Ruolo!

Vanessa

Il mio primo vero impegno ruolistico, ciò che mi ha insegnato cos’è un gioco di ruolo quanto può essere bello giocare di ruolo è stato Le Notti di Nibiru. Ricordo ancora gatti di pietra vagare per il mondo... Il Richiamo di Gatthulu è stato magico come il nome lascia intendere, poi sono arrivati i topi, o meglio i topini! Di Mouseguard mi sono innamorata ed è stato ciò di cui mi sono affacciata a scrivere per la prima volta. L’Alba di Polaris mi ha folgorata con la sua bellezza e gettata nell’ignoranza più completa mostrandomi quanto ancora non sapevo. Ten Candles mi ha fatto scoprire la paura vera e capire l’importanza delle meccaniche. Pigsmoke è stato il mio primo PbtA e non lo scambierei con nessun mondo di nessuna apocalisse! Fiasco mi ha resa una giocatrice più consapevole dei propri gusti e una persona un po’ più creativa. B-Movie è stato il giro di boa, con cui sono passata dall’altra parte del tavolo. Stonewall 1969 mi ha dimostrato che il gioco può fare grandi cose e speriamo le farà, da ultimo Noirlandia è il segno di ciò che non ho ancora provato e che deve ancora venire...

Edoardo

#10RPG Edoardo

Il mio primo gioco di ruolo "cartaceo" al tavolo (tolti quindi i videogiochi) è stato Cyberpunk 2020, ma la mia prima campagna duratura, sebbene incompleta, è stata con Pathfinder. In tempi assolutamente non sospetti ho scoperto anche The Pool, che ha probabilmente piantato in me il seme del game designer. Apocalypse World è stato il mio primo PbtA, nonché primo gioco che abbia giocato con Daniele; Tenra Bansho Zero il mio primo J-RPG, nonché primo GDR giocato con Vanessa. Fiasco mi ha fatto capire che senza master le cose spesso sono meglio, Lady Blackbird credo sia il gioco su cui ho sbattuto più la testa, nonché primo GDR che abbia giocato assieme ad Ivan. Polaris mi ha convinto che vale la pena recuperare certi titoli del passato, inoltre è stato il titolo che, giocato con Vanessa, mi ha convinto a vederla come una compagna nel gioco e non solo nella vita; poco dopo, guarda caso, abbiamo provato assieme Stonewall 1969, un titolo illuminante sotto un sacco di punti di vista, di cui aggiungerò altro (molto altro) quando l'autore sarà pronto a parlarne. E per finire, Dialect: quando pensavo di cominciare a capirci qualcosa è arrivato lui. E mi sono reso conto di non capirci comunque nulla.

Daniele

#10RPG Daniele

Dei e Semidei è stato il primo manuale che lessi, prima ancora di avere il manuale del giocatore. Mi persi nelle sue pagine, fu una meravigliosa scoperta. La stessa sensazione la ebbi solo anni più tardi, quando inizia a leggere Kult e Cyberpunk 2020 i cui mondi mi raccontava qualcosa di completamente diverso dal fantasy a cui ero abituato — che poi divenne Mondo di Tenebra, la nuova edizione, ma senza vampiri o lupini. Puro gioco con umani spinti al limite: era questo che il mio gruppo portò avanti per anni.

Poi venne il gioco. Quello che mi fece scoprire che c’era altro in quella galassia di ruolo. Un gioco minore, mai tradotto in italiano, ma che sono riuscito a recuperare solo quest’anno: Ironclaw. Da lì iniziò una vera scoperta. Lessi Apocalypse World e tornò il fascino della narrazione; presi World War Cthulhu e capii come il modo di presentare un setting poteva cambiare tutto; venne Musha Shugyo e mi tornò la voglia di “menare le mani” al tavolo senza dovermi perdere per manuali.

Le ultime due scoperte meravigliose sono forse antipodi, forse no: Mouse Guard, un'esperienza totalizzante, e Archipelago, che è stato di larga ispirazione per le sue meccaniche leggere. Menzione speciale e finale per Fate Accelerato per la compattezza e completezza del regolamento che mi ha sempre affascinato.

Ivan

Scusate la dimensione spropositata della foto dal LARP, ma era la più coreografica e meno imbarazzante che avevo.

Per cominciare, i sei giochi che per me sono stati una prima volta. Dungeons & Dragons 3.5 è il primo GDR cartaceo che abbia comprato, letto... e mai giocato, perché era troppo complesso per il me dodicenne! Però senza D&D non avrei partecipato a Esperia LARP – Cronache del Continente Occidentale, un piccolo gruppo LARP della mia zona, estremamente amatoriale e di breve vita; fu la prima volta che ho davvero giocato di ruolo (precisamente ero una brutta copia di Paetyr Baelish in un'ambientazione pastiche fra Westeros e Skyrim). Scioltosi il gruppo LARP, scoprii Dungeon World, il primo GDR cartaceo cui ho giocato realmente, sia tenendo un PG sia come GM, nonché il mio punto d'ingresso ai giochi indie angloamericani. Avanti due anni, ed ecco The Climb: il mio primo LARP da camera e la prima volta che ho avuto del bleed. Avanti qualche mese e arriva Cuori di Mostro: un gioco solidissimo (oso dire un classico) e il primo con cui ho finito una campagna. In ultimo, The Black Hack, il gioco che settimana scorsa mi ha preso per mano e introdotto all'Old School Reinassence.
Ora, i miei tre GMless preferiti, nonché i miei modelli di buon design. Primo, Microfiction, una piccola gemma minimale (ma non troppo) che ho avuto l'onore di playtestare spalla a spalla con l'autore. Secondo, Mille e una Notte, la fusione di tre cose che adoro: la cultura araba, la novellistica e la semplicità di design. Terzo, Archipelago, che similmente fonde assieme mappe, carte e il "comitato di GM" (ed è il gioco per fare Terramare!).
E infine, Stonewall 1969: per me più di un gioco, una lezione di vita che porto nel cuore.

Luca

#10RPG Luca

  1. Dungeons & Dragons 3.5: il mio primo gioco di ruolo, quello che mi ha plagiato per sempre e reso una persona pegg… ehm, migliore.
  2. Super!: giochino supereroico e supersemplice che mi ha insegnato l’importanza della semplicità e infuso la passione per il game design.
  3. Sine Requie: uno dei giochi di cui ho parlato di più e che mi ha convinto a diventare un game designer per correggerne i difetti. Giochi dal Nuraghe [il vecchio blog di Luca, n d. Ivan] non esisterebbe senza di lui.
  4. Solar System: che dire? Mi ha semplicemente aperto le porte del mondo indie.
  5. Dungeon World: con tutti i suoi difetti è il gioco su cui ho scritto di più e che ha fatto crescere Giochi dal Nuraghe. Mica cazzi.
  6. Fate: siccome "Nikola mi paka" non potevo non metterlo. Sto scrivendo un gioco basato su Fate, mi sembrava obbligatorio inserirlo.
  7. Il Mio Fantasy: è il primo manuale che ho scritto ed è un gioco stupendo di Giovanni Micolucci. Avrà sempre un posto speciale nel mio cuoricino.
  8. Polaris: semplicemente perché è uno dei miei giochi preferiti.
  9. Trollbabe: uno dei miei giochi preferiti, ha chiarificato molte idee che avevo sui giochi e mi ha aperto un mondo di riflessioni.
  10. Shonen Time: il primo gioco non tradizionale che ho messo in cantiere, anche se è cambiato enormemente nel corso degli anni, e forse il primo che pubblicherò come autore.

Se come me siete dei videogiocatori saprete sicuramente la differenza tra un RTS (Real Time Strategy), un'avventura grafica, un Metroidvania o un videogioco di ruolo. Allo stesso modo, se giocate ai giochi da tavolo conoscerete le differenze fra gioco cooperativo e competivo, fra German e American , tra filler e "gioco mattone" (o "cinghiale", come li chiama Edoardo). Se siete giocatori di ruolo, invece, le cose si complicano: a differenza degli altri media ludici, il GDR non ha al suo interno dei generi convenzionali in cui classificare i singoli titoli. Oggi vi spiegherò perché, secondo me, sarebbe bene averne.

I generi nei media ludici

È un dato di fatto: non a tutti piace tutto e i giochi (analogici o digitali) non fanno eccezione. Quando ci interessiamo a un nuovo videogioco o gioco da tavolo vogliamo sempre sapere come funziona, così da valutare se rientra o no nei nostri gusti. Nella maggior parte dei casi, però, non cercheremo subito una recensione approfondita, bensì il genere del gioco: l'archetipo di meccaniche già codificate che meglio descrive il suo gameplay. Solo dopo, ricondotto il gioco a informazioni che già conoscevamo, ci informeremo su cos'ha quel titolo in più rispetto all'archetipo, quali elementi nuovi lo rendono unico. È per questo che descrizioni come "È un picchiaduro a incontri 3D di scherma" o "Devi formare scale come nel ramino, ma in cooperativa" funzionano bene. Perché esprimono in una volta sola sia il genere del gioco sia la sua particolarità più evidente.

Sicuramente i generi ludici hanno dei contro: a volte un game designer rinuncia a creare meccaniche originali e pubblica un gioco banale, con solo gli elementi minimi del genere prescelto. Altre volte in un genere nascono dei sottogeneri, se un certo tipo di meccaniche diventa frequente ma non standard – e troppi sottogeneri creano caos. Certi titoli, poi, sono ibridi e stanno al confine fra un archetipo e un altro, quindi descriverli per generi non è sempre ottimale. Altri, infine, danno vita a un genere tutto nuovo, per cui rimango eclettici finché il loro nuovo archetipo non si codifica. Tuttavia, questa classificazione resta estremamente utile, perché permette a noi giocatori (video- e da tavolo) di capirci in fretta e con poco sforzo.

Dissidia e Hanabi sono due giochi con forte identità descrivibile per generi.

Per inciso, questi sono il "picchiaduro a incontri 3D di scherma" e il "gioco simil-ramino cooperativo".

Il genere sulla base dell'ambientazione

Le cose cambiano nel gioco di ruolo, in cui, nella mia esperienza, manca una divisione per generi. O meglio, la divisione per generi più diffusa si basa sull'ambientazione che il gioco propone, o meglio ancora sull'estetica dell'ambientazione: ci sono giochi fantasy come Dungeons & Dragons, Beasts & Barbarians o L'Unico Anello, giochi horror come Vampiri e Call of Chthulu, giochi di space opera come Traveller o Death Watch, giochi distopici come Cyberpunk 2020 o Paranoia. Abbiamo poi i giochi con ambientazioni realistiche molto diverse fra loro, dalla Seconda Guerra Mondiale di Grey Ranks alla scuola superiore giapponese di Girl X Boy, e il grande insieme dei GDR senza ambientazione prefissata, quali GURPS, Fate o Archipelago. Questa logica è mutuata da prosa, fumetto e cinema, i medium narrativi "puri", e in una certa misura ha senso, essendo il GDR un medium misto ludico-narrativo... ma è davvero funzionale non tenere in conto l'aspetto ludico?

Somiglianze superficiali

Per rispondere alla mia domanda, vi porterò un esempio concreto. Qualche tempo fa ho giocato con l'amico Dismaster Frane alcune sessioni di Lamentation of the Flame Princess (in breve LotFP), un GDR che ripropone, con rettifiche varie ed eventuali, il regolamento di D&D 1 (a quanto so, un gioco molto, molto diverso da tutte le edizioni successive). Se dovessi descrivere in modo volutamente schematico com'è giocare a LotFP, lo esporrei così:

  1. Ambientazione: ll gioco si svolge in una versione fantasy della Terra del XVII secolo: non solo il mondo è di per sé pericoloso e inospitale, ma in più la magia e le creature fatate esistono e sono, per loro natura, inquientanti e pericolse. I vari supplementi ufficiali (avventure o regole extra) forniscono specifici ambienti o situazioni da portare in gioco – in generale, comunque, il mondo di ogni gruppo dipende dalle avventure che l'Arbitro scrive o acquista.
  2. Soggetto: i giocatori controllano una banda di esploratori tombaroli che vivono di saccheggi (o "recuperi archeologici): sono persone competenti e sopra la media, ma molto fragili rispetto ai pericoli che affrontano.
  3. Creazione dei personaggi: ogni membro del gruppo è connotato dalla sua professione, che gli dà accesso a determinate "risorse" fra loro complementari: il combattente è abbastanza robusto da affrontare e pestare i mostri, lo specialista ha certe capacità tecniche-artigianali (come lo scasso), il mago può aumentare le possibilità di azione altrui con i suoi incantesimi (tipo il camminare sui muri). Inoltre si possono (devono) arruolare PNG mercenari che forniscono "dosi extra" di una certa risorsa, da altre braccia per combattere a un semplice fattorino reggi-torcia.
  4. Sfida e Ricompensa: il gruppo è costantemente svantaggiato rispetto ai pericoli del dungeon, per cui superare indenni gli ostacoli grazie alla propria arguzia gratifica i giocatori. Inoltre, più tesori vengono recuperati più i personaggi fanno esperienza, sbloccando nuove abilità ed, eventualmente, accasandosi.
  5. Interazione con l'ambiente: l'Arbitro di gioco deve descrivere con abbondanti dettagli sensoriali ogni stanza che il gruppo esplora, evidenziando i luoghi e oggetti d'interesse. Starà ai giocatori mettere a frutto le informazioni che i loro personaggi percepiscono, intuendo cosa fare di oggetti misteriosi o come aprire porte bloccate.
  6. Risoluzione dei problemi: tanto gli ostacoli ambientali (porte chiuse e simili) quanto quelli viventi (mostri e guardiani) sono rischiosi da affrontare a muso duro, quindi non si può semplicemente tirare i dadi per smontare o ammazzare qualcosa: viceversa, ogni giocatore deve inventare modi per portarsi in vantaggio (ad esempio colpendo un mostro da molto lontano) o per aggirare integralmente il pericolo (come far scattare una trappola con un'esca, anziché disinnescarla da vicino).
  7. Elementi di story-telling: le persone (vive o morte), la fauna e l'archiettura del dungeon compongono una storia non scritta del dungeon stesso: più lo esplorano e più mettono assieme le informazioni, più i tombaroli scopriranno chi e come l'ha costruito e come le varie presenze si sono stratificate. Al contempo, i successi e i fallimenti del gruppo (in particolare la morte di personaggi principali o di mercenari) e le interazioni con altri esseri senzienti daranno vita a una "cronaca" della spedizione esplorativa.

Ora, invece, descriverò secondo lo stesso schema il gameplay di On Mighty Thews (in breve OMT), un GDR che, come LoftFP, tratta di avventurieri erranti che esplorano luoghi pericolosi in un mondo fantasy, ma adotta una struttura diversa in più punti (per saperne di più, l'ho recensito qui):

  1. Ambientazione: ll gioco si svolge in un mondo fantasy di stampo sword & sorcery: la terra è piena di misteri e pericoli, le persone sono tagliate con l'accetta, esistono magie legate a saperi arcani e a tecnologie perdute. Tutti i giocatori concorrono a creare il mondo, disegnandone assieme la mappa complessiva e i luoghi più iconici.
  2. Soggetto: i giocatori controllano una banda di avventurieri vagabondi che vanno là dove li porta il vento: tutti loro sono persone eccezionali, troppo forti, intelligenti, competenti e fortunate per essere vere.
  3. Creazione dei personaggi: in misura variabile, ogni membro del gruppo è competente in tutti i tre ambiti "professionali" previsti dal gioco: le arti belliche, le arti magiche e le abilità manuali e sociali. A differenziare effettivamente i personaggi sono le rispettive capacità speciali o equipaggiamenti iconici (come una scuola di magia o una spada pregiata) e i rispettivi tratti caratteriali principali (come Pio, Fatalista o Civilizzato).
  4. Sfida e Ricompensa: i personaggi godono di una certa plot armor e sono leggermente più potenti dei loro nemici, dando adito a scene d'azione ad alta spettacolarità e basso rischio; inoltre i giocatori possono determinare la backstory del mondo esterno (anziché lasciarla decidere in toto al GM) e quindi dilettarsi di worldbuilding corale.
  5. Interazione con l'ambiente: ogni volta che il Game Master introduce una nuova location, oggetto o personaggio, deve descriverlo con pochi dettagli mirati: i giocatori, a quel punto, inventeranno al volo altre informazioni che i loro personaggi riconoscono o deducono, attraverso una regola apposita.
  6. Risoluzione dei problemi: tutti gli scontri con pericoli (animati o inanimati, violenti o meno) richiedono automaticamente un tiro di dado, senza possibilità di essere aggirati. Prima di tirare il giocatore deve descrivere in che modo le capacità personali e il carattere del personaggio emergono nelle sue azioni; dopo il tiro, se il personaggio ha successo, deve anche raccontare l'esito positivo di tali azioni. Più il giocatore riesce a chiamare in causa le peculiarità del personaggio, più ha possibilità di successo.
  7. Elementi di story-telling: ogni avventura rappresenta lo svolgimento e la risoluzione di un conflitto fra i protagonisti e un avversario estemporaneo, spesso motivata da un McGuffin – così da emulare i racconti sword & sorcery degli anni '30. La descrizione "in duo" degli ambienti concorre a questo effetto.

Come potete vedere, le differenze regolistiche fra i due giochi sono notevoli: in uno i personaggi sono fragili e devono giocare d'astuzia, nell'altro sono larger than life (per dirla all'Inglese) e affrontano i pericoli in modo diretto; in uno bisogna muoversi in un ambiente dettagliato per manovrarne gli hotspot, come in un'avventura grafica, nell'altro gli ambienti partono appena abbozzati e prendono forma con momenti di "spiegone", come in un romanzo; in uno i giocatori si ingegnano con piacere a superare ostacoli, nell'altro "coreografano" con diletto l'atto di superarli (o di non riuscirci e attirare altri guai); in uno gli eventi in gioco non seguono schemi narratologici, nell'altro tali schemi sono cablati nelle regole. Sicuramente la bipartizione GM e giocatori, la dinamica a party e la durata da campagna rappresentano un terreno comune forte, ma certamente il feeling dei due titoli è diverso.

Il primato delle meccaniche

Tiriamo le fila del discorso: in breve, secondo me la sola estetica non basta a determinare il genere di un GDR, perché in questo tipo di giochi le narrazioni interattive (che siano trame pregenerate da scoprire, trame emergenti o altro ancora) sono un prodotto delle meccaniche ludiche: non solo è riduttivo classificare le narrazioni solo in base all'ambientazione (come lo è nei media narrativi puri, del resto), ma è controproducente togliere dall'equazione le differenze meccaniche. Già Lamentation of the Flame Princess e On Mighty Thews hanno meccaniche piuttosto diverse a fronte di uno scheletro simile, ma, se ci limitassimo all'ambientazione, dovremmo associarli a titoli radicalmente diversi: giochi di ruolo competitivi per solo due persone (come S/lay w/Me), giochi senza GM in cui si controlla "a comitato" il mondo esterno al party (come Fall of Magic) e giochi di storie in cui non si controllano personaggi, bensì si osserva a volo d'uccello un'intera civiltà (come A Thousand Years Under The Sun). Il che è come classificare assieme, sotto "giochi sulla II Guerra Mondiale", un quasi-wargame quale Axis & Allies e un gioco di bluff a squadre come Secret Hitler, oppure un videogioco di "grande strategia" come Hearts of Iron IV e un FPS quale Call of Duty I: una descrizione imprecisa che non aiuta chi cerca un gioco conforme ai propri gusti, bensì scatena dibattiti sterili su come debba essere un "vero" gioco con una certa ambientazione (o, al peggio, una diatriba su cosa sia il Vero Gioco di Ruolo TM e quali i non-giochi per snob/babbei/figli di buone donne/altro).

Ve lo dicono anche le console della mia famiglia: nei media ludici le diatribe di fazione tolgono tempo al gioco!

Per una tassonomia più rigorosa

Sicuramente c'è chi vuole superare questi problemi di classificazione: in ambito anglofono, ad esempio, si distingue fra gioco di ruolo (role-playing game) e gioco di storie (story game) a seconda che i giocatori debbano sempre immedesimarsi nei loro personaggi o debbano comportarsi come registi, controllando tanto il cast quanto le situazioni esterne. Allo stesso modo, non solo si è sdoganata l'esistenza sia di giochi con GM sia di giochi masterless, ma sono più chiare le differenze interne fra le due famiglie: giochi con GM ad avventura lineare, avventura non lineare o trama emergente, giochi GM-less con GM a rotazione oppure con GM diffuso. Di recente, addirittura, ho letto su un gruppo Facebook una tassonomia casalinga che prende quattro coppie di estremi regolistici e colloca i giochi lungo gli spettri conseguenti: meccaniche Astratte o Concrete, Regole rigide o Decisioni discrezionali, materiale di gioco Allestito a monte o Spontaneo, autorità narrative Distribuite o Centralizzate. Una proposta interessante, che però mi sembra adatta a classificazioni "statistiche", non tanto a descrivere il gamplay concreto e ciò che trasmette agli utenti – che è la funzione ultima dei generi. Da signor nessuno che però ha giocato tanta roba (e vuole continuare a farlo), io non oso creare da zero un elenco di generi: mi limito a prendere spunto dal funzionamento dei generi in altri media per proporvi, tramite "ingegneria a rovescio", un possibile modo per descrivere le specifiche tecniche dei GDR:

Come potete vedere, questo schema si basa sul dualismo fra archetipo e originale, fra prima impressione e risultato finale dell'esperienza ludica: vale a dire, sul dualismo che rende utile l'uso dei generi. In particolare, l'estetica e la ripartizione sono ciò che si vede stampato in copertina, mentre soggetto e focalizzazione arrivano poco dopo, appena si sfoglia l'introduzione o si legge bene la quarta di copertina. Le meccaniche salienti e il piacere, invece, sono il cuore di una partita concreta, ciò che, una volta sperimentato, fa dire all'utente che quel titolo merita o meno. In mezzo ci sono la durata del gioco e la tipologia generale di meccaniche, due dati che ineriscono il feeling complessivo di un GDR a monte delle sue specificità, e che fanno da soglia di sbarramento per i curiosi: a seconda della disponibilità di tempo e delle preferenze personali, possono fare la differenza fra il "posso dedicarmici" e il "no, non ne varrebbe la pena".

In conclusione

Lo ribadisco: quella che ho esposto è una scaletta per descrivere i giochi di ruolo che prende spunto dalla logica dei generi, non una griglia per produrre meccanicamente i generi stessi. Perché un genere si codifichi, dev'essere la cultura ludica popolare a identificare i suoi tratti archetipici e dar loro un nome – già ora i giochi come Lamentation of the Flame Princess sono riconosciuti come un genere a sé, l'Old School Renaissence, ed esiste una nicchia di giochi di storie focalizzati sullo sviluppo storico di civiltà, come Microscope o Downfall. Se questa tendenza continua, sarà sempre più facile riconoscere e apprezzare la grande varietà del medium gioco di ruolo e, di conseguenza, svilupparne appieno le potenzialità. Per parte mia, spero ci si arrivi presto!

Per oggi è tutto gente; buon gioco a tutti!

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